Testimonianza di Erri de Luca, scrittore, poeta, attivista
per Fondazioni febbraio 2021
Erri De Luca, scrittore, poeta e attivista, ha scritto molto sui viaggi delle persone in fuga dal proprio paese ed è stato in prima linea durante le attività di soccorso in mare, nella nave Prudence di Medici Senza Frontiere. Di quella esperienza ci racconta, in particolar modo, i salvataggi delle tante madri con i loro bambini in braccio: «Mi sono dovuto chiedere cosa poteva essere più forte dell’istinto materno di protezione da spingere quelle donne a mettere in pericolo la loro vita e quella delle loro creature. La mia risposta: la disperazione, che consiste nell’aver rinunciato a qualsiasi speranza. “La sola salvezza per dei vinti è di non sperare in alcuna salvezza”, si legge in un verso decisivo dell’Eneide di Virgilio, quando Enea fugge dalla città di Troia in fiamme. Quando la si riconosce, si capisce che niente può fermare, scoraggiare, intimorire queste persone».
Avendo vissuto la tragicità di quei viaggi, e stando ai dati statistici, Erri De Luca considera necessario combattere il vocabolario utilizzato dei mezzi di comunicazione per descrivere la migrazione, che giudica falso e fuorviante. «Non si può usare il termine “invasione” per raccontare l’arrivo di persone inermi, donne e bambini compresi: per “invasione” si intende un esercito in armi che varca i confini per sottomettere una nazione. Così come è inadeguata l’espressione “ondate migratorie”, che implica una difesa dalla terraferma, suggerisce dighe, scogliere, sbarramenti. Infine, “taxi del mare” è l’espressione più canagliesca per definire un’azione di pronto soccorso».
Per raccontare il fenomeno migratorio in modo più aderente alla realtà e scevro dai sensazionalismi, occorre, prima di tutto, mettersi in ascolto. «Bisogna ascoltare le mille voci di coloro che compiono questi viaggi durati anni, ostacolati, imprigionati, spremuti, derubati, buttati su un battello alla deriva». Non averli ascoltati, aver sfruttato la migrazione come capro espiatorio e per interessi di potere, ha significato gestire il fenomeno con «incompetenza e istigando sentimenti e politiche di ostilità nei confronti degli immigrati, spesso respinti pur avendo i requisiti per ottenere l’asilo». Anche a livello comunitario, De Luca è convinto che, sebbene l’Europa sia il traguardo di richiedenti asilo provenienti da guerre, persecuzioni e carestie, il Regolamento di Dublino ha imposto ai paesi di primo arrivo la competenza ad esaminare la domanda di asilo di molti immigrati che, invece, desiderano proseguire verso altri paesi dell’Unione Europea. Ciò si traduce nell’impossibilità di un rifugiato politico di potersi spostare legalmente in un altro paese dell’Unione Europea godendo dei diritti garantiti dall’asilo.
Inoltre, il racconto è fuorviante anche perché si concentra solo sugli arrivi via mare e dimentica tante rotte altrettanto battute, come quelle percorse nei Balcani, dove il silenzio mediatico si traduce nella mancanza di controllo e di monitoraggio delle operazione illegali di respingimento da parte della autorità di confine: «Senza la disastrosa massa di assiderati nelle tende in Bosnia non avremmo saputo delle deportazioni in massa dall’Italia verso la Slovenia e da lì, a cascata, fino in Bosnia, attraverso la Croazia». Tuttavia, a compensare anni di retorica e di politiche di avversione sono tanti italiani, «quella grande rete di volontariato che ha fatto generosa supplenza delle mancanze di pubblico intervento. Non è un auspicio, è la realtà: il popolo italiano ha il più alto numero di persone che prestano attività gratuita di solidarietà civile». Tra i tanti interventi portati avanti dalla cittadinanza attiva, la Fondazione Erri De Luca – fondata dallo scrittore nel 2011 – sostiene alcuni giovani stranieri che studiano nella nostra lingua, «per migliorare loro e noi». Un modo per stimolare la porosità del tessuto sociale e per farlo ringiovanire con la presenza «di queste nuove fibre». Insomma, «la propaganda ostile è fortemente contrastata da una capillare solidarietà. Per questo, l’Italia va vista e misurata dal basso, dal piano terra della società, dove si svolge la vera vita politica, che non è aderire a un partito ma agire da cittadini di una grande comunità»
Dalla rivista Fondazioni gennaio-febbraio 2021