Nicla Vassallo specializzatasi al King’s College London, è filosofa, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica, Docente di Dottorato di Ricerca, Ricercatore Associato Isem-Cnr. Il suo pensiero e le sue ricerche scientifiche hanno innovato settori dell’epistemologia, della filosofia della conoscenza, della metafisica, dei gender studies. È autrice, coautrice, curatrice di oltre centocinquanta pubblicazioni scientifiche e di due raccolte poetiche. L’ultimo suo volume in italiano: Non annegare. Meditazioni sulla conoscenza e sull’ignoranza, Mimesis.
Cosa significa per lei “Uguaglianza”?
A mio avviso, è un principio essenziale per la convivenza libera e pacifica tra le persone, nonché valore imprescindibile, se desideriamo conoscere il mondo. Per tale principio, a tutti dovrebbero venir garantiti i medesimi diritti e doveri alla conoscenza, donne palesemente incluse. Eppure, al riguardo, le donne italiane, 1,6 milioni in più degli uomini, posseggono sulla carta i diritti in questione, ma vivono in una società in cui a venir valorizzata non è tanto la loro cultura, o la loro mente, o la loro intelligenza, quanto il loro corpo. Purtroppo, in una buona parte della popolazione, persiste un tipo di educazione che fa crescere le bambine col culto di una bellezza puramente fisica. Così, ci si dimentica, tra l’altro, della buona filosofia, e di una delle sue domande: che cos’è la bellezza, e come la si conosce? Che cosa è la bellezza delle donne, e come conosciamo le donne belle? È giusto sottovalutare la bellezza interiore delle donne?
Quali sono oggi in Italia le maggiori disuguaglianze?
Si enumerano diseguaglianze di diverse tipologie, da quelle sociali a quelle di genere, da quelle culturali a quelle religiose, da quelle tra i disabili e gli sportivi. Tra queste, si distingue la disuguaglianza di genere, ovvero il divario che esiste in alcune società tra uomini e donne in almeno quattro ambiti: economia, educazione, politica, salute. Dato che con l’educazione si costruiscono il nostro presente e il nostro futuro, a preoccuparmi, in particolare, è l’offerta di percorsi d’istruzione superiore e universitaria, l’obbligo di frequenza scolastica, i tassi di scolarizzazione. Quanto tutto ciò è indipendente dall’appartenenza di genere? Sta di fatto che, rispetto agli ambiti appena menzionati, secondo gli ultimi dati del World Economic Forum, l’Italia si colloca al settantaseiesimo posto su centotrentacinque Paesi. Inoltre rilevante è anche il divario salariale tra donne e uomini: rispetto a un diplomato, una donna laureata guadagna il 14,3% in più, mentre un uomo laureato il 32,6% in più. Perché? Un altro dato allarmante concerne la mia professione: appena il 23,7% dei docenti universitari ordinari è donna, e solo sette rettori su ottantaquattro sono donne. La disuguaglianza di genere si incontra anche nello sport, basti pensare al volley, uno sport tra i più praticati nella scuola, tra i più diffusi e popolari. Ebbene, in questa disciplina sportiva quanti coach donne ci sono in A1? Mi risulta nessuno. Neanche nell’A1 femminile.
Chi si deve far carico di contrastare le disuguaglianze?
La politica, con diverse azioni, tra cui quella di considerare al proprio interno le donne competenti. Si pensi che, se nel 1948 la Costituzione estende alle donne, fino allora estromesse, il diritto di accedere agli incarichi pubblici, dobbiamo giungere al 1976 per vedere un ministro donna, Tina Anselmi al Lavoro e alla previdenza sociale. La situazione oggi è mutata. Eppure, quando avverrà mai la nomina di una donna a presidente della Repubblica? Occorre, per altro, ricordare che in Italia vige la democrazia, ovvero una precisa forma di governo, in cui il potere viene esercitato da cittadine e cittadini, tramite rappresentanti liberamente eletti. Di conseguenza, in primis sono loro a dover conoscere le disuguaglianze e a dovervi porre rimedio. Ne hanno il diritto, nonché il dovere.
Sul tema lavoro e differenza salariale tra uomo e donna in Italia qual è la situazione?
Sulla base dei dai dati Eurostat, limitandoci all’Italia, il gender gap salariale equivarrebbe nel settore pubblico al 4,1%, mentre nel settore privato supererebbe il 20%. Per di più, la differenza salariale complessiva si attesta sul 43,7%, rispetto a una media europea del 39%. Percentuali non indifferenti. Rimanendo nel nostro Paese, oggi come oggi, lo scenario è drammatico. Se la scorsa estate, un primo e provvisorio bilancio registrava 470mila donne occupate in meno rispetto all’anno precedente, secondo gli ultimi dati Istat, nel dicembre del 2020, gli occupati sono diminuiti di 101mila unità: 99mila sono donne e appena 2mila uomini. Perché, se non per il fatto che viviamo in un Paese che penalizza le donne su vari fronti?
La pandemia ci ha insegnato qualcosa sull’importanza del contrasto delle disuguaglianze?
A parte quanto appena osservato, se, come credo con buone ragioni conoscitive, il problema viene evidenziato da una parte dal gender gap, dall’altra dai dati sul femminicidio ai tempi del Covid-19, che sono tragici. Stando al VII Rapporto Eures, nel corso dei primi mesi del primo lockdown, l’80,8% delle vittime viveva con il proprio assassino. Un insegnamento importante: la maggior parte delle violenze si svolge all’interno delle mura domestiche, non fuori. Occorre prenderne atto.
Come descriverebbe l’impatto della pandemia di Covid-19 sulle donne?
Il report The Impact of Covid-19 on Women, pubblicato dalle Nazioni Unite, ha evidenziato non solo come la pandemia abbia amplificato le disuguaglianze già esistenti, portando indietro i progressi fatti negli ultimi anni, ma anche il fatto che ora vi siano meno donne lavoratrici: il 94% degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione, contro il 63% delle donne nella medesima fascia di età. Si pensi, poi, alla tradizione che lega le sole donne alla cura degli altri. Le donne-caregiver sono il 74%, pagando un costo parecchio alto, rinunciando alle loro lecite ambizioni e carriere.
Come ha già evidenziato, l’Italia è ancora molto indietro sul sanare il divario di genere nel mondo del lavoro e, di conseguenza, sul piano economico. Secondo lei cosa stiamo sbagliando? Come lavorare per livellare queste differenze?
Ritengo che vi sia un rifiuto di conoscere la realtà, nonché i fatti.Un rifiuto a confrontarsi con essi, un non sapere rispetto all’eguaglianza e, quindi, alla nostra natura umana. Solo a partire dalla conoscenza si può iniziare a lavorare concretamente al fine di rimediare alle diseguaglianze. Tra l’altro, la conoscenza ci conduce a sollevare interrogativi e a rispondere ad essi. Ho sollevato qui diversi interrogativi, e ne sollevo un altro: le risposte?
Quale può essere il ruolo dell’informazione, dell’istruzione e delle istituzioni per affermare l’uguaglianza di genere?
L’informazione è importante. Mi paiono interessanti, in proposito, le affermazioni di una cara amica, Concita de Gregorio, che, in occasione della Festa della Donna, per la precisione l’8 marzo del 2019, ha scritto e pubblicato un articolo dal titolo “Quando questa firma sarà di un uomo”. Per quanto riguarda le istituzioni, confido nelle fondazioni internazionali, quali The Foundation for Gender Equality, sulla cui homepage si legge: “Equality, with all of its complexity, cultural and global dimensions, is the transformative issue of our time. Solve this and the world will be a better place for all of us – men, women, children, young and old alike. We must STAND TOGETHER ALWAYS to foster opportunities, remove obstacles and enlist partners to innovate, collaborate and create meaningful change” (L’uguaglianza, con tutta la sua complessità, dimensione culturale e globale, è un tema in continua trasformazione del nostro tempo. Se si riesce a risolverlo. il mondo sarà un posto migliore per tutti noi: uomini, donne, bambini, giovani e anziani. Dobbiamo procedure sempre tutti insieme per promuovere opportunità, rimuovere ostacoli e arruolare partner per innovare, collaborare e creare cambiamenti significativi).