Intervista ad Alex Bellini, eco-esploratore
per Fondazioni ottobre 2022
Ha corso 250 chilometri nel deserto del Sahara. Ha trascinato una slitta per 2mila chilometri in Alaska. Ha attraversato il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico, remando per 7 mesi e mezzo. Si chiama Alex Bellini: valtellinese, classe 1978, è conosciuto per le sue imprese estreme a contatto strettissimo con la natura, spesso con la natura più ostile. Il suo obiettivo non è il traguardo o la prestazione sportiva, ma la conoscenza di sé stesso e del mondo che lo circonda. E a chi gli chiede: “Perché lo fai?”. Risponde: “Perché non esiste un Planet B”.
Cosa vuol dire essere un “eco-esploratore”?
Io mi definisco esploratore. Dalle prime spedizioni in Alaska fino alle più recenti navigazioni sui fiumi del mondo l’ho sempre fatto con uno spirito esplorativo. Questo termine si presta a diverse interpretazioni: c’è un’esplorazione orizzontale verso nuovi orizzonti da toccare, e poi c’è un’esplorazione verticale quella attraverso i paesaggi più vasti e profondi che esistono, quelli interiori.
Il rapporto uomo-natura come lo definirebbe? Pensi che sia un rapporto conflittuale? In cosa ha sbagliato e sbaglia l’uomo?
Definirei il rapporto uomo-natura come utilitaristico. Da sempre la Natura è stata percepita dagli esseri umani come una potenza irrazionale, affasciante e distruttiva al tempo stesso. Ancora oggi ci dividiamo tra ammirazione e timore, fascinazione e mistero e, nonostante le avanzate tecnologie e le scoperte scientifiche dei nostri tempi, c’è ancora tanta incomprensione. Questa paura ancestrale non ha però limitato l’uomo che ha sempre tentato di assoggettare la natura, sin dai primordi della civiltà, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui esploriamo modi di andare oltre la natura stessa (penso per esempio alla ingegneria climatica). Questo continuo stimolo a sfidare e superare la natura costituisce una delle “ragioni di vita” dell’uomo, e determina quindi l’esistenza del genere umano.
Come è nato il progetto “10 Rivers 1 Ocean”? Qual era l’obiettivo?
10 Rivers 1 Ocean nasce nel 2018 con il proposito di documentare il lungo viaggio che compie la plastica prima di raggiungere l’oceano. Delle oltre 8 milioni di tonnellate che ogni anno finiscono in mare, circa l’80% è di origine terreste e i corsi d’acqua rappresentano una fetta importante di questo “fiume di rifiuti”. Fiume dopo fiume, dalla Cina, all’India, all’Egitto il nostro interesse si è spostato dalla plastica come elemento di disturbo, alle ragioni culturali, identitarie, psicologiche che producono i comportamenti inquinanti. In questo, noto una grande evoluzione nel mio approccio all’esplorazione, che oggi direi quasi antropologico.
Dei fiumi che sta navigando, dove ha trovato la situazione peggiore a livello d’inquinamento e secondo lei perché?
Ogni fiume è una storia a sé, ma posso dire senza ombra di dubbio che la navigazione sul Gange è stata e rimarrà un’esperienza senza pari. Il Gange è uno dei fiumi più antichi del mondo ed è il più sacro dell’India. Gli indiani credono che sia un punto di passaggio tra cielo e terra, e che lavarsi nell’acqua purifichi dai peccati. Le sue acque sono fonte di approvvigionamento idrico per la città – infatti forniscono un totale di 270 milioni di litri di acqua al giorno. L’aspetto tragico di questo è che nelle sue acque, alle ceneri dei defunti, alle deiezioni solide e liquide degli animali si mescolano tutti gli scarichi fognari e una parte cospicua dei rifiuti prodotti dalle città e dalle comunità che sorgono sulle sue sponde. Il risultato, inevitabilmente, è che il fiume più sacro dell’India sta morendo per mano dell’uomo che lo considera la dea generatrice di tutte le acque, la madre generosa che disseta, purifica e guarisce.
Che futuro ci attende su questa Terra? Pensa che l’azione umana vada mitigando il suo impatto sulla natura nei prossimi anni?
Siamo sicuramente a un bivio. Da un lato, possiamo continuare sulla traiettoria attuale e ciò ci costringerà a fare i conti con un clima impazzito, in cui centinaia di milioni persone si troveranno a vivere in luoghi sempre meno ospitali. Lo tsunami climatico sarà talmente veloce e violento che l’unica possibilità sarà quella dell’adattamento. Oppure possiamo evolvere culturalmente, disegnando una nuova traiettoria che sappia coniugare sviluppo e conservazione, esplorazione e moderazione. Ci sono alcuni segnali positivi: l’economia sembra ormai aver superato l’idea che l’impresa esista per il solo scopo di produrre profitto ai soli azionisti (shareholders primacy) e si stanno facendo strada nuovi modelli economici orientati a produrre impatti positivi più allargati. I consumatori sono sempre più attenti dell’impatto delle loro scelte quotidiane sull’ambiente e consapevoli del loro ruolo come agenti di cambiamento. Ma i tempi di questo cambiamento potrebbero essere incompatibili con l’urgenza di agire. Joseph Campbell, saggista e storico americano, sosteneva che “noi siamo gli antenati di un tempo a venire, gli ignari creatori di strutture mitologiche future, di modelli mitici che saranno fonte di ispirazione per le vite che seguiranno.” A noi il compito di decidere quali figure mitologiche vogliamo costruire da questo momento storico.
Grazie alla sua attività sui social promuove pratiche ambientali tra giovani e giovanissimi. Si definirebbe un divulgatore scientifico?
Sì, mi definisco un divulgatore e in questo senso riconosco che l’esplorazione non è un passatempo per ricchi, ma un’attività con utilità sociale.
Prossime sfide?
Al momento sono totalmente concentrato sul portare a termine il progetto 10 Rivers 1 Ocean, che, a causa del Covid, è stato un po’ rallentato. A dicembre navigherò il MeKong, tra Laos e Cambogia, con mia moglie e le mie due figlie. È la prima volta che condurremo una spedizione in assetto famigliare, per quanto già in passato abbiamo fatto delle micro-avventure. Questa però sarà una vera e, soprattutto, grande avventura che spero sia da stimolo per tutti
Dalla rivista Fondazioni settembre-ottobre 2022