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Se non sono per gli ultimi non sono per nessuno | Gaetano Giunta

Intervista a Gaetano Giunta, presidente Fondazione MeSSInA

“Non può esserci costruzione di cittadinanza se non a partire dagli ultimi, perché solo così la cittadinanza è davvero universale”. Potrebbe bastare una frase per condensare la visione che ha della cittadinanza Gaetano Giunta, che nel 2010 ha dato vita alla Fondazione di comunità di Messina (oggi si chiama Fondazione delle comunità del Mediterraneo Sostenibili Solidali per l’Inclusione e l’Accoglienza). Per raccontare l’esperienza della Fondazione, Giunta – che è un fisico teorico – utilizza termini classici e scientifici, come metamorfosi, osmosi, atomi, caos, perché è convinto che solo la contaminazione di mondi diversi possa generare lo sviluppo dei territori. E nella sua esperienza c’è il superamento di due delle più grandi storiche baraccopoli del terremoto di Messina del 1908, una delle prime comunità energetica d’Italia, la “chiusura” di un ospedale psichiatrico giudiziario, la trasformazione di una discarica in un parco naturale, la rigenerazione di un borgo abbandonato dell’interno in un polo di ricerca e sviluppo sulle bioplastiche e tanto altro. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare come l’esperienza della Fondazione di Messina abbia contribuito a innovare il concetto e la pratica della cittadinanza.

Cos’è la cittadinanza?

Il concetto di cittadinanza è profondamente cambiato negli ultimi anni e continua ad evolvere perché è strettamente connesso al concetto di “comunità” che, oggi, sono sempre più multietniche. Ci sono due aspetti che ritengo fondamentali. Il primo riguarda il legame profondo tra i diritti – casa, lavoro, socialità e conoscenza –, che devono essere posti come vincoli esterni a qualunque logica di massimizzazione del profitto economico. È qui la chiave di una nuova cittadinanza: porre un limite a qualunque forma di “capitalismo predatorio”. E i limiti sono i diritti di cittadinanza delle persone

E il secondo? Il secondo aspetto è connesso alla partecipazione, che però, è bene precisare, senza il primo aspetto che ho richiamato, rischia di essere vuota e retorica. Perché persone che conoscono meno parole, che hanno meno accesso al diritto alla salute, alla casa, al lavoro e quindi hanno meno autonomia, è evidente che vedono profondamente compressi il loro immaginario e la loro possibilità di partecipare alla cosa pubblica.

“Solo attraverso azioni ecosistemiche si possono sviluppare davvero i territori: dobbiamo passare da logiche in cui società e mercato sono atomi in competizione a logiche in cui li pensiamo come sistemi complessi in costante dialogo tra loro”

Che legame c’è tra cittadinanza e capitale sociale?

Carlo Borgomeo ha sintetizzato la sua analisi sulle fallimentari politiche di sviluppo del Mezzogiorno con la frase “il sociale prima dell’economico”. Sono d’accordo, ma porto il ragionamento ancora più avanti. Oltre ad avere “prima il sociale”, quello che serve sono “approcci ecosistemici” sui territori, in cui economia, crescita della conoscenza, ricerca scientifica e tecnologica e coesione sociale vadano di pari passo alla crescita delle social capabilities delle comunità. Sono convinto che oggi solo attraverso azioni ecosistemiche si possano sviluppare davvero i territori. Dobbiamo passare da logiche in cui società e mercato sono atomi in competizione a logiche in cui li pensiamo come sistemi complessi in costante dialogo tra loro. Come affermava Danilo Dolci c’è bisogno di “co-organizzazione”, ovvero di coesione e forti legami sociali ma avendo come orizzonte l’apertura, gli scambi di conoscenza, di know how e di risorse umane ed economiche. È solo in questa osmosi che c’è la possibilità di cambiare i territori.

Nei suoi discorsi ricorre frequentemente il concetto di bellezza. Cosa lega bellezza e cittadinanza?

La bellezza è un’emergenza sistemica perché non è contenuta in un singolo elemento che compone un sistema, ma nella relazione tra gli elementi. Ad esempio, la bellezza non è contenuta nel singolo mattone di un palazzo (con gli stessi mattoni puoi costruire infinite architetture) o in una singola nota che accostata ad altre genera l’armonia della musica. La bellezza è un’emergenza relazionale, per questo bisogna educare alla bellezza, perché significa educare alla cittadinanza e incentivare la coesione sociale di una comunità. Inoltre, la bellezza ha un grande potere di trasformazione, ha la capacità di allargare gli immaginari e gli orizzonti delle persone e quindi generare alternative, soprattutto per le persone fragili.

“Bisogna educare alla bellezza, perché significa educare alla cittadinanza e incentivare  la coesione sociale di una comunità; inoltre, la bellezza ha un grande potere di trasformazione, ha la capacità di allargare gli immaginari e gli orizzonti delle persone e quindi generare alternative”

L’esperienza della Fondazione Messina ha contribuito a costruire una nuova cittadinanza?

La Fondazione di Messina è stata costruttrice di cittadinanza per diverse ragioni. La prima è perché la Fondazione non finanzia progetti ma “eroga” policy di intervento sul territorio. E il caposaldo di questa azione è costruire alternative per le persone più fragili su temi cardine della cittadinanza (casa, lavoro, socialità, conoscenza). Dall’altra parte, abbiamo l’ambizioso obiettivo di ripensare il welfare con una logica comunitaria: siamo convinti che occorra prendersi cura delle persone una ad una, accompagnandole, attraverso la mediazione culturale e sociale, a riconoscere e scegliere le opportunità più funzionali alla vita che vorrebbero vivere. Questo è avvenuto sia per la chiusura dell’ospedale psichiatrico-giudiziario sia per il superamento delle baraccopoli: la Fondazione ha generato nuove alternative e ha accompagnato individualmente le persone nella scelta di una nuova casa in cui andare a vivere, di un lavoro, di nuove relazioni sociali, ecc.

Trasferimento tecnologico e programmi di ricerca. Cosa c’entrano con la Fondazione?

Siamo partiti dai desideri delle comunità locali e abbiamo cercato di dare corpo a tali orizzonti, trasformandoli in progetti sociali, urbani e personali realizzabili. In questo percorso la ricerca scientifica è stata decisiva per poter attivare processi di sviluppo locale. C’è un esempio emblematico: il birrificio Messina, una fabbrica riavviata dai lavoratori, che è stata ripensata secondo logiche “social-green”. Il birrificio aveva il problema delle trebbie di scarto della lavorazione. La Fondazione ha finanziato e avviato un programma di ricerca con il  dipartimento di nanosistemi dell’Università di Venezia ed il suo spin off Crossing e con il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Messina per studiare la possibilità di generare nuovi biomateriali da questi scarti. I risultati sono stati decisamente positivi: in un polo artigianale siciliano, a Roccavaldina, che era stato abbandonato, sta nascendo un centro di ricerca e di formazione sui biomateriali e la prima fabbrica che trasforma in bioplastiche le trebbie di scarto del birrificio Messina. La produzione è gestita da un’impresa sociale che permette a persone in condizioni di fragilità di lavorare e che impiega gli utili in attività di contrasto della povertà educativa.

“Dobbiamo ripensare il welfare con una logica comunitaria, prendendoci cura delle persone una ad una, accompagnandole, attraverso la mediazione culturale e sociale, a riconoscere e scegliere le opportunità più funzionali alla vita che vorrebbero vivere”

Qual è stata la risposta dei messinesi alle iniziative della Fondazione?

L’intera cittadinanza è costantemente coinvolta in tutte le attività della Fondazione. In primo luogo, tutte le strategie della Fondazione sono procedute e accompagnate da programmi partecipativi ben codificati che coinvolgono l’intera popolazione della città. In seguito, i luoghi rigenerati dalla Fondazione diventano beni comuni aperti all’intera cittadinanza, dove i messinesi hanno modo di vedere da vicino il nostro lavoro per il bene di tutti. Ma c’è un altro impatto dell’attività della Fondazione che riguarda tutti i messinesi (e non solo), ed è forse il più importante. Sul lungo periodo l’esperienza della Fondazione di Messina sta riuscendo a contaminare le politiche pubbliche sul territorio. Ad esempio, la metodologia dei progetti personalizzati che ha portato alla chiusura dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto è entrata nel Piano sanitario regionale ed oggi è una proposta di legge nazionale. Il metodo utilizzato per il superamento delle baraccopoli di Messina è diventato una politica del Comune. Le sperimentazioni di sviluppo di imprese “social and green” (a Messina ne sono nate oltre 200) ha portato il Comune e l’Agenzia di coesione territoriale ad avviare un percorso per creare a Messina un distretto dell’economia circolare innovativa.

Dalla rivista Fondazioni aprile – giugno 2023