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Giovani: una minoranza che deve contare | Alessando Rosina

Intervista ad Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano

Alessandro Rosina è professore ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. È inoltre coordinatore scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e dell’Osservatorio sulla Condizione giovanile della Regione Lombardia. Con lui abbiamo parlato di generazioni a confronto e, soprattutto, della condizione, dello sviluppo, delle attese e delle difficoltà che oggi vive quella “minoranza” rappresentata dai giovani italiani. 

I giovani di oggi sono diversi da quelli di ieri? Il web, i social, i nuovi mezzi di comunicazione, hanno trasformato la generazione dei giovani di oggi rispetto a quelli del passato? 

Leggere il cambiamento sociale con una prospettiva generazionale è ancora più importante in epoche di forte accelerazione tecnologica, comunicativa e culturale, come quella attuale. Ignorare la chiave di lettura generazionale porta implicitamente ad assumere, per esempio, che avere vent’anni al momento dell’impatto della pandemia di Covid-19, negli anni Novanta o negli anni Sessanta sia la stessa cosa, senza alcuna differenza non solo nel sistema di vincoli e opportunità all’interno del quale si fanno scelte che condizionano il percorso successivo, ma anche in termini di interpretazione del proprio essere e fare nel mondo. È necessario, viceversa, partire dal presupposto che, chi è giovane oggi, viva condizioni, sviluppi sensibilità e maturi attese in modo diverso da quanto vissuto dalla generazione dei propri genitori e nonni alla stessa età. 

Oggi c’è una maggiore difficoltà di comunicazione e linguaggio fra generazioni diverse rispetto al passato? 

L’accelerata evoluzione delle nuove tecnologie porta le nuove generazioni a familiarizzare con modalità di informazione e comunicazione in continua evoluzione che diventano parte integrante della loro quotidianità prima ancora che l’uso – con consapevolezza di rischi e opportunità – si consolidi tra i genitori, gli educatori, gli adulti in generale. Diventa quindi una sfida continua quella di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda. Più in generale, le nuove generazioni non solo sono diverse da quelle precedenti ma vogliono essere e apparire tali, distinguendosi nel linguaggio e negli atteggiamenti, ma anche rispetto a valori e significati. L’idea di lavoro, le modalità di partecipazione sociale, le norme sociali di riferimento, il significato dato alla relazione di coppia e alla scelta di avere figli sono rimesse in discussione rispetto a quanto valeva per le generazioni formate nel secolo scorso. 

“È necessario partire dal presupposto che, chi è giovane oggi, viva condizioni, sviluppi sensibilità e maturi attese in modo diverso da quanto vissuto dalla generazione dei propri genitori e nonni alla stessa età”

La pandemia di Covid ha peggiorato la situazione? 

I dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, in coerenza con altre ricerche, evidenziano come nel suo complesso la pandemia abbia eroso in modo marcato le risorse positive interne e le competenze sociali in tutte le dimensioni. Un peggioramento che risulta maggiore per i giovani che vivono in contesti territoriali deprivati e con meno risorse socio- culturali di partenza. L’emergenza sanitaria ha, quindi, esasperato le diseguaglianze, ma ha prodotto anche una discontinuità su significati e priorità, oltre che sui comportamenti, con esiti non scontati sulle scelte di vita e sulle relazioni sociali. Se da un lato la pandemia li ha resi più vulnerabili, dall’altro lato li ha resi anche più attenti alle istanze della propria generazione, più insofferenti a chi chiede a loro semplicemente di conformarsi all’esistente e alle aspettative esterne. 

Lei pensa che le nuove generazioni vengano sufficientemente valorizzate? Le politiche giovani negli ultimi anni le hanno supportate? 

La carenza di investimenti sulla formazione di base e professionale, sull’orientamento, sulle politiche attive per l’incontro efficiente tra domande e offerta, sulla riqualificazione e l’aggiornamento continuo, su ricerca, sviluppo  e innovazione, hanno esposto maggiormente i giovani italiani, rispetto al resto d’Europa, al rischio di diventare Neet (gli under 30 che non studiano e non lavorano), ma anche a bassi redditi da lavoro e bassa valorizzazione del capitale umano. Questo, negli ultimi anni, ha portato a consolidarsi la percezione di vivere in un Paese non impegnato a crescere con loro, che non li mette nelle condizioni di contare e fare la differenza nella costruzione del futuro collettivo. A questo va unito anche il peso del debito pubblico scaricato sulle nuove generazioni che risulta un vincolo sullo sviluppo futuro. Questi squilibri generazionali, da un lato, frenano la possibilità di diventare autonomi dalla famiglia di origine e, dall’altro, spingono ad andare lontano, a cercare opportunità in altri paesi. 

“Ogni processo partecipativo, se è veramente tale, resta sempre aperto e flessibile, accoglie il cambiamento, l’inatteso e l’imprevisto”

Il calo delle nascite in Italia (ogni anno più importante) comporterà un cambio di equilibri nei rapporti fra generazioni presenti e future? 

In tutte le economie mature avanzate, come conseguenza della transizione demografica, la consistenza delle classi centrali lavorative sta andando progressivamente a indebolirsi, come mai in passato. Si tratta di una fase del tutto inedita e con forti implicazioni sulle condizioni di sviluppo. La carenza di risorse, come conseguenza di una più debole forza lavoro e di una maggior spesa per l’invecchiamento della popolazione, tende ad indebolire gli investimenti verso le nuove generazioni (in termini di formazione, politiche attive del lavoro, ricerca, sviluppo e innovazione, strumenti di autonomia e politiche familiari). Rischia, quindi, di vincolare progressivamente i paesi in accentuata crisi demografica, come l’Italia, in un percorso di basso sviluppo, opportunità e benessere in tutte le fasi della vita. Paradossalmente, proprio la debolezza demografica delle nuove generazioni può però anche favorire un’attenzione maggiore a ciò che possono dare e desiderano essere, anziché doversi meramente adattare (spesso al ribasso) a quello che ci si aspetta da loro. 

Vista l’esiguità numerica, i giovani possono essere definiti “minoranza”? 

Ci sono buoni motivi per considerare una minoranza le generazioni che si trovano oggi nella fase giovanile. Lo sono senz’altro dal punto di vista demografico. La fascia tra i 18 e i 34 anni contava in Italia oltre 13 milioni di persone all’inizio di questo secolo, ora sono circa 10 milioni. Nello stesso periodo gli over 65 hanno fatto il percorso opposto passando da poco più di 10 milioni a valori superiori ai 13 milioni e in continua crescita. Oltre ad avere un peso elettorale in riduzione, più bassa rappresentanza politica e sottorappresentazione nelle istituzioni pubbliche, i giovani si trovano anche con minor spesa pubblica (sempre più assorbita dalle voci che riguardano la previdenza e la salute degli anziani), più alti tassi di disoccupazione, percorsi di ingresso nel mondo del lavoro meno stabili, salari più bassi e più incertezza sul proprio futuro previdenziale. Inoltre, nel dibattito pubblico, la narrazione nei loro confronti è spesso negativa e stereotipata, con tendenza a mettere più in luce le condotte negative che riconoscerne aspetti positivi e interpretare senza pregiudizi le specificità. 

“Le organizzazioni che avranno maggior successo nei prossimi decenni saranno quelle in grado di favorire il riconoscimento di valore e una relazione positiva tra le diverse generazioni”

In ambito professionale, il dialogo intergenerazionale si assesta più su un campo di “conflitto” o di “cooperazione” reciproca? 

La collaborazione tra generazioni e diversità in generale non è scontata, se non si favoriscono le condizioni adatte prevalgono tensioni e conflittualità. Le aziende e le organizzazioni che avranno maggior successo nei prossimi decenni saranno quelle in grado di favorire il riconoscimento di valore e una relazione positiva tra le diverse generazioni, tra uomini e donne, tra fattore umano e nuove tecnologie, tra competenze tecniche e life skills, tra territorio in cui si opera e rete internazionale, tra condizioni del presente e potenzialità future. Andare in questa direzione aiuta anche a compensare gli squilibri demografici e a cogliere le sfide dei cambiamenti in atto. 

Dalla rivista Fondazioni giugno 2024