Intervista a Yuri Basilicò, Va’ Sentiero
per Fondazioni giugno 2022
Hanno percorso 7.800 km, da Trieste alla Sardegna, lungo tutto il “Sentiero Italia”, il cammino elaborato dal Club Alpino Italiano all’inizio degli anni Novanta e presto dimenticato. Hanno camminato lungo tutte le “aree interne” dello Stivale, dalle Alpi all’Appennino, fino alle catene montuose di Sicilia e Sardegna. Hanno attraversato 20 regioni, in 3 anni (non continuativi). Non si è trattato di una vacanza solitaria, ma di una spedizione per riscoprire, documentare e condividere il “sentiero più lungo del mondo”. Sono Yuri Basilicò, Sara Furlanetto, Francesco Sabatini, Diego Marmi, Andrea Buonopane e Giacomo Riccobono, un gruppo di giovani che ha dato vita a “Va’ Sentiero”: un’esperienza da cui sono nati un documentario, un libro fotografico e una guida online gratuita a disposizione di chi vuole ripete la loro impresa (o solo alcuni tratti). E se ha ragione il celebre detto “Non puoi dire di essere stato veramente in un posto, se non ci sei stato a piedi”, per saperne di più sulle aree interne, ci sembrava davvero il caso di chiedere a loro.
«In montagna internet prende spesso benissimo, sono le strade che mancano»: così condensa il suo pensiero Yuri Basilicò che, al termine del viaggio, in montagna ha deciso di trasferirsi per vivere. Partiamo proprio da qui: vivere nelle aree interne è veramente un’alternativa alle città? «L’attrattività delle aree interne non riguarda solo il paesaggio idilliaco, l’aria pulita, il cibo. Quando parliamo di “qualità della vita”, ci riferiamo anche ai tempi e ai modi dello stare insieme. Perché in questi territori non c’è il ciclo velocissimo di eventi che divora le persone in città. I ritmi sono più lenti, più “umani” direbbe qualcuno. E tutto questo ha una profonda influenza sul modo in cui le persone stanno insieme, si sentono parte di una comunità e decidono di prendersi cura del loro territorio». Sembra crescere, infatti, la “domanda di montagna”. Da un lato, ci sono i nuovi abitanti: «Giovani cittadini che, complici la pandemia e la diffusione dello smartworking, iniziano a guardare alle aree interne come posti in cui venire a vivere per scappare da città soffocanti. Ma si tratta di una minoranza». C’è invece una grande quantità di giovani e meno giovani che, in maniera crescente, comincia a interessarsi della montagna come meta di vacanza. «Con una logica diversa rispetto al passato, non “mordi e fuggi”, ma caratterizzata dalla lentezza, dalla scoperta di luoghi autentici, poco frequentati, a contatto con la natura. Molti di loro hanno risposto al nostro invito e sono venuti a camminare con noi lungo Sentiero Italia». Questo, tra l’altro, provoca anche un altro impatto positivo: «Vedere arrivare tanti ragazzi e ragazze delle città, realmente interessati alla vita in montagna, può essere uno stimolo eccezionale per i giovani del posto potendo comprendere meglio dagli altri ciò che può essere valorizzato del loro territorio”.
A rendere così attraenti le aree interne è proprio la loro “autenticità”: «In pianura, sulle coste e nelle aree “trafficate”, la globalizzazione ha livellato tutto. Invece, le aree interne di montagna hanno conservato un patrimonio culturale più variegato, fatto di tradizioni, leggende, feste popolari, ricette, conoscenza del territorio e del ritmo delle stagioni. Tutto questo in montagna è profondamente radicato, anche nelle giovani generazioni. Lo vediamo anche nella lingua. Mentre, in pianura i dialetti sono praticamente scomparsi e sono rimaste solo alcune cadenze, in montagna si è conservata una ricca varietà di lingue, che cambiano perfino da una valle all’altra».
Questo attaccamento non riguarda solo le Alpi o il Gran Sasso, ma percorre l’intera Penisola. «In Sicilia abbiamo incontrato “Porto di terra”, un collettivo ai piedi delle Madonie, gestito da ragazze tra i 25 e i 35 anni. Conoscendole ci siamo accorti che erano persone simili a noi: avevano studiato legge, comunicazione, cooperazione internazionale, avevano vissuto all’estero, avevano iniziato percorsi di carriera… Per poi decidere di cambiare vita. Il loro progetto consiste semplicemente nell’accompagnare turisti e scolaresche a camminare in quella zona, alla scoperta delle meraviglie del territorio. Potremmo pensare che abbiano deciso di radicarsi in una regione lontana dall’innovazione e dalla vita giovanile. Invece, la vita dei luoghi la creano le persone: stanno ripopolando quei territori, ristrutturando e abitando le case, dando vita a nuove comunità, prendendosi cura di una terra di cui sono profondamente innamorate».
Ma attenzione a idealizzare le montagne! «Le aree interne pongono barriere all’ingresso e richiedono fatica e attenzione perché si tratta di territori prevalentemente spopolati e privi di servizi. Qui c’è tutto da fare e da sperimentare, ma non è affatto semplice. Quello che manca alla montagna sono i giovani. Anche gli anziani, che vivono nei borghi più isolati, non sono affatto restii all’arrivo di nuovi abitanti. C’è bisogno di nuove energie». Infatti, il territorio ha sempre bisogno di “cura”, perché quello che l’uomo abbandona, la natura se lo riprende. «Inizialmente, l’avanzamento dei boschi ci sembrava romanticamente una bella notizia, invece non lo è affatto. Innanzitutto, se la natura riconquista interi borghi, si cancella tutto il lavoro fatto dalle comunità lungo i secoli. Inoltre, perdiamo un aspetto paesaggistico che ha sempre caratterizzato il nostro Paese. Il nostro territorio è sempre stato tradizionalmente molto antropizzato, non abbiamo vaste zone “selvagge” (ad eccezione delle Alpi). Specie sull’Appennino, ogni 20 o 30 km si incontra un piccolo centro abitato. Se la natura torna a inghiottire il paesaggio, che era stato cesellato dalla presenza dell’uomo, finisce per saltare l’equilibrio uomo-natura, secolare anche questo». Scompare la biodiversità, i pascoli tornano boschi, si estinguono molte varietà di fiori, ecc. E poi, anche a livello idrogeologico, il territorio si degrada: se viene meno la presenza umana, salta il lavoro silenzioso di “manutenzione” del territorio, la cura degli argini dei fiumi, dei boschi, ecc. Insomma, il lavoro da fare in montagna non manca, e non riguarda solo le aree interne.
Da Fondazioni giugno 2021