Leilani Farha è l’ex Special Rapporteur sul diritto alla casa delle Nazioni Unite e Direttrice Generale di The Shift. Lavora perché la casa sia considerata un bene sociale e non una merce. Ha contribuito a sviluppare linee guida globali sul diritto alla casa come diritto umano, anche attraverso i suoi Report e le prime Linee guida delle Nazioni Unite per l’attuazione del diritto alla casa. È la protagonista del documentario PUSH sulla finanziarizzazione degli alloggi. Leilani ha lanciato “The Shift” nel 2017 con l’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i diritti umani e Città unite e governo locale.
Come si definisce “Uguaglianza”?
Quando penso a un mondo di uguaglianza, penso a un mondo in cui le persone che subiscono determinate decisioni sono incluse nel processo decisionale. Oggi non viviamo in questo mondo. Dovremmo creare una società in cui individui e gruppi emarginati possano essere realmente attivi nella nostra democrazia in modo significativo. Sto parlando di un mondo in cui queste persone e questi gruppi amministrano e danno forma alle nostre città.
Possiamo lottare per l’uguaglianza senza considerare il diritto alla casa come una necessità primaria?
Dobbiamo capire che le cattive condizioni abitative non sono una conseguenza della disuguaglianza: sono il motore della disuguaglianza! C’è una forte connessione tra alloggio e uguaglianza, che è una delle cose che sto cercando di trasmettere nel mio lavoro. Anche gli attori istituzionali dal lato finanziario stanno iniziando a capire che c’è una grave disuguaglianza nella maggior parte delle società, ma ciò che non riescono a fare è riconoscere il legame con la finanza globale nel settore immobiliare e dunque tra le condizioni abitative e disuguaglianza. Dobbiamo capire la relazione tra il settore immobiliare, le cattive condizioni abitative e la crescente disuguaglianza, se non lo faremo non potremo risolvere il problema.
Quando si parla di senzatetto, disoccupazione o povertà, c’è ancora una forte convinzione che l’individuo sia responsabile della sua condizione. Come possiamo contribuire a cambiare questa narrativa?
Se parliamo di diritto abitativo, dobbiamo adottare il punto di vista dei diritti umani, perché ci permette di contestare questa idea e affermare che le cause dello svantaggio abitativo e della disuguaglianza sono strutturali. Fino a quando non affronteremo le cause strutturali, non ci sarà risposta per i senzatetto. Il motivo per cui il frame dei diritti umani è così importante è che assume che quando qualcuno vive senza fissa dimora, i governi stanno fallendo nell’attuazione del diritto all’alloggio. Dobbiamo creare un sistema in cui le leggi e le decisioni siano orientate a garantire a tutti una dimora dignitosa. Oggi noi sappiamo che il numero di senzatetto può crescere o diminuire in base alle politiche che adottiamo Prendiamo l’esempio del mio paese: il Canada. Nel 1996, nella provincia in cui vivo, il governo provinciale ha deciso di ridurre del 22% gli aventi diritto all’assistenza sociale. Altri attivisti ed io dicevamo che avrebbe portato a un aumento dei senzatetto. Cinque anni dopo è successo esattamente questo, i senza fissa dimora sono aumentati. Se decidiamo che l’obiettivo è garantire che tutti abbiano diritto ad una dimora dignitosa, ogni decisione deve soddisfare tale obiettivo. Inoltre, il quadro dei diritti umani ci permette anche di capire che l’individuo è un detentore dei diritti umani e non più un destinatario di carità o la vittima di scelte individuali sbagliate.
Che impatto ha il diritto alla casa sul benessere delle comunità locali?
Vediamo cosa succede oggi. Per combattere i senzatetto utilizziamo rifugi di emergenza. Se guardiamo al costo della gestione dei rifugi, è molto più alto di quanto sarebbe pagare l’affitto medio per la popolazione che utilizza i rifugi. Qualcuno potrebbe farmi notare che alcune di queste persone non hanno bisogno solo di una casa ma anche di sostegno sociale, assistenza all’infanzia, formazione. È vero, ma quando una persona utilizza i servizi di assistenza sanitaria di emergenza il costo per lo stato è più alto rispetto a quello che sarebbe assumendo assistenti sociali e lasciando alle cliniche sanitarie della comunità la gestione dei programmi di cui hanno bisogno le persone che vivono senza fissa dimora. Da ultimo, ma non per importanza, troppo spesso è la polizia a doversi occupare delle persone che vivono senza fissa dimora. Lo stesso sistema di giustizia penale è molto costoso e sovraccaricato; abbiamo davvero bisogno di criminalizzare un insieme di persone che stanno semplicemente cercando di sopravvivere? Probabilmente no. Pertanto, ancora una volta, fornire alle persone l’accesso a un alloggio dignitoso e adeguato e ai supporti sociali di cui hanno bisogno, sarebbe anche economicamente efficiente. Infine dobbiamo guardare anche all’adeguatezza dell’alloggio. L’UE ha deciso di finanziare gli Stati per rendere l’edilizia abitativa più efficiente dal punto di vista energetico perché salverà il Pianeta. Questo dimostra che i governi possono intervenire per garantire alloggi adeguati. Ma non dobbiamo andare solo a vantaggio del clima, che è una scelta efficiente, ma anche dei sistemi sanitari, poiché anche questa è una questione di efficienza.
In quest’ultimo anno abbiamo chiesto al mondo intero di restare a casa, sapendo che molte persone non ne hanno una. In questo momento cruciale, abbiamo fatto passi avanti nel diritto alla casa come diritto umano?
L’impatto non è stato quello che speravo. Era chiaro, non appena la pandemia ha colpito, che molte persone vivevano senza fissa dimora, in alloggi gravemente inadeguati o in insediamenti informali. Questo stava mettendo a rischio l’intera popolazione ed era molto visibile nella prima fase. Solo che sono state date solo soluzioni a breve termine. Cosa stiamo facendo ora per ospitare queste persone in modo sostenibile a lungo termine? Se pensiamo agli insediamenti informali nel Sud del Mondo, che sono come piccole città, non possono semplicemente chiudere, non sopravvivrebbero. I governi del Sud del Mondo lo sapevano. Gli insediamenti informali devono essere migliorati, l’acqua potabile deve essere presente in ogni comunità, l’adeguatezza delle case deve essere migliorata, le strade devono essere asfaltate, e così via. Non possiamo smettere di ragionare ed intervenire su questo.
Nel 2017 ha lanciato “The Shift”. Ci può raccontare il lavoro che sta svolgendo in materia di diritto alla casa?
Tutto è iniziato dopo che avevo terminato la mia nomina a Special Rapporteur sul diritto alla casa nel 2017, ma in realtà siamo diventati un’entità più formale nel 2020, proprio nel bel mezzo della pandemia. Dopo la mia esperienza di Relatore, mi era chiaro che c’era un reale bisogno di un sostegno a livello globale sul diritto alla casa. Inoltre, l’incarico di Relatore Speciale sul diritto a un alloggio adeguato non è un lavoro per una sola persona. Ecco perché abbiamo deciso di costituire un’entità dedicata per far crescere un movimento globale su questo tema. Una delle aree principali su cui ci siamo concentrati è lavorare con i governi delle città, in particolare in Canada, dal momento che ero bloccata a casa mia. Ho potuto vedere che nelle città in Canada gli accampamenti per senzatetto stavano iniziando a spostarsi nei parchi poiché hanno dovuto ridimensionare i rifugi vista la necessità del distanziamento sociale. A volte i rifugi hanno persino chiuso per paura che il Covid crescesse in modo esponenziale al loro interno. Pertanto, abbiamo iniziato a lavorare insieme alle città: abbiamo iniziato coinvolgendo 14 città in una tavola rotonda. Ognuno ha portato sul tavolo le proprie esperienze e le proprie curiosità e stiamo esaminando come far incorporare il frame di diritto alla casa come diritto umano nella governance delle città. Oggi siamo cresciuti e si sono aggiunte altre città. È un lavoro entusiasmante, alcune città degli Stati Uniti sono interessate ad avviare un progetto simile, così come in Catalogna, in Spagna e mi piacerebbe fare qualcosa del genere in Italia. Stiamo cercando di consentire alle città di scambio di informazioni, e poi stiamo anche portando esperienza internazionale alle città. Ad esempio, se qualcuno è interessato all’approccio “Housing First”, posso portarli al tavolo e aprire un confronto. Esaminiamo anche leggi e politiche in diverse città per vedere se sono conformi ai diritti umani. Oltre a ciò, abbiamo tenuto le orecchie aperte sui territori e scritto lettere ai funzionari del governo, quando sentiamo di qualcosa che non funziona. Infine usiamo il film “Push” (https://www.pushthefilm.com/) e “Pushback Talks” (https://www.pushthefilm.com/pushback-talks/) per mantenere l’attenzione sull’argomento perché molto di questo riguarda la creazione di una narrazione e la creazione di dialoghi.