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Dialoghi sull’uguaglianza | Giuseppe Guzzetti

È stato presidente di Acri e di Fondazione Cariplo. La sua azione è stata determinante per il consolidamento del ruolo e dell’identità delle Fondazioni di origine bancaria e la sua storia testimonia un’azione peculiare sul contrasto alle disuguaglianze nelle sue diverse vesti di politico e alla guida delle Fondazioni. Abbiamo intervistato Giuseppe Guzzetti.

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ l’art. 3 della nostra Costituzione. Avvocato, cosa significa uguaglianza?
Quando i padri costituentisi trovarono a redigere la Carta, il Paese era appena uscito da vent’anni di dittatura e c’era una democrazia tutta da costruire. I membri dell’Assemblea Costituente volevano fare in modo che i cittadini avessero piena cittadinanza, ecco perché parlano innanzitutto di “rimuovere ostacoli”, con l’obiettivo dello sviluppo della persona umana. L’uguaglianza è il mezzo attraverso il quale un cittadino diventa protagonista del suo destino e della democrazia del nostro Paese, attraverso la rimozione degli ostacoli di carattere economico e di carattere sociale. Quindi la definizione dell’art. 3 è molto attuale e ne è doverosa l’attuazione. Purtroppo oggi è chiaro che questa democrazia è “malata”, perché, negli ultimi anni, non c’è stata una piena realizzazione dell’uguaglianza fra cittadini.

Secondo lei, c’è differenza fra le disuguaglianze che vediamo ai nostri giorni e quelle che lei si è trovato ad affrontare nel corso della sua attività politica e poi successiva?

Credo di sì. Nell’immediato dopoguerra e verso la fine del secolo e l’inizio di questo, la disuguaglianza era prevalentemente di carattere sociale. Racconto la mia esperienza di vita: io sono nato e ho vissuto la mia infanzia, e parte della giovinezza, in un contesto agricolo che, all’epoca, era prevalente nel nostro Paese. L’agricoltura offriva una vita dignitosa alle famiglie contadine, successivamente con l’industrializzazione le possibilità lavorative aumentarono soprattutto per la frangia femminile della popolazione (mia madre e mia zia facevano le tessitrici). Insomma esistevano le diseguaglianze, ma non c’erano alcuni disagi, per esempio quelli giovanili, che oggi si riscontrano in maniera significativa. Oggi prevale anche una disuguaglianza economica che, con l’arrivo della pandemia, sta imperversando: una povertà che dilaga, che non ha limiti. Pensiamo ai milioni di posti di lavoro persi, a quelle attività del ceto medio come artigiani e commercianti che hanno perso il lavoro. Quando torneremo, semmai succederà, a una condizione di normalità, dovremo fare in modo che alcuni dati di partenza non siano più come quelli dai quali siamo partiti quando è iniziata la pandemia.

La Fondazione con il Sud e il Fondo per il contrasto alla povertà educativa sono entrambe sue intuizioni, poi divenute azioni, di vastissima portata nel contrasto alle diseguaglianze. La prima combatte le disuguaglianze territoriali, la seconda generazionali. Ce ne può parlare?

Il mio interesse per il Sud e per la povertà educativa hanno origine lontanissime e molto diverse tra loro. Incontro e conosco il Sud quando divento presidente della Regione Lombardia, perché il mio predecessore Cesare Golfari, durante la sua presidenza, aveva avviato una serie di contatti con alcuni presidenti di regioni del meridione. Quando divento presidente di Acri, continuo su questa strada e conosco la realtà del Sud e da lì nasce in me un interesse per quella parte del Paese a cui ho indirizzato parte del mio lavoro. Prendo consapevolezza della realtà sociale del Meridione, dove la criminalità organizzata contribuiva a generare situazioni sociali di estrema arretratezza. Arrivo alla conclusione che per il Sud fosse sbagliata la politica della Cassa del Mezzogiorno: un sistema che portava, da un lato, a mettere a disposizione ingenti risorse – che venivano utilizzate malissimo –, e dall’altro a fare investimenti che contraddicevano alcune priorità di quei luoghi, come turismo e salvaguardia dei territori. Ma il ragionamento che ho fatto all’epoca, il più importante, era che per riscattare il Sud fosse necessario partire dal sociale. Dunque era fondamentale intervenire sulla povertà, sulla scuola, sull’educazione, perché i giovani non abbandonassero quei territori. La realtà era che le regioni del Sud o non avevano Casse di Risparmio (quindi Fondazioni), o quando esistevano Casse e Fondazioni (come a Napoli, per esempio) non erano orientate su questi problemi di carattere sociale. Al congresso Acri di Torinodel 2000, portai sul tavolo queste criticità e convinsi i colleghi del Centro e del Nord a intervenire a favore del Sud. Da queste basi è nata la Fondazione con il Sud.

Parliamo del Fondo, come nasce?

La povertà educativa ha origini ancora più lontane. Dove sono nato eravamo pochi bambini, in particolare tre del mio anno, di cui uno non ha finito la prima elementare e l’atro non ha terminato la terza. Ho sempre ricordato questi bambini che non hanno potuto scegliere. Quelli che andavano avanti a studiare erano pochi. La mia infanzia, insieme ai dati relativi al livello di povertà educativa minorile in Italia, sono stati la molla per la nascita del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. La verità è che il bambino non è protagonista del suo destino.Noi adulti affrontiamo la nostra realtà, ma il bambino che colpa ne ha se è nato in una famiglia povera? Un bambino che non ha accesso a scuola, che futuro ha? Siamo noi adulti a deciderlo. Voglio citare il salmo 8 v.3 della Bibbia, dove c’è una strofa sui bambini che mi ha sempre ispirato: “Dalla bocca di bambini e lattanti ti sei procurato una lode per paralizzare il nemico e il vendicatore (il demonio)”.

Dall’infanzia passiamo alla comunità, l’altro termine che le sta particolarmente a cuore.

Anni fa il termine “comunità” non esisteva, adesso è un termine subentrato nel linguaggio comune in riferimento al tessuto sociale. La definizione di comunità nel dizionario inglese è significativa: “la comunità è un territorio dove la gente svolge attività culturali e sociali non stimolate da nessuno, se non dal proprio sentimento di partecipazione”. Io vivo ad Appiano Gentile e oggi, quando mi chiedono dove abito, rispondo: “nell’Appianese”, perché sono tanti comuni che si identificano in un territorio. Questa è la comunità: un luogo dove le varie frazioni territoriali lavorano insieme, costruiscono strutture per anziani, si occupano del trasporto dei malati, promuovono associazioni nel sociale. La questione è che la comunità è vicina alla gente e ai suoi problemi, e quando c’è vicinanza c’è solidarietà e condivisione. Si cerca e si trova insieme la soluzione ai problemi. Ed è proprio per risolvere problemi comuni, per attivare energie, risorse e responsabilità sociale che, grazie a Fondazione Cariplo, 25 anni fa, nascono le Fondazioni di comunità. Si tratta di soggetti radicati nel territorio con una loro autonomia e un loro patrimonio. Con l’arrivo della pandemia, le Fondazioni di comunità hanno avuto un ruolo fondamentale ed è proprio il caso di sottolineare che, l’emergenza sanitaria ha permesso la manifestazione clamorosa di quella comunità di cui stiamo parlando. Il futuro è nella comunità: se la stimoliamo avremo maggiore conoscenza dei problemi e quindi soluzioni per risolverli. Per richiamare la Costituzione, all’art. 2 è chiaramente espresso che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Quindi, i singoli sono liberi di associarsi quando è condiviso un sentimento di solidarietà e di attenzione ai più emarginati, perché quando stanno bene gli altri, stai bene anche tu. Ecco il senso di comunità. I sovranisti e i populisti non tollerano il privato sociale perché non riescono a piegarlo alle loro ambizioni egemoniche. Il fascismo ha soppresso le associazioni libere e volontarie perché erano le naturali antagoniste della sua azione dittatoriale. Ed ecco perché attaccare il Terzo settore e il Volontariato vuol dire attaccare la democrazia e va contrastato con forza!