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A scuola non basta portare il tablet | Dianora Bardi

Intervista a Dianora Bardi, fondatrice di Associazione Impara Digitale

“Dobbiamo allineare la transizione digitale tra scuola e società”. Ne è convinta Dianora Bardi, tra le prime insegnanti ad adottare gli strumenti digitali nelle scuole italiane. Attenzione, però, il digitale è solo uno strumento, non può sostituire la progettazione didattica. L’abbiamo intervistata.

Quando si parla di digitale in relazione ai giovani succede spesso che si citino i rischi per la loro crescita più che i vantaggi; perché secondo lei?

Prima di quello sui giovani, vorrei che si parlasse dell’impatto che la tecnologia sta avendo sugli adulti. Il digitale non ha cambiato solo le vite dei più giovani, anche gli adulti si sono “virtualizzati”. Nelle indagini che facciamo con l’Associazione Impara Digitale, i ragazzi ci dicono che non c’è sempre dialogo con gli adulti, che spesso sono altrettanto assorbiti dalle tecnologie. Inoltre, i ragazzi crescono con un device digitale in mano, ma chi è a darglielo? Se i più piccoli osservano i genitori sempre con il telefono vicino, imparano questo. In un’altra ricerca è emerso che ci sono genitori che inviano una media di venti messaggi ai ragazzi in mattinata, durante l’orario scolastico. Come ci si può sorprendere che loro abbiano sempre il telefono in mano? I ragazzi, però, non pongono attenzione alla tecnologia: per loro è trasversale, “naturale”. Infatti, se quando siamo in classe li coinvolgiamo, li attiviamo e li rendiamo protagonisti e partecipi, loro reagiscono e sono perfettamente in grado di comprendere come e quando utilizzare gli strumenti tecnologici, o non usarli, secondo l’esigenza didattica del momento.

Lei lo ha sperimentato in prima persona.

Nel 2010, sono stata la prima insegnante a portare i tablet nelle classi, per farli utilizzare ai ragazzi come strumento attraverso il quale apprendere in modalità del tutto nuova: come supporto per leggere e scrivere molto di più. Ho, infatti, abolito i libri di testo, spronando i ragazzi a cercare fonti sia nell’immaterialità che sui molti libri cartacei messi a disposizione nella classe e nella biblioteca della scuola; così che i ragazzi potessero creare una loro personale biblioteca virtuale. Però non ho fatto solo questo, ho anche modificato l’ambiente, togliendo i banchi che creavano ostacoli alla collaboratività, favorendo così i lavori di gruppo. Ho cercato, cioè, di adeguare gli spazi alle nuove modalità di apprendimento, sia fisici che virtuali, così che fosse possibile la co-creazione del sapere. Quindi, ho sostituito la lezione frontale con una lezione “laterale”, in cui intervenire nell’approfondimento e nella spiegazione in base alle necessità dei ragazzi, sedendo accanto a loro, in cerchio o comunque non dietro a banchi in una organizzazione strutturata. Perché, se la professoressa viene percepita come una persona che è lì per aiutare, e non solo giudicare, è più probabile che l’aiuto venga richiesto, e che ci si metta maggiormente in gioco.

“I ragazzi crescono con un device digitale in mano, ma chi è a darglielo? Se i più piccoli osservano i genitori sempre col telefono vicino è questo che imparano”

Le tecnologie digitali sono entrate prepotentemente nella scuola durante la pandemia. Che impatto ha avuto questo su studenti e insegnanti? Cosa è successo dopo?

Con la DAD, per la prima volta, gli insegnanti sono entrati nel mondo dei ragazzi. Hanno potuto interagire con gli studenti tramite strumenti che prima non utilizzavano mai. Gli adulti hanno avuto la possibilità di sperimentare in prima persona come si apprende dalla rete, come si rielabora, come cambiano i tempi della formazione e del lavoro. Purtroppo, dobbiamo essere onesti, il ritorno è stato in alcuni casi non positivo. Nel momento in cui si è tornati a scuola, nell’ultimo mese dell’anno scolastico post pandemia, i docenti hanno voluto recuperare le interrogazioni tradizionali, creando non pochi disagi agli studenti. Il problema è che, iniziato l’anno scolastico successivo e tornati a una pseudo normalità, le tecnologie spesso sono state abbandonate e si è tornati in molti casi alla lezione tradizionale e frontale abbandonando tutto ciò che anche di positivo vi era stato nella DAD.

Questo perché, secondo lei?

Il problema fondamentale della scuola è la  mancanza di una strategia olistica dell’innovazione da parte dei singoli istituti scolastici e di una visione sulla trasformazione didattica. Nel corso degli anni, gli insegnanti sono stati subissati di corsi di formazione, essenzialmente sull’uso degli strumenti, ma le trasformazioni delle tecnologie è continuo ed è difficile riuscire a rimanere costantemente aggiornati. Per molti anni si è parlato di coding, poi di robotica, poi di metaverso, oggi di intelligenza artificiale. È davvero difficile che si riesca non tanto a studiare gli aspetti tecnici di tutte queste innovazioni, quanto a comprenderne il valore didattico. Ci vuole molto tempo, sperimentazioni in classe, comprensione delle positività e delle criticità. Ma questo tempo non c’è, per cui si tende a rimanere legati alla tradizione che pur tante certezze ha dato ai docenti nel corso della loro vita di insegnamento. Per questo bisogna porsi un altro interrogativo.

“Con la DAD, per la prima volta, gli insegnanti sono entrati nel mondo dei ragazzi. Hanno potuto interagire con gli studenti tramite strumenti che prima non utilizzavano mai. Purtroppo, il ritorno è stato in alcuni casi non positivo”

Quale?

Che impatto ha lo strumento sulla didattica? Non dobbiamo conoscere perfettamente ogni nuova tecnologia, ma è cruciale interrogarsi e riflettere sull’impatto che può avere sul lavoro che si fa con i ragazzi. Questo è quello che devono fare gli insegnanti: non c’è necessità di conoscere completamente (a fondo) gli strumenti, al contrario, è fondamentale capire in che modo possono essere usati per agevolare la didattica e rendere la scuola e l’insegnamento più accessibili per i ragazzi.

Che ruolo ha l’Associazione Impara Digitale in questo contesto?

Impara Digitale nasce nel 2012. Io ho contribuito portando la mia esperienza di didattica innovativa fatta non solo con strumenti digitali, ma anche con un modo diverso di vivere gli ambienti in cui il benessere prendesse il sopravvento sulla tecnologia, dove si potesse lavorare in una forma di co-working, evitando lo stress. Ho tolto i banchi, ho fatto la “scuola casa”, arredata con cuscini, lampade, piante, dove i ragazzi erano liberi di muoversi. Abbiamo deciso, insieme con altri studiosi ed esperti di informatica come ad esempio Stefano Quintarelli e Francesco Sacco, di unirci per promuovere e portare l’idea di innovazione didattica nelle scuole. L’Associazione non ha scopo di lucro, ci supportano alcuni partner profit. Per tanti anni abbiamo fatto eventi, formazione, abbiamo girato l’Italia; non è stato sempre facile, bisogna ammetterlo, però credo che abbiamo raggiunto dei risultati.

“Dobbiamo fare una scuola per gli studenti con gli studenti, dobbiamo renderli protagonisti, ascoltare le loro esigenze, provare a capire in che direzione stanno andando. Se non facciamo questo perdiamo contatto con loro e poi recuperarlo è sempre più difficile”

Può farci qualche esempio?

Abbiamo aperto la piattaforma di “curriculum mapping”, per facilitare la condivisione delle progettazioni tra docenti e scuole dello stesso network educativo, la loro supervisione da parte dei coordinatori didattici, la fruizione ordinata e integrata dei contenuti didattici digitali da parte degli studenti. Oggi ci sono oltre 400mila diverse unità caricate da centinaia di migliaia di docenti che hanno visitato e popolato la piattaforma. C’è il sito metodologie didattiche. it, nato dall’esigenza di dare un quadro, quanto più completo possibile delle metodologie dei docenti che usano il digitale nelle proprie classi per rendere sempre più attiva e coinvolgente la propria lezione nel contesto della didattica per competenze. Il sito è visitato ogni anno da un milione di utenti che possono accedere gratuitamente. Poi ci sono gli “Stati generali della scuola digitale”: un evento che ogni anno coinvolge circa sessanta relatori nazionali e internazionali di altissimo livello che alimentano il dibattito. Mi permetta, però, di sottolineare una cosa in particolare.

Prego.

Dobbiamo fare una scuola per gli studenti con gli studenti, dobbiamo renderli protagonisti, ascoltare le loro esigenze, provare a capire in che direzione stanno andando. Impara Digitale è un nodo di una grande rete, tutti quelli che partecipano alla formazione dei ragazzi devono collaborare. Se non facciamo questo perdiamo contatto con loro e poi recuperarlo è sempre più difficile.

Dalla rivista Fondazioni settembre – dicembre 2023