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Se ti impegni, ce la fai? | Maura Gancitano

Intervista a Maura Gancitano, divulgatrice
per Fondazioni marzo 2023

Tlon è un progetto filosofico di divulgazione realizzato da Maura Gancitano e Andrea Colamedici. Tanti i temi che hanno approfondito e reso accessibili tramite i social network, gli eventi, i percorsi formativi e la loro casa editrice Tlon. Tra questi, la distinzione tra talento e vocazione e la correlazione con il merito, che è il nucleo della loro ultima pubblicazione “Ma chi me lo fa fare?” per Harper e Collins. Li abbiamo intervistati.

Cos’è il talento?

Il talento è una capacità che può essere innata o facilmente sviluppabile ma che non corrisponde necessariamente alla direzione “giusta” da prendere nel percorso di vita di una persona. È importante distinguere il talento dalla vocazione, che è invece ciò per cui ci sentiamo chiamati, che dà senso al nostro stare nel mondo e che, spesso, non è sovrapponibile al talento. Il talento, infatti, può persino rappresentare un ostacolo o una gabbia, soprattutto nella società in cui viviamo, ossessionata dalla ricerca e dall’elogio del talento, delle grandi potenzialità. La storia è piena di esempi di talenti eccezionali che sono diventati devastanti e autodistruttivi perché inseguiti ossessivamente, rispondendo alla concezione strutturale della nostra società che lega saldamente il talento alla “performatività”, all’utilità sociale, alla grandezza. La realtà è che la quasi totalità delle persone non ha un talento eccezionale, non risponde ai modelli e agli standard che la società ostenta e impone e questo provoca un grande senso di inferiorità e di inadeguatezza. Non saremo tutti dei grandi talenti, ma possiamo comunque imparare e coltivare le nostre abilità ottenendo ottimi risultati.

“La realtà è che la quasi totalità delle persone non ha un talento eccezionale, non risponde ai modelli e agli standard che la società ostenta e impone e questo provoca un grande senso di inferiorità e di inadeguatezza” 

Le condizioni di partenza, familiari e del contesto di vita, incidono sulla consapevolezza dei propri talenti e della vocazione? Le condizioni di partenza hanno un’importanza enorme. Non solo la condizione socio-economica, ma anche quella che Pierre Bourdieu, grande filosofo e sociologo francese, chiamava “valuta culturale”, il patrimonio culturale di partenza. Su questo tema, Bourdieu porta alla luce un concetto all’apparenza piccolo, ma che riesce invece a spiegare molto bene quanto l’ambiente culturale in cui siamo cresciti influisce sulla nostra vita: la disinvoltura. La disinvoltura di chi è abituato a frequentare certi luoghi culturali, affrontare specifici discorsi, utilizzare un tipo di linguaggio. Di contro, il grande senso di disorientamento di chi non è abituato e dunque non è disinvolto comporta l’esclusione o l’autoesclusione.

Su questo tema, bisogna considerare anche la questione del riconoscimento?

Sì, perché l’ altro aspetto fondamentale è quello educativo, il cosiddetto “effetto pigmalione”: la presenza o meno di figure che vedano e riconoscano le capacità di una persona, orientandola nel proprio percorso, incide fortemente sull’accesso a quelle capacità, sulla possibilità di svilupparle e sul grado di consapevolezza di quello che si è e del proprio potenziale. Possiamo avere delle grandi capacità, anche eccezionali, ma se non c’è nessuno che le vede, difficilmente si esprimeranno e quindi si apriranno possibilità per metterle in atto. Per questo, l’ambiente circostante è fondamentale. Non è vero che “se ti impegni ce la fai” e che l’impegno ripaga, perché il farcela è strettamente correlato alle forti disuguaglianze esistenti. Possiamo scoprire e coltivare i nostri talenti se siamo nati nel luogo, nel momento e nel ceto sociale giusto.

“In Italia, il 91% dei dottorandi non prosegue la carriera accademica: una grave perdita collettiva di persone che vorrebbero mettere a servizio le loro competenze, ma non possono perché non ci sono le condizioni per farlo” 

Chi dovrebbe farsi carico di colmare queste disuguaglianze? Le Istituzioni, attraverso strutturati sostegni economici e una necessaria trasformazione dell’approccio educativo. L’incapacità di ideare e attuare modelli che sappiano rispondere ai diversi bisogni educativi comporta uno spreco di talenti che vengono repressi, non visti, non valorizzati. A titolo esemplificativo: un ragazzo o una ragazza con un alto potenziale cognitivo incontra grandi difficoltà nel suo percorso di crescita e apprendimento a scuola, con il modello educativo vigente. Il suo potenziale esiste ma, non solo non potrà esprimersi e valorizzarsi, si presenteranno anche difficoltà nel socializzare, che porteranno a far sentire il ragazzo o la ragazza diversi rispetto al resto della classe, “sbagliati”. Un altro esempio è un dato che riguarda i dottorandi: in Italia, il 91% non prosegue la carriera accademica. Si tratta di persone che vorrebbero mettere a servizio le loro competenze acquisite, ma che non possono farlo perché non ci sono le condizioni e le possibilità di farlo. Si tratta, quindi, di una questione pubblica perché rappresenta una grave perdita collettiva. Invece, a essere colpevolizzato è sempre il singolo “che non fa mai abbastanza” e che viene costantemente giudicato e paragonato ai casi di successo.

Dunque chi sono i “capaci e i meritevoli”, citati nell’art. 34 della Costituzione, che “hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”?

Capacità e merito avevano un altro valore rispetto a oggi perché legati alla visione di un impegno e di un lavoro che doveva necessariamente essere collettivo per ricostruire un paese totalmente distrutto. Nel corso del tempo, invece, come spiega molto bene Michael Sandel ne “La tirannia del merito”, capacità e merito sono diventati criteri sulla base dei quali escludere o accettare le persone, senza considerare le disuguaglianze strutturali e i privilegi che sono alla base delle capacità e dei meriti delle persone. Nonostante queste evidenze statistiche e sociali, se oggi non rispondiamo a determinati standard, se non reggiamo certi ritmi, se abbiamo delle diversità rispetto alla norma sociale, non solo viviamo costantemente nel timore di essere esclusi, ma veniamo giudicati e colpevolizzati e questo ha degli effetti gravissimi sulla qualità di vita delle persone.

“Non è vero che “se ti impegni ce la fai”, il farcela è strettamente correlato alle nostre condizioni di partenza. Possiamo scoprire e coltivare i nostri talenti solo siamo nati nel luogo, nel momento e nel ceto sociale giusto” 

Come si può uscire da questa psicosi sociale?

A livello individuale può essere utile avere consapevolezza di questi temi e comprendere che si tratta di un processo collettivo nel quale tanti sono coinvolti. A livello collettivo si dovrebbe smantellare l’associazione tra “performatività” e valore della persona. Tante sono le resistenze perché ad essere messi in discussione sono assunti consolidati negli anni. Eppure tanti riflettono su questi temi e cercano di portarli nel dibattito pubblico. Anche noi cerchiamo di contribuire sollevando domande, approfondendo temi e mettendo in connessioni questioni che sembrano distanti ma non lo sono. Crediamo, inoltre, che sia importante ascoltare e dare fiducia ai giovani, perché – a differenza delle generazioni precedenti – non sono stati ancora persuasi dalla retorica del “se vuoi puoi”, dei ritmi disumani di lavoro, della rinuncia a tutto pur di avere successo.

Dalla rivista Fondazioni gennaio – marzo 2023