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Cittadinanza digitale, opportunità e rischi | Luciano Floridi

Testimonianza di Luciano Floridi
per Fondazioni giugno 2023

Luciano Floridi è un filosofo italiano naturalizzato britannico, professore ordinario di filosofia ed etica dell’informazione presso l’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford, dove è direttore del Digital Ethics Lab, nonché professore di Sociologia della comunicazione presso l’Università di Bologna. Tanto più una comunità si munisce di strumentazione digitale per facilitare e ampliare la partecipazione politica e sociale, tanto più siamo in una società che favorisce la cittadinanza digitale

La trasformazione digitale sta cambiando il concetto di cittadinanza, ma è bene fare chiarezza su alcuni aspetti. Innanzitutto, la cittadinanza digitale non è una questione di strumentazione. L’infrastruttura è necessaria, ma non sufficiente. Cittadinanza digitale vuol dire: partecipazione alla cittadinanza attraverso strumenti digitali. Questo significa che l’esercizio dei diritti e dei doveri del cittadino è reso più facile ed è ampliato dalla strumentazione digitale. Per questo è bene prima chiarirsi su cosa intendiamo per cittadinanza, per poi analizzare quale sia l’impatto del digitale. Il primo aspetto da considerare è che la cittadinanza è una relazione alla quale si partecipa (involontariamente se si è nati con una certa cittadinanza, volontariamente se la si sceglie). Per questo preferisco parlare di cittadinanza e non di cittadini. Il secondo aspetto riguarda l’appartenenza. E qui può essere utile ricorrere a una analogia che esiste con il linguaggio. La lingua madre non mi appartiene. Sono io che, in quanto parlante, partecipo a una comunità di parlanti che hanno delle prassi condivise che costituiscono la lingua. Se voglio parlare una lingua, devo imparare vocabolario, sintassi e semantica. Posso parlarla più o meno bene. Ovvero, la mia partecipazione alla lingua di un Paese può essere più o meno ricca in funzione di diversi fattori. Così è per la cittadinanza. Non appartiene a nessuno, ma è una relazione che unisce i cittadini che si riconoscono in una comunità. Ha una dimensione plurale in termini di identità, e pluralistica in termini di valori, e può avere gradualità diverse. Da questo discende che, tanto più una comunità si munisce di strumentazione digitale per facilitare e ampliare la partecipazione politica e sociale, tanto più siamo in una società che favorisce la cittadinanza digitale. Cittadinanza digitale vuol dire, dunque, avere cittadini che, nel partecipare alla relazione che chiamiamo cittadinanza, utilizzano al meglio gli strumenti digitali per ampliare, arricchire e rendere più efficace la loro partecipazione. Qui entra il tema del digital divide, perché è importante sottolineare l’aspetto della pienezza della partecipazione. Se abbiamo milioni di cittadini che sono tagliati fuori dal digitale, vuol dire che abbiamo cittadini di seria A e di serie B. Questo produce un duplice svantaggio. Il primo è che non tutti i cittadini partecipano a pieno al dibattito democratico.

“Tanto più una comunità si munisce di strumentazione digitale per facilitare e ampliare la partecipazione politica e sociale, tanto più siamo in una società che favorisce la cittadinanza digitale”

Il secondo è che, non partecipando, subiscono le scelte di chi partecipa. Per questo chi è escluso dal digitale perde due volte: non usufruisce dei vantaggi del digitale e, inoltre, subisce le decisioni di chi lo utilizza al meglio. C’è un altro aspetto che vorrei richiamare ed è il concetto di democrazia digitale diretta, che è una cosa ben diversa dalla cittadinanza digitale. I sistemi democratici si basano sulla divisione dei poteri, tra chi detiene il potere (la sovranità appartiene al popolo) e chi lo esercita (governance). Il digitale può contribuire a migliorare la qualità della democrazia solo se è in grado di mantenere questa distinzione e agevolare la costruzione del consenso. Per questo occorre vigilare con attenzione sui possibili usi distorti di questi strumenti e alla diffusione di informazioni false. La democrazia digitale diretta non è plebiscitaria. In conclusione, ritengo che forme di democrazia digitale abbiano dimostrato di funzionare molto bene a livello locale, perché nelle città è più facile per gli amministratori dare conto del loro operato e per i cittadini monitorare. Sono comunque ottimista su possibili estensioni dell’utilizzo di forme di democrazia digitale anche a livello di stati nazionali e non solo. Ad esempio, sono convinto che l’Unione europea possa giocare un ruolo rilevantissimo sulla qualità delle nostre democrazie. Il distacco che viene genericamente rimproverato alle Istituzioni europee potrebbe, invece, rivelarsi la sua vera forza. Abbiamo bisogno di istituzioni rappresentative che siano capaci di progettare sul lungo periodo, senza dover rincorrere il consenso per scadenze elettorali a breve termine. Il digitale può rivelarsi uno strumento importante per accompagnare questo processo.

Dalla rivista Fondazioni aprile – giugno 2023