Intervista a Diego Ciulli, Head of government affairs and public policy di Google Italy.
“La mia generazione ha di fronte una sfida fondamentale: affrontare un cambiamento tecnologico rivoluzionario, mitigandone gli impatti sociali negativi e capendo come non escludere le persone. I più giovani, invece, dovranno capire una cosa diversa: come si organizza una società in cui le macchine sono in grado di fare quelle molto meglio di noi, soprattutto alcune cose che non ci piace fare”. Parlando recentemente a una platea di studenti, ha sintetizzato in maniera molto efficace quali sono le opportunità e i rischi della transizione digitale e dell’intelligenza artificiale in particolare. Lui è Diego Ciulli, Head of government affairs and public policy di Google Italy. L’abbiamo intervistato.
Cosa intende lei per transizione digitale?
Siamo in un passaggio di fase. La trasformazione digitale fino a pochi anni fa aveva a che vedere con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ovvero, principalmente come permettere alle imprese di un Paese di esportare in tutto il mondo, contattando i propri clienti online, facendo pubblicità mirata sui mercati di riferimento all’estero. Oggi stiamo vivendo una nuova fase. Ormai l’intelligenza artificiale permea tutta la tecnologia. Per questo la fase di trasformazione digitale che stiamo vivendo non riguarda più la comunicazione, ma quello che sta cambiando è il modo di produrre da parte delle imprese. Sempre di più, ormai, l’intelligenza artificiale è in grado di riconoscere i video e le immagini, e questo consente di automatizzare meglio alcune fasi della lavorazione, come selezionare prodotti che escono da una linea, monitorare l’usura dei macchinari, analizzare i dati in tempo reale per organizzare meglio i magazzini e movimentare la merce in maniera più efficiente, risparmiando sui costi e riducendo l’impatto ambientale. Questa trasformazione è in atto ora e bisogna accompagnare le imprese italiane a coglierne le opportunità.
È piuttosto evidente quale sia stato il ruolo di Google nella prima fase della trasformazione. Cosa farà nella seconda fase?
Google costruisce grandi sistemi di intelligenza artificiale e li mette a disposizioni di tutti. Si tratta di sistemi che “insegnano” alle macchine a fare alcune attività, come riconoscere le immagini, comprendere i suoni e il linguaggio naturale, elaborare grandi quantità di dati, individuare alcuni segnali ed estrarne conoscenza. Google costruisce questi sistemi, che vengono chiamati “modelli fondamentali”, e li mette a disposizione – spesso gratuitamente in modalità open source – delle imprese e delle organizzazioni in tutto il mondo, affinché possano adattarli alle loro specifiche esigenze. Ad esempio, la tecnologia sviluppata da Google per il riconoscimento delle immagini, Lens, che è utilizzata quotidianamente da milioni di persone per gli usi più disparati tramite il cellulare, la mettiamo a disposizione delle grandi imprese dell’agricoltura per monitorare il livello di irrigazione e concimazione dei campi. La tecnologia è la stessa, ma c’è bisogno di attori del territorio che costruiscano modelli specifici, che adattino la tecnologia alle esigenze locali.
“Ormai l’intelligenza artificiale permea tutta la tecnologia. Per questo la fase di trasformazione digitale che stiamo vivendo non riguarda più la comunicazione, ma quello che sta cambiando è il modo di produrre da parte delle imprese”
Google cosa ci guadagna?
L’intelligenza artificiale per funzionare ha bisogno di una grandissima potenza di calcolo e quindi di server dedicati su cui far lavorare gli algoritmi. Google fornisce i modelli di intelligenza artificiale e i server su cui farli funzionare con un canone a consumo.
Quando si parla di transizione digitale si fa sempre riferimento ai suoi costi sociali. Lei cosa ne pensa?
Partiamo da un dato. Nelle grandi trasformazioni tecnologiche è sempre successo che perdono più posti di lavoro i settori o i Paesi che non le adottano rispetto a quelli che le adottano. Di fronte alle trasformazioni tecnologiche, per salvare posti di lavoro, occorre essere rapidi nell’adottare le innovazioni. Il motivo è semplice: le trasformazioni tecnologiche distruggono alcuni posti di lavoro e ne creano altri ma, se non si innova, vengono distrutti tutti, perché altri sistemi concorrenti attraggono di più e vincono sul mercato Per questo abbiamo bisogno di rendere inclusiva la trasformazione generata dal digitale e dall’intelligenza artificiale.
“L’AI trasformerà una serie di lavori, ma saranno principalmente quelli noiosi e ripetitivi, quelli che le macchine fanno meglio degli uomini. Non saranno coinvolti quelli più tipicamente “umani” e quelli da cui le persone traggono maggior realizzazione”
E come si fa?
L’AI trasformerà una serie di lavori, ma saranno principalmente quelli noiosi e ripetitivi, quelli che le macchine fanno meglio degli uomini. Non saranno coinvolti quelli più tipicamente “umani” e quelli da cui le persone traggono maggior realizzazione. Questa trasformazione è quindi una straordinaria occasione per mettere le persone al centro e ri-umanizzare il lavoro. Ovviamente si tratta di un percorso che deve essere accompagnato: bisogna mettere le persone nella condizione di svolgere lavori in cui è necessario un maggiore grado di comprensione. Ed è questa la grande sfida dei prossimi anni: creare competenze nuove per un settore nuovo. Oggi non dobbiamo solo aumentare i laureati in ingegneria, ma dobbiamo agevolare tutti i lavoratori che potrebbero utilizzare l’intelligenza artificiale. Quindi abbiamo bisogno di nuove modalità di aggiornamento professionale e di un’attenzione rivolta non solo alle nuove generazioni ma, forse soprattutto, a coloro che già sono all’interno del mondo del lavoro. Perché le imprese italiane saranno in grado di adottare l’intelligenza artificiale solo se avranno lavoratori in grado di lavorare con l’AI. Google vuole collaborare, anche in Italia, con le Istituzioni e il Terzo settore per agevolare questa transizione.
Proprio allo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale per il made in Italy è dedicato il bando “CrescerAI”, che avete affidato all’impresa sociale Fondo per la Repubblica Digitale. Come è nata questa collaborazione?
Noi conosciamo e siamo estimatori del Fondo per la Repubblica Digitale sin dalla sua creazione. Quando ci è venuta l’idea di fare qualcosa per favorire l’adozione di forme di intelligenza artificiale per le imprese del made in Italy, ci è sembrato naturale rivolgerci al Fondo. Innanzitutto, abbiamo identificato un problema: in Italia c’è una debolezza strutturale del sistema, che non è in grado di creare modelli complessi di intelligenza artificiale da adattare a esigenze specifiche. C’è bisogno di alimentare questo ecosistema, altrimenti il Paese perde una grande opportunità. Il mercato da solo non ci è riuscito. Quindi, abbiamo pensato ci sia bisogno di un’iniziativa non profit per stimolare l’intero sistema. CrescerAI va in questa direzione: incoraggiare il mondo della ricerca italiana a esplorare soluzioni che aiutino le imprese del made in Italy a cogliere questa potenzialità.
“In Italia c’è una debolezza strutturale del sistema, che non è in grado di intercettare modelli complessi di intelligenza artificiale da adattare a esigenze specifiche. C’è bisogno di alimentare questo ecosistema, altrimenti il Paese perde una grande opportunità”
Perché avete scelto il Fondo per la Repubblica Digitale come partner in questa operazione?
Google interviene solo in partnership con grandi soggetti del Paese. Le iniziative di cui stiamo parlando sono talmente vaste che, per poter “atterrare” in maniera efficace, devono sempre avere partner locali forti e radicati. Il Fondo Repubblica Digitale, nato dalla partnership tra il Governo e le Fondazioni di origine bancaria, che punta a fornire competenze digitali e ad accelerare la trasformazione digitale del Paese, per noi è una buona policy, ed è l’interlocutore giusto per realizzare questa operazione.
Per finire, è ottimista sulle reali possibilità che il nostro Paese colga le opportunità dell’intelligenza artificiale?
Ci sono un paio di elementi che differenziano l’Italia dagli altri grandi paesi europei. Nella prima fase della transizione digitale (quella legata alla comunicazione) le grandi imprese italiane sono state veloci ad adottare le nuove tecnologie quanto le loro concorrenti francesi e tedesche. Ma il nostro sistema è caratterizzato prevalente da PMI, che sono state un po’ più lente ad adottare le innovazioni. Questo ha determinato un complessivo ritardo del Paese. C’è il rischio che questo possa succedere anche oggi. Per questo dobbiamo concentrarci sul favorire l’adozione dell’intelligenza artificiale da parte delle PMI. L’aspetto che mi fa essere ottimista è che questo tipo di tecnologia si sposa molto con la capacità di innovazione della PMI italiana, che è poco disposta a investire in marketing e comunicazione, ma che è, invece, tradizionalmente propensa a investire in trasformazione di processo. E l’intelligenza artificiale va proprio in questa direzione.
Dalla rivista Fondazioni settembre – dicembre 2023