È stata la prima donna a dirigere i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (dal 2009 al 2012). Dirigente di Ricerca associata all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), ha lavorato al CERN di Ginevra, al laboratorio DESY ad Amburgo e ha partecipato a vari esperimenti nel campo della “materia oscura”. Si tratta di Lucia Votano, scienziata che ha dedicato la maggior parte della sua carriera alla ricerca nel campo della fisica astro particellare. È con lei che parliamo di disuguaglianza.
Cosa significa per lei “Uguaglianza”?
L’art. 3 della Costituzione italiana sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge; anche l’Unione Europea si riconosce in un corpus di valori e diritti, in primis l’uguaglianza, che sono il risultato della sua evoluzione storica e costituiscono un comune substrato di pensiero, cultura, mentalità. La nostra Costituzione non si limita però a sancire dei principi, ma afferma che è necessario rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Nella Società della Conoscenza che caratterizza il nostro tempo, la produzione di nuovo sapere è il principale motore delle dinamiche di sviluppo culturale, sociale ed economico di una nazione. Affinché il principio dell’uguaglianza trovi sostanziale affermazione è quindi necessario che la Conoscenza sia diffusa in maniera più uniforme. La diversità di accesso al sapere è la causa principale delle disuguaglianze, sia tra i diversi paesi sia tra cittadini, ponendo seri ostacoli all’armonico sviluppo della persona, all’esercizio consapevoledei diritti di cittadinanza scientifica, alle possibilità di ottenere lavori più qualificati e meglio retribuiti. Dobbiamo quindi preoccuparci in Italia e in Europa di garantire una maggiore diffusione nella distribuzione e gestione del sapere e dei suoi benefici economici e sociali, partendo dal rafforzamento dell’istruzione a tutti i livelli e della formazione.
Esistono barriere discriminatori in ambito scientifico e accademico?
Dal punto di vista epistemologico, la Scienza è intrinsecamente democratica perché è “la casa del dubbio”, dove la conoscenza acquisita è costantemente messa in discussione da nuovi fatti sperimentali e da prodigiose intuizioni che possono essere il frutto del talento di chiunque, in qualunque posto del mondo si trovi. La Scienza inoltre si sviluppa in un ambiente culturale abituato al confronto, all’uso della razionalità e alla propensione a cooperare indipendentemente da differenze di nazionalità, cultura, religioni, sesso. Affinché tutto questo si realizzi pienamente, occorre tuttavia che sia dato a chiunque pari opportunità di accedere all’istruzione superiore, di dedicarsi alla ricerca e far valere il proprio merito. Come donna, devo purtroppo registrare ancora oggi una minore presenza femminile nel mondo scientifico. È pur vero che la percentuale di donne ricercatrici in Italia varia molto in funzione della disciplina: nelle scienze della vita i numeri sono molto incoraggianti, ma calano in matematica, informatica, fisica, ingegneria oppure scienze economiche e statistiche. In questi campi le donne hanno maggiori difficoltà nel continuare la via della ricerca dopo aver conseguito il dottorato o un assegno post doc. Esiste poi la cosiddetta segregazione verticale che segnala una forte diminuzione della percentuale femminile nelle posizioni apicali della carriera o di responsabilità istituzionali. Ci sono poi ancora oggi stereotipi e meccanismi che agiscono in modo spesso subdolo e a livello dell’inconscio nello scoraggiare le ragazze a intraprendere delle carriere in area STEM e occorre quindi educare le nuove generazioni a un’effettività parità.
La pandemia ci ha insegnato qualcosa sull’importanza del contrasto delle disuguaglianze?
La gravità della situazione impone che i governi si preoccupino non solo del contenimento dei rischi sanitari, ma anche di definire piani strategici per favorire la ripartenza economica e attenuare le crescenti disuguaglianze sociali aggravate dalla pandemia. Potremmo approfittare del momento per cercare di mitigare la vulnerabilità e le carenze strutturali del nostro sistema socio-economico, aumentandone il potenziale di crescita, la resilienza e la sostenibilità, piuttosto che cercare di riportarsi semplicemente alle condizioni pre-Covid. La crisi che stiamo vivendo potrebbe aiutarci a intravedere con maggiore chiarezza interconnessioni tra salute dei cittadini, benessere economico, welfare, equità sociale, in altre parole il benessere fisico e psichico umano e la salute dei sistemi naturali. L’ideale dovrebbe essere uno sviluppo capace di coniugare crescita economica, inclusione sociale, equità e tutela dell’ambiente. L’uomo sarà in grado di governare questo cambiamento solo usando Scienza e Conoscenza. La ricerca, l’istruzione e la formazione rappresentano i fattori chiave per rendere le società più resilienti e affrontare le grandi sfide del futuro, quali i cambiamenti climatici, lo sviluppo di energie alternative, le future possibili pandemie e le grandi ingiustizie sociali a livello planetario. Ritengo pertanto che investire nella ricerca pubblica sia uno degli elementi più efficaci da inserire nel nostro PNRR per garantire un futuro ai nostri giovani e un sostegno alle donne che stanno pagando il prezzo più alto della crisi economica.
Lei fa parte del gruppo dei 14 scienziati che ha scritto prima al Presidente del Consiglio (prima Conte e poi Draghi), per proporre linee di intervento a favore della ricerca. Quali le richieste avanzate?
Si richiede di aggiungere ogni anno 1 miliardo all’investimento attuale di 9 miliardi di euro in ricerca pubblica – di cui 6 in ricerca di base e 3 in ricerca applicata – per arrivare a un investimento complessivo di 15 miliardi, passando dall’attuale 0,5% rispetto al PIL allo 0,75% (l’investimento della Francia di oggi). Queste risorse andrebbero a finanziare tre linee di intervento. Primo, il finanziamento di bandi competitivi per progetti di ricerca (PRIN), assegnati dal MIUR in tutte le discipline, basati sulle migliori linee internazionali e con un notevole potenziale di trasferimento tecnologico. Secondo, l’incremento e la valorizzazione del capitale umano secondo un piano strategico di concorsi basati sul merito e con una programmazione certa, aumentando il numero di dottorandi da 9000 a 14.000 l’anno e mettendo a bando 5.000 concorsi per ricercatori ogni anno. Terzo, la mappatura, il potenziamento e l’apertura sistematica ai ricercatori di tutto il Paese delle infrastrutture di ricerca, per attrarre ricercatori anche dall’estero e moltiplicare gli effetti positivi degli investimenti sui progetti e sul capitale umano. Infine, si dovrebbe mantenere un giusto rapporto (2:1) tra ricerca di base e ricerca applicata, confermato dall’esperienza dei Paesi più virtuosi.
A suo avviso, questa emergenza ha cambiato l’opinione pubblica sulla scienza e sulla ricerca?
Lo smarrimento provocato dal Covid-19 ha per certi versi fatto riscoprire l‘importanza e il valore della scienza, delle competenze. Basti pensare alla straordinaria rapidità con cui sono stati messi a punto i vaccini, unica speranza per abbattere la pandemia. Inoltre medici e ricercatori sono continuamente interpellati per avere lumi su quanto avviene e indicazioni sulle decisioni da prendere, in qualche caso anche eccedendo perché si pretendono certezze che la scienza non può dare mentre la ricerca sul virus è ancora in atto.
Cosa consiglierebbe a una bambina che da grande vuole diventare una scienziata?
Consiglierei di non avere timore di intraprendere la carriera della ricerca scientifica anche nelle cosiddette scienze dure. Non ci sono limitazioni “genetiche” che impediscono alle donne di godere della grande bellezza della scienza, ci sono solo residui di una società e un’educazione ormai superate, ritardi culturali forse più subdoli che espliciti. Inoltre posso confermare che la mia generazione ha dimostrato che è possibile, anche tra molte difficoltà, conciliare il lavoro di ricercatrici con una vita affettiva e familiare piena.