Intervista a Maria Chiara Carrozza, presidente CNR
Il CNR è un l’ente pubblico con il compito di realizzare progetti di ricerca scientifica nei principali settori della conoscenza e di applicarne i risultati per lo sviluppo del Paese. A spiegarci il ruolo della comunità scientifica nell’era della transizione digitale è la prima presidente donna del CNR, Maria Chiara Carrozza.
Presidente, come definirebbe la transizione digitale?
Come una sfida dei nostri tempi, la cui posta in palio è un cambiamento che investirà il modo di lavorare, produrre, studiare, vivere. Oggi siamo già immersi in una società digitale, con vantaggi che sperimentiamo quotidianamente ogni volta che, grazie a uno smartphone o a un device portatile, compriamo un bene, accediamo a un servizio, o svolgiamo con un semplice click un qualche compito che prima, nell’era analogica, avrebbe richiesto numerosi passaggi. Realizzare appieno la transizione digitale significherà, a livello più generale, essere al centro di un cambiamento culturale che investirà tanto le nostre abitudini quotidiane quanto il modo di operare di imprese, enti pubblici, comunità scientifica, amministrazioni. Un cambiamento che sarà efficace solo se sarà condiviso da tutta la società.
Quali sono le opportunità della transizione digitale? E quali i rischi?
Le opportunità sono moltissime, alcune sono già realtà: pensiamo solo a come, grazie alla digitalizzazione, sta cambiando il rapporto tra istituzioni pubbliche e cittadini, con molti processi e servizi che stanno via via diventando più rapidi, efficienti, trasparenti. O a quanto le tecnologie digitali possono rendere più “smart” città e spazi urbani, mettere in connessione comunità isolate o intere fasce di popolazione che non hanno la possibilità di interagire con l’esterno. Nel momento della pandemia, ad esempio, abbiamo visto tutti come cloud e piattaforme digitali si siano rivelati strumenti straordinari per superare l’isolamento e continuare a lavorare, studiare, leggere, giocare, assistere a un concerto o sentire una conferenza… Tuttavia, questo progressivo “allargamento” dei confini del digitale a molti ambiti del nostro vivere non deve lasciare indietro nessuno: il rischio che la transizione digitale porta con sé è proprio il fatto di escludere, anziché includere.
“Realizzare appieno la transizione digitale significherà essere al centro di un cambiamento culturale che investirà tanto le nostre abitudini quotidiane quanto il modo di operare di imprese, enti pubblici, comunità scientifica, amministrazioni”
Cosa occorre fare per rendere accessibili a tutti le opportunità di questa transizione? Chi deve farlo?
Occorre agire su più fronti: da un lato contribuire a superare l’analfabetismo digitale, a tutti i livelli, a partire dai più giovani, ad esempio lavorando con le scuole e formando docenti che siano in grado di impartire ai giovani un’“educazione digitale”, oggi particolarmente importante. Dall’altro, occorre investire su infrastrutture e servizi che possano via via azzerare quel divario digitale che ancora si registra nel nostro Paese, così come in tante aree disagiate del mondo: la possibilità di accedere o meno alla rete non deve diventare fonte di disuguaglianza.
Rispetto agli altri paesi europei, quali sono le prospettive per l’Italia?
Numerosi rapporti e studi indicano un progressivo miglioramento del nostro Paese per quanto riguarda l’accesso alla rete, ma occorre ancora lavorare su infrastrutture per l’alta velocità. Ridurre il digital divide significa, infatti, ridurre le distanze sociali e territoriali, con benefici anche economici.
“Occorre agire su più fronti: da un lato contribuire a superare l’analfabetismo digitale, dall’altro investire su infrastrutture e servizi che possano via via azzerare quel divario digitale che ancora si registra nel nostro Paese”
Esiste un legame tra transizione digitale e transizione ambientale? Quale ruolo può svolgere la ricerca?
Certo, sono due cambiamenti che viaggiano di pari passo, e che devono trovare un punto di equilibrio: la progressiva digitalizzazione di servizi e attività, infatti, porta inevitabilmente con sé un’impronta ambientale di cui non si può non tenere conto nel momento in cui si mettono a punto soluzioni per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. In questo delicato contesto, il compito del mondo scientifico è, quindi, quello di coniugare in maniera efficace competenze trasversali, affrontando questa grande sfida con una visione innovativa.
L’intelligenza artificiale apre una nuova fase della transizione digitale. Qual è la sua opinione?
Quando il tema della transizione digitale si incrocia con quello dell’intelligenza artificiale – che della transizione digitale è e sarà una componente essenziale – si riapre inevitabilmente il dibattito sui rischi che derivano dal suo uso. In realtà, io ritengo che l’intelligenza artificiale sia uno strumento che possa aprire nuove strade, nuovi modi di fare innovazione, e che vada esplorata e conosciuta, più che temuta. Nel mondo scientifico, ad esempio, esistono già molteplici applicazioni basate sull’AI che permettono di raggiungere risultati impensati fino a pochi anni fa: pensiamo all’eco-robotica per svolgere ricerche in luoghi inaccessibili all’essere umano, come i fondali marini o le aree più remote del pianeta; agli algoritmi di intelligenza artificiale su cui sono basati molti modelli predittivi climatici; alle applicazioni della robotica e dell’AI in ambito sanitario e riabilitativo, o nel campo della sicurezza. Sono del parere che occorra avere una visione positiva di come le tecnologie possano migliorare la qualità della vita, e l’intelligenza artificiale ne è un esempio: quanto più la comunità scientifica – ma anche i giovani e il mondo dell’università- saprà impadronirsene, tanto sarà più in grado di utilizzarla per liberare nuove forme di creatività e inventività.
Il CNR ha appena compiuto 100 anni. Quale è stato il suo ruolo: ha contributo a innescare le trasformazioni? Le ha accompagnate? Cosa fa oggi?
In questi 100 anni di storia che abbiamo appena celebrato, il Consiglio nazionale delle ricerche si è via via posto al servizio del Paese realizzando la sua missione istitutiva: coordinare e stimolare l’attività nazionale nei vari ambiti della ricerca scientifica e delle sue applicazioni tecnologiche. Oggi, di fronte ai grandi cambiamenti che stiamo vivendo a livello globale, la sfida della comunità scientifica è quella di contribuire a individuare nuove soluzioni per affrontare i grandi temi dai quali dipenderà il nostro futuro; temi che abbiamo racchiuso nelle dieci parole chiave scelte per le celebrazioni del Centenario: oltre alla transizione digitale, sostenibilità, biodiversità, energia pulita, economia circolare, scienze della vita, “one health”, patrimonio culturale, pace e diplomazia scientifica.
Dalla rivista Fondazioni settembre-dicembre 2023