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La lezione di Cesare Beccaria | Giorgio Righetti

Editoriale di Giorgio Righetti, direttore generale Acri
per Fondazioni – aprile 2021

Dopo 257 anni dalla pubblicazione de “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, ci troviamo ancora a fare i conti con pulsioni “primitive”, sintetizzabili in espressioni quali: “Buttiamo la chiave”, “Condanne esemplari”, “Prescrizione = impunità”, “Costruiamo più carceri”. E si potrebbe continuare. Una sommaria, e inevitabilmente superficiale, ricapitolazione di alcuni punti essenziali di quella opera, potrebbe aiutarci a riorientare il nostro pensiero. “È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d’ogni buona legislazione, che è l’arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al mi-nimo d’infelicità possibile”.

Il carcere è un intervento “a valle”, dopo che il reato è avvenuto. Conviene intervenire “a monte”, prevenendo i delitti. E Cesare Beccaria ci dà qualche indicazione sul come: “Fate che le leggi siano chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle” e “… il più sicuro ma più difficile mezzo di prevenire i delitti… l’educazione…” (ai “suggerimenti” di Cesare Beccaria, dovremmo in verità aggiungere anche una maggio-re giustizia sociale e servizi di welfare più efficaci). Semplicità delle leggi ed educazione, due strumenti apparentemente ovvi, della cui efficacia nessuno potrebbe dubitare: chi inneggerebbe, infatti, a leggi complicate o all’indebolimento dei processi educativi? Eppure, oggi ci troviamo con una proliferazione di leggi complicate, tra le quali è difficile districarsi, e ci troviamo con un sistema educativo fragile, che lascia indietro tanti, troppi minori. La prevenzione conviene, per garantire una società con meno dolori, se non più felice. E conviene anche, pragmaticamente parlando, perché costa meno: si stima, infatti, che il solo nostro sistema carcerario costi circa 3 miliardi di euro all’anno, senza considerare i costi del sistema giudiziario; cifre enormi che potrebbero forse essere meglio spese se in parte destinate a prevenire anziché curare.

Pura retorica o utopia? Franco Basaglia, in un altro ambito, ha dimostrato di no! E ancora: “Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”. È il tema dell’azione educativa e rieducativa della pena. Educativa, nel senso che funge da deterrente al commettere reati. Rieducativa, per il reinserimento nella società del reo affinché non commetta altri reati; in tal senso, le cosiddette “pene alternative” possono rappresentare un efficace strumento. La recente dichiarazione della Guardasigilli Marta Cartabia va in questa direzione: “Penso che sia opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che… ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere… La certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio“. E infine, tornando a Beccaria: “Quanto la pena sarà più pronta e più vicina al delitto commesso, ella sarà tanto più giusta e tanto più utile”. Le recenti norme sulla prescrizione, che ne dilatano la durata, vanno invece nella direzione opposta. Di nuovo, invece che agire “a monte”, eliminando gli ostacoli che rendono i nostri processi infiniti, si interviene “a valle”, legittimando una durata infinita del processo stesso. D’altronde, molti di questi temi sono efficacemente trattati nella nostra Costituzione. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27, comma 3). E ancora: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge… (che) ne assicura la ragionevole durata” (art. 111, cc. 1 e 2). I nostri padri costituenti, quindi, avevano impara-to la lezione di Cesare Beccaria. A noi la responsabilità di darne più compiuta attuazione.

Da Fondazioni, aprile 2021