Non sempre le coincidenze sono casuali. Così non risulta inaspettato che la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, che ha ospitato la presentazione dell’innovativo catalogo online delle opere d’arte delle Fondazioni di origine bancaria r’accolte (un ampio resoconto è nelle pagine precedenti), conservi uno dei più antichi fondi bancari italiani. Al suo ingresso un cartiglio ligneo del XVIII secolo nell’intitolazione latina “Collectio Actorum Administrationis” ben riassume il plesso documentario che vi si conserva: carte non solo dei Monti di Pietà di Bologna e di Ravenna, ma anche altri fondi bancari, per esempio della Banca del Monte e del Credito Romagnolo, insieme ad archivi fotografici, come quello dello Studio Villani, e a documenti, libri, oggetti appartenuti a personalità illustri, come il Carducci. L’ordinamento dei documenti si basa prevalentemente su un principio di pertinenza, più che di provenienza, sicché furono raccolti insieme atti notarili riguardanti l’attività economica e amministrativa del Monte di Pietà e rogiti in origine conservati in alcuni archivi gentilizi, giunti al Monte per donazione. Proprio in questa serie fu collocato uno dei documenti più interessanti presenti nell’archivio storico della Fondazione: un atto di compravendita formato da due pergamene di grandi dimensioni, redatto presso la Chiesa di Santa Tecla di via Santo Stefano il 17 agosto 1351, che narra dell’acquisto di vigneti, case e una torre nel contado bolognese, presso le “Tombe dei Santi”, da parte di Baldo de Pasignano (1244 – 1332): un ghibellino fuggiasco del tempo di Dante che è noto per avere scritto un trattato, il “Liber Spei”, oggi perduto, e una canzone in volgare, “Donzella il cor sospira”, verosimilmente composta a Bologna e copiata in uno dei tre più antichi canzonieri della lirica italiana delle origini, il Vaticano Latino 3793. Ovviamente parte centrale dell’archivio sono le carte prodotte e raccolte dal Monte di Pietà di Bologna, come gli Statuti o i Libri Giornale e Mastri, ben più antichi. I primi, i “Libri iurium”, vennero redatti a partire dal Cinquecento e furono vergati in bolognese o in latino; essi costituirono lo strumento principale di regolamentazione della vita del Monte fino alla sua spoliazione avvenuta nel 1796 ad opera delle truppe napoleoniche, che determinò la requisizione dei beni e la cessazione di tutte le attività del Sacro Monte di Pietà di Bologna. Tra i secondi, il più antico dei Libri Giornale fu allestito nell’anno di fondazione dell’istituto allorché, a seguito della predicazione del frate osservante Michele Carcano da Milano, il 22 aprile 1473 fu inaugurato il Monte di Pietà, che si riprometteva, mediante lo strumento del prestito su pegno, di agevolare i ceti della Societas Christiana che vivevano di modeste attività artigianali o commerciali, i quali avrebbero potuto così sottrarsi alle frequenti pratiche dell’usura. La confezione di quel manoscritto, oltre a documentare la prima attività del Monte di Pietà di Bologna, racconta anche altre vicende: per esempio che l’arte del riciclo non è cosa recente, ma che nel passato qualcuno se ne dilettava, predisponendo, senza saperlo, qualche bella sorpresa per i posteri! A seguito di un recente restauro della coperta originale di questo volume, formata di carta spessa e pellame di vacchetta, sono infatti emersi tre frammenti liturgici antichissimi in membrana, contenenti notazioni musicali e bellissime miniature. Si tratta di lacerti pergamenacei, ricavati dallo smembramento di un codice religioso del XII secolo divenuto desueto e non più utilizzato, che nel 1473 furono utilizzati da un cartolaio per rivestire le coperte interne di questo registro contabile. Il risparmio di pergamena nuova fece sì, dunque, che si conservasse per la Fondazione del Monte uno dei manufatti più preziosi e antichi che essa possiede. Proseguendo l’esame di quei grandi registri contabili rivestiti di cuoio cotto, non si può non restare colpiti dalle numerose immagini che, accanto a lettere che fungevano da segnatura archivistica, si trovano stampigliate sulle coste dei volumi e costituiscono una straordinaria sequenza delle multiformi raffigurazioni iconografiche dell’Imago Pietatis: emblema con cui per oltre due secoli in Età Moderna usò autorappresentarsi il Sacro Monte di Pietà di Bologna (nella foto). Si tratta di signa parlanti che nelle carte lasciate in eredità al Monte di Pietà sono accostati spesso agli stemmi gentilizi che, insieme alle tavole acquerellate contenute negli inventari, delineano i patrimoni fondiari del contado e i palazzi senatori di città delle aristocratiche famiglie bolognesi. Una curiosità: tra i vari esempi di tavole acquerellate emerge il bel disegno di una sontuosa dimora urbana all’interno della quale, nel corso del Cinquecento, si ripeterono le visite illustri di principi, conti, marchesi, cardinali, invitati per assistere a feste sfarzose e a rappresentazioni teatrali, come il “Melagro”. Ebbene, di questi eventi offre il resoconto un prezioso diarietto custodito anch’esso nell’archivio storico della Fondazione!