La finanza sostenibile ha un ruolo cruciale nel ridimensionamento e nella riduzione delle disuguaglianze. In che modo? Lo spiega Francesco Bicciato, Segretario Generale, Forum per la Finanza Sostenibile.
Cosa significa per lei “Uguaglianza”?
La nostra visione di uguaglianza si allinea alla definizione di “giustizia sociale” adottata in Italia dal Forum Disuguaglianze e Diversità e ispirata all’analisi dell’economista Amartya Sen: “la capacità di ciascuno di fare le cose alle quali assegna un valore” senza“compromettere la possibilità delle future generazioni di avere la stessa o più libertà”. Uguaglianza, in altre parole, significa garantire le condizioni necessarie affinché ciascun individuo sia messo nelle condizioni di soddisfare le proprie aspirazioni senza pregiudicare equità ed inclusione sociale. Queste condizioni si articolano in diverse dimensioni della vita sociale: il lavoro e la disponibilità di reddito; la qualità e l’accesso ai beni comuni e ai servizi fondamentali, come l’istruzione e la sanità; i consumi e l’informazione.
Quali sono oggi in Italia le maggiori disuguaglianze?
Partiamo dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Nel 2018 l’Italia si posizionava al quint’ultimo posto tra i 28 Stati membri dell’Unione Europea e ben al di sotto della media UE nell’indice che misura la dinamica dei Paesi verso il conseguimento dell’Obiettivo 10 “Ridurre le Disuguaglianze”, come evidenziato dall’analisi effettuata dall’ASviS a partire da dati Eurostat. In base al World Inequality Database, nel 2018 il 50% più povero della popolazione deteneva poco meno del 21% del Reddito Nazionale, mentre il 10% più ricco ne possedeva oltre il 32%; inoltre, la forbice si è allargata dal 1980. Le conseguenze socio-economiche della pandemia di COVID-19 hanno contribuito ad allargare e inasprire alcune disparità endemiche del nostro Paese. Anzitutto quella di genere: già prima della crisi, Oxfam aveva rilevato che nel 2018 oltre il 10% delle italiane non aveva mai avuto un impiego per prendersi cura dei figli. Secondo dati della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nel secondo trimestre del 2020 c’erano 470.000 occupate in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, pari al 55,9% di tutti i posti di lavoro persi nell’anno. Su questo fenomeno ha pesato non solo la maggiore incidenza del lavoro femminile nei settori colpiti dalla crisi – come i servizi e la ristorazione – ma anche il sacrificio più elevato richiesto alle donne nella gestione della famiglia, soprattutto a causa della chiusura delle scuole. Inoltre, le lavoratrici sono soggette a notevoli carichi di lavoro familiare, domestico e professionale.
Con la pandemia è aumentato anche il divario generazionale: i Millennial e la generazione Z stanno pagando prezzi elevatissimi in termini di disoccupazione, mancate occasioni di inserimento nel mondo del lavoro e minori opportunità formative.Secondo l’ISTAT il tasso di occupazione dei cittadini italiani di età compresa tra i 15 e i 34 anni è passato dal 42,2% al 40% tra il terzo trimestre del 2019 e lo stesso periodo del 2020 (il dato complessivo è passato dal 45,2% al 44%).
Nel nostro Paese esistono profonde disuguaglianze anche a livello territoriale nel divario tra Nord e Sud e tra grandi centri urbani e aree interne. Questa categoria di diseguaglianze si articola in diverse dimensioni, tra cui il reddito e la qualità e l’accesso ai servizi fondamentali, come l’istruzione e la sanità.
La crescita d’importanza delle piattaforme digitali e di Internet ha esacerbato il cosiddetto “digital divide”, o divario digitale, tra coloro che hanno ecoloro che non hanno accesso a tecnologie e strumenti dell’informazione. Nel nostro Paese questo divario si articola anche in termini territoriali: secondo un recente reportil 12,3% dei ragazzi non possiede un pc o tablet, e il dato arriva al 20% nel Mezzogiorno.
Infine, ma non da ultimo, ricordo che già prima della pandemia l’incidenza della povertà era superiore nelle famiglie degli immigrati, che avevano già subito forti contraccolpi con la crisi economica del 2018; il rapporto ASviS 2020 ha evidenziato per il secondo trimestre del 2020 un calo del tasso di occupazione degli stranieri del 5,5%, un dato molto più elevato rispetto al totale del Paese (-1,9%).
Chi si deve far carico di contrastare le disuguaglianze?
Senz’altro il settore pubblico svolge una funzione cruciale a livello sia centrale, sia territoriale: è importante che tutti facciano la loro parte secondo il principio di sussidiarietà. In questo senso, una crescente responsabilizzazione sociale del settore finanziario può essere determinante.
Inoltre, è sempre più fondamentale il ruolo delle istituzioni europee. I 209 miliardi che l’Italia riceverà nell’ambito del piano Next Generation EU rappresentano un’opportunità importante per agganciare il rilancio dell’economia al conseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale. Come suggerito dal nome stesso dello strumento finanziario predisposto dalla Commissione Europea, “Recovery and Resilience Facility”, è importante che le misure adottate per la ripresa economica contribuiscano a compiere la transizione verso modelli di crescita più inclusivi e a ridotto impatto ambientale, che consentiranno al nostro Paese e all’Europa di reagire con maggiore efficacia alle sfide future, non solo sanitarie, ma anche ambientali e climatiche.
Inoltre, il Terzo Settore e il volontariato ricoprono un ruolo cruciale. Gli Enti di Terzo Settore, in particolar modo in questo momento di emergenza, stanno erogando servizi di welfare che non sempre il settore pubblico riesce a garantire. In generale, come evidenziato dalla proposta del Forum Diseguaglianze e Diversità, occorre agire su tre meccanismi che determinano la generazione e la distribuzione della ricchezza: il cambiamento tecnologico; la relazione tra lavoratori e imprese; il passaggio generazionale. Ritengo che anche e soprattutto nel contesto di rilancio dell’economia dopo la crisi sanitaria questi temi saranno cruciali per costruire nuovi modelli di crescita basati sulla giustizia sociale.
L’Unione Europea sta contribuendo a ridurre le disuguaglianze tra gli Stati membri e all’interno dei singoli Paesi?
L’Unione Europea ha messo in campo diversi strumenti e iniziative per contrastare le disuguaglianze e favorire una maggiore coesione territoriale, sia tra Paesi, sia all’interno degli Stati membri. In particolare, con l’adozione del Green Deal europeo – il programma di misure e investimenti per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 – la Commissione UE ha lanciato la proposta per un Meccanismo di Giusta Transizione, con un fondo volto a sostenere i Paesi, i settori economici e le fasce sociali maggiormente esposti agli effetti della progressiva decarbonizzazione dell’economia. Per esempio: i comparti produttivi legati all’industria del carbone. L’obiettivo è che la transizione ecologica non si traduca in un aumento del divario sociale tra regioni e all’interno dei Paesi.
A seguito della crisi generata dalla pandemia, la Commissione UE ha introdotto SUREper sostenere i Paesi che devono aumentare la spesa pubblica per proteggere l’occupazione. Nel 2020 la Commissione UE ha finanziato questo programma attraverso l’emissione di tre social bond che hanno consentito di raccogliere €39,5 miliardi, una cifra ben superiore alle aspettative iniziali. Prima della pandemia, la riflessione europea sui temi sociali è stata sviluppata dall’High-Level Task Force (HLTF) on Investing in Social Infrastructure in Europe. A gennaio del 2018 l’HLTF ha elaborato una serie di raccomandazioni sulle politiche pubbliche necessarie per colmare il divario di investimenti in infrastrutture sociali, all’epoca stimato tra i €100 e i €150 miliardi all’anno. Le aree di intervento ritenute prioritarie erano: istruzione,formazione permanente, settore abitativo, salute e assistenza di lungo-periodo(“long-term care”). Nel nuovo contesto caratterizzato dalla pandemia questi temi rimangono assolutamente attuali e le necessità finanziarie sono notevolmente aumentate: un segno ulteriore dell’importanza di indirizzare le misure di ripresa dell’economia verso una maggiore sostenibilità.
La pandemia ci ha insegnato qualcosa sull’importanza del contrasto delle disuguaglianze?
La pandemia sta evidenziando i rischi finanziari associati a contesti con elevati livelli di disparità sociale ed economica. Per esempio: stagnazione economica, che rende più complessa la ripresa dei consumi; masse significative di debiti e mutui non pagati, che si ripercuotono sulla stabilità delle istituzioni finanziarie; necessità di massicci interventi statali, con conseguenze sulla sostenibilità della spesa pubblica. Contrastare le disuguaglianze è quindi cruciale anche in termini di stabilità finanziaria e ripresa dell’economia.
La finanza sostenibile può contribuire a contrastare le disuguaglianze?
L’Investimento Sostenibile e Responsabile (SRI) ha l’obiettivo di creare valore per l’investitore e per la società attraverso l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di buona governance (ESG) nell’analisi finanziaria, con un approccio orientato al medio-lungo periodo.
In contesti già interessati da fragilità economica e sociale le problematiche legate a variabili ESG hanno un impatto ancora più accentuato. L’investimento sostenibile può dunque assumere un ruolo cruciale: anzitutto, l’integrazione dei criteri ESG nelle strategie e nei processi d’investimento consente di individuare rischi non catturabili con la sola analisi economico-finanziaria e di identificare le società (o gli emittenti corporate e governativi) in grado di proporre soluzioni innovative per cogliere le sfide di sostenibilità. Inoltre, gli investitori SRI – interessati non solo a ottenere rendimenti in linea o superiori a quelli di mercato, ma anche agli effetti ambientali e sociali delle politiche e strategie d’investimento – possono concorrere a ridurre le disuguaglianze finanziando società, iniziative e programmi incentrati sui temi ESG o promuovendo cambiamenti positivi nella gestione delle attività aziendali.
Ci sono esperienze che può citare?
Nel corso del 2020 diverse istituzioni finanziarie – internazionali come la Banca Mondiale e la Banca Africana di Sviluppo; europee come la Banca Europea per gli Investimenti; e italiane come Cassa Depositi e Prestiti – hanno emesso social bond, cioè obbligazioni finalizzate al finanziamento di progetti con ricadute positive in termini sociali. Una porzione significativa dei proventi è stata allocata in interventi volti a supportare i sistemi sanitari nazionali e ad alleviare le conseguenze socio-economiche negative della crisi sulle imprese e sulla popolazione. A fine ottobre il volume delle emissioni nel 2020 ammontava a quasi $72 miliardi a livello globale, il quadruplo rispetto al 2019; entro fine anno il valore potrebbe raggiungere i $100 miliardi.
Anche l’impact investing è una strategia d’investimento sostenibile particolarmente efficace per contrastare le disuguaglianze, anche attraverso l’integrazione degli SDGs. Nella fase di analisi che precede l’investimento, infatti, l’Agenda 2030 può essere usata come strumento di valutazione degli aspetti socio-ambientali associati ai progetti investibili. Inoltre, gli indicatori dei 17 SDGs permettono di misurare gli impatti generati, fornendo indicazioni su come orientare le scelte future.
Le Fondazioni di origine bancaria che ruolo possono giocare?
Le Fondazioni di origine bancaria sono attori fondamentali per la crescita sostenibile dei territori e sono una componente importante della “comunità SRI”, sia come investitori istituzionali, sia nella fondamentale azione erogativa. A seguito della pandemia di COVID-19 ricopriranno un ruolo ancora più cruciale nel rilancio socioeconomico del Paese: con la finanza sostenibile possono rinforzare la propria azione a supporto di una crescita più verde e inclusiva.L’integrazione dei criteri di sostenibilità nell’attività di gestione patrimoniale – una tendenza importante e in crescita – testimonia infatti che gli approcci della finanza sostenibile possono rappresentare uno strumento utile per rafforzare il ruolo naturale delle Fondazioni di promozione di sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Da un’indagine che abbiamo realizzato nel 2020 in collaborazione con Acri e con MondoInstitutional è emerso che in Italia le Fondazioni di origina bancaria che effettuano investimenti sostenibili sono particolarmente attive in termini di impact investing, con interventi concentrati soprattutto sull’housing sociale.In ottica di ripresa dell’economia, sarà importante promuovere un maggiore ricorso delle Fondazioni alla strategia dell’engagement – vale a dire il dialogo con le imprese investite e l’esercizio del diritto di voto con lo scopo di promuovere pratiche aziendali più sostenibili – per esempio attraverso iniziative di informazione e formazione sul tema
Che ruolo avrà la finanza sostenibile nella fase di ripartenza post emergenza?
Gli operatori di finanza sostenibile possono ricoprire un ruolo fondamentale, accanto all’azione del settore pubblico, nella gestione delle risorse del Next Generation EU. Pertanto, sarà importante dare valore alla partnership pubblico-privato come leva per generare investimenti nell’economia reale, secondo un’ottica di lungo periodo e con fiscalità agevolata. Tali investimenti dovranno essere indirizzati in settori strategici per l’azione sul clima, valorizzando l’esperienza maturata negli anni dagli operatori di finanza sostenibile e assicurando un’adeguata ripartizione dei rischi finanziari insiti nell’innovazione. A ottobre il Forum per la Finanza Sostenibile ha inviato al Presidente del Consiglio e a cinque ministri una lettera con otto proposte sull’utilizzo di strumenti di finanza sostenibile per indirizzare le risorse del piano Next Generation EU verso obiettivi di decarbonizzazione dell’economia e inclusione sociale. Ecco i temi delle proposte: 1) Impiegare la tassonomia europea delle attività eco-compatibili per identificare i settori strategici su cui intervenire per conseguire i sei obiettivi ambientali e climatici dell’UE; 2) promuovere gli strumenti di finanza sostenibile che accelerano il passaggio degli investimenti dai combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili; 3) allineare gli strumenti di finanza pubblica ai benchmark climatici; 4) emettere green bond sovrani e regionali; 5) emettere social, sustainability e transition bond sovrani e regionali; 6) modificare i vincoli di bilancio e i limiti di indebitamento per l’emissione di green e social bond sovrani e regionali; 7) incoraggiare l’erogazione di linee di credito vincolate a obiettivi di sostenibilità (sustainability-linked); 8) sostenere l’impact investing.