Editoriale di Giorgio Righetti, direttore generale Acri
per Fondazioni – dicembre 2019
Ma oltre che a Sanremo, esiste veramente la “categoria giovani”? La domanda, provocatoria ma non oziosa, nasce dalla constatazione che solitamente ci si rivolge ai giovani come fossero un blocco sociale, un monolite, come se avessero tutti gli stessi problemi e gli stessi desideri. Come se fossero un unico segmento di “mercato” a cui rivolgersi a seconda delle esigenze (sempre degli adulti) quando si tratta di imbonirli, di accaparrarsene la compiacenza, oppure di stigmatizzarne i comportamenti. In realtà, esistono tanti giovani, che hanno interessi, aspirazioni, desideri, capacità, volontà e impegno diversi.
Ne esistono tanti, così come esistono tanti adulti e tanti anziani. Quindi, noi adulti, dovremmo tenerlo bene a mente quando ci rivolgiamo ai giovani proponendo soluzioni omnicomprensive che, il più delle volte, sono viziate dal nostro modo di interpretare i loro bisogni e desideri, dai vincoli che l’esperienza inevitabilmente ci impone, dalla prevalenza dell’offerta (ciò che sappiamo fare) rispetto alla domanda (ciò di cui c’è bisogno). Con questo approccio abbiamo immaginato che servisse l’Università sotto casa, che servisse l’iperspecializzazione (si veda la proliferazione dei master, in un mondo che, vista la velocità del cambiamento, richiederebbe di concentrare ogni sforzo, più che sulle competenze specialistiche, sull’insegnamento di come si impara ad imparare), che servissero sussidi economici o bonus, che servisse la “profilazione” (sic!) per facilitarne l’immissione sul mercato del lavoro, che servissero corsi di specializzazione sull’ultima materia di moda (il digital marketing oggi, la programmazione in Cobol “ai miei tempi”). E si potrebbe proseguire a lungo.
Se c’è una cosa che accomuna i giovani, ferme restando le loro diversità, è probabilmente la capacità di immaginazione, una risorsa straordinaria che posseggono in quantità e qualità senza dubbio superiori a quella degli adulti, compressi come sono, questi ultimi, dall’insopportabile peso dell’esperienza e dei fallimenti che la vita spesso riserva. I giovani, invece, sono più liberi, hanno meno inibizioni, hanno di fronte a loro tante potenziali strade da percorrere e non hanno perso la capacità di sognare. Allora, forse, più che proporre soluzioni per i giovani, dovremmo prima di tutto concentrare i nostri sforzi sulla creazione di un ambiente, di un ecosistema favorevole alla libera circolazione dell’immaginazione, che la stimoli e la coltivi e che consenta l’emersione del potenziale che è in ciascun giovane. E poi, sulla messa a disposizione di una molteplicità di strumenti che li aiutino a trasformare la loro immaginazione e il loro potenziale in un sentiero percorribile. Più che soluzioni, dovremmo semplicemente limitarci a offrire loro opportunità.
Dalla rivista Fondazioni novembre-dicembre 2019