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La casa non si possiede, si vive | Andrea Staid

Testimonianza di Andrea Staid
per Fondazioni marzo 2024

Andrea Staid è docente di Antropologia culturale e visuale presso Naba e di antropologia culturale presso Università degli studi di Genova. Dirige per Meltemi la collana Biblioteca/Antropologia. Tra le sue ultime pubblicazioni: I dannati della metropoli (Milieu 2014), Contro la gerarchia e il dominio (Meltemi 2018), Disintegrati (Nottetempo 2020), La casa vivente (ADD 2021), Essere natura (UTET 2022).

Da un punto di vista antropologico abitare è qualcosa di molto più profondo che aver a che fare solo con una merce che possiedi. Infatti, abitare è uno dei principali comportamenti degli esseri umani e significa “avere consuetudine con un luogo”. «La casa è una sostituzione del ventre materno, della prima dimora», scriveva Freud nel 1929. Come possiamo dargli torto? Lo spazio in cui viviamo riunisce, o dovrebbe riunire, esigenze pratiche e funzioni simboliche. Questo discorso è valido sia per l’essere umano stanziale, sia per il nomade perché la casa è un bisogno primario, si tratti di una capanna o un tetto fatto solo di foglie. La casa, intesa come costruzione, è una conseguenza della sedentarizzazione dell’uomo posteriore all’avvento dell’agricoltura nel Neolitico. Da quel momento, la maggior parte di noi ha abbandonato l’esistenza nomade in favore di quella stanziale. Abitare una casa o meglio uno spazio, nell’accezione antropologica del termine, significa potervi investire desideri, sogni, ricordi per farne un “luogo identificabile” e nel quale riconoscersi. La casa è un luogo di produzione e di consumo in cui si articolano sia le dimensioni del privato sia del pubblico. In casa si intrecciano le relazioni fra il luogo e le persone. Se non pensata come mera merce, ma come un organismo complesso, la casa è viva, nel vero senso della parola.

“Abitare una casa o meglio uno spazio, nell’accezione antropologica del termine, significa potervi investire desideri, sogni, ricordi per farne un “luogo identificabile” e nel quale riconoscersi”

Lo studio da dove scrivo questo testo fa riflettere proprio sull’agency dei materiali. È una casa viva e lo posso capire facilmente perché ho la fortuna di poggiare i piedi su travi di legno che, insieme ad amici architetti, abbiamo posato con cura, fatica e pazienza. Le pareti respirano, sono state costruite con lentezza in paglia e terra. Ma, anche in una casa comune, gli elementi che ci circondano mutano nel tempo e hanno delle specifiche caratteristiche, tutto sta nel saper osservare meglio quello che ci circonda. Come ci ricorda Friedensreich Hundertwasser, artista e architetto di origini austriache, l’uomo possiede tre pelli: la propria, gli abiti e la dimora. Tutte e tre devono rinnovarsi, crescere e mutare. Se la terza pelle, ovvero la casa, non cresce e non si modifica con le altre, si irrigidisce e muore, come la cute secca. Nel nostro mondo attuale, transculturale e globalizzato, è urgente comprendere come abbiamo vissuto e concepito la casa per la maggior parte della nostra esistenza. È interessante pensare a come viviamo oggi e confrontarci con le diverse nozioni di utilizzo e di organizzazione dello spazio nativo; questo “gioco” può fornirci strumenti significativi per elaborare strategie coerenti e creative con l’obiettivo di ripensarci nello spazio in cui viviamo. Culture che per troppo tempo abbiamo considerato “primitive”, senza storia, immobili, se studiate correttamente possono dimostrarsi un vero archivio di possibilità. Le architetture indigene e la loro gestione dello spazio possono aiutarci a ri-concettualizzare il senso stesso dell’abitare i luoghi, dandoci una definizione differente di che cos’è un territorio. Ogni società umana, infatti, elabora un complesso di rappresentazioni attraverso il quale lo spazio viene concepito come più o meno ordinato. Le categorie attraverso cui si realizza questo ordine della dimensione spaziale implicano l’intersecarsi di una molteplicità di sfere di attività: la relazione con l’ambiente fisico e l’influenza delle attività umane sulla formazione e la percezione del paesaggio culturale, il sistema economico e le forme di sfruttamento del territorio, le relazioni di scambio e parentela. Come costruiamo lo spazio ci identifica e modifica i nostri comportamenti in modo concreto. Gli spazi abitati, in quanto costruzione materiale e sociale, costituiscono una sorta di memoria, o meglio un habitus per usare le parole del sociologo Pierre Bourdieu.

Dalla rivista Fondazioni gennaio – marzo 2024