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Tra tutela e promozione la sfida del patrimonio | Marco Cammelli

Testimonianza di Marco Cammelli, presidente Commissione per i Beni e le attività culturali di Acri
per Fondazioni dicembre 2020

 

La bellezza e il suo riconoscimento sono il modo più potente, profondo e diretto per accedere ai contenuti e agli elementi della cultura, senza i quali siamo condannati come singoli e come comunità a camminare alla cieca nel deserto delle esperienze individuali. L’accesso alla bellezza e al patrimonio culturale sono infatti elementi essenziali per l’educazione e la formazione del singolo, perché aiutano la comprensione della realtà circostante, soprattutto in questi tempi di grandi cambiamenti. Ma sono cruciali anche per le comunità, perché è nella comunità di appartenenza che avviene il riconoscimento della propria storia, delle proprie radici, in una sola parola della propria identità.

 Questo diritto non è solo un auspicio o una pura tensione ideale, ma è supportato da due importanti fondamenti giuridici. Innanzitutto, l’articolo 9 della Costituzione italiana, che pone tra i principi fondamentali della Repubblica proprio il compito di promuovere lo sviluppo della cultura e tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. A questo si aggiunge la Convenzione di Faro, adottata dal Consiglio europeo nel 2005, sottoscritta dal Governo italiano nel 2013 e finalmente ratificata dal Parlamento italiano poche settimane fa, a fine settembre 2020. La Convenzione è incentrata sul diritto individuale e collettivo di accedere al patrimonio culturale. Mette l’accento sulla fruizione e sulla valorizzazione del bene artistico, ovvero afferma che non basta proteggere e tutelare il patrimonio storico-artistico, ma è necessario renderlo riconoscibile e educare i singoli e le comunità alla sua piena fruizione. Si tratta di un passaggio molto importante per il nostro Paese, dove (specie in passato) una gloriosa esperienza di tutela dei beni culturali ha messo l’accento prevalentemente sull’aspetto della protezione, lasciando invece sullo sfondo questo profilo. L’adozione della Convenzione di Faro imporrà ora un profondo ripensamento delle politiche in termini di apertura e fruizione dei beni, anche con riguardo allo sviluppo socio-economico e alla relativa sostenibilità. Un aspetto, quest’ultimo, che tuttora suscita in certi ambienti una ingiustificata resistenza.

In questo scenario, le Fondazioni di origine bancaria intervengono a molti livelli. Annualmente, circa un terzo delle loro erogazioni è destinato al settore Arte e beni culturali. Questi interventi si articolano in diversi campi. Innanzitutto, c’è il tema della valorizzazione. Si tratta di un campo molto vasto, che comprende le mostre, gli spettacoli dal vivo, i festival culturali, l’editoria. Ma anche tanti progetti promossi e sostenuti dalle Fondazioni rivolti all’educazione al bello. Perché il mondo dell’arte e della bellezza coinvolge diversi settori, come la scuola. Per esempio, i programmi di affiancamento e arricchimento della didattica, che hanno l’obiettivo di far conoscere ai ragazzi il patrimonio storico artistico delle loro città, la magia del teatro, della musica, della danza. Quindi, l’inserimento nei programmi scolastici di visite guidate, concerti, spettacoli, nonché la formazione per gli insegnanti in questo campo.

 Poi c’è il piano della conservazione e della protezione, un altro fronte in cui le Fondazioni hanno lavorato e lavorano molto. Il restauro è un intervento complesso e ricco di molte facce. Ha l’obiettivo di consolidare e salvare il bene dal deterioramento del tempo, ma deve essere sempre realizzato all’interno di progetti organici finalizzati alla nuova funzione del bene. Questo è l’intento perseguito per i numerosi palazzi storici restaurati dalle Fondazioni, che sono restituiti all’antico splendore e che vengono aperti al pubblico per ospitare raccolte, gallerie ed eventi.

 Infine, il restauro è sempre un’occasione di studio e di ricerca sulle opere da ripristinare ed è dunque, allo stesso tempo, conservazione e valorizzazione. Nel settore del restauro e della conservazione, le Fondazioni hanno maturato nel tempo un approccio fortemente innovativo. Il restauro è di per sé la registrazione di una sconfitta, perché ne abbiamo bisogno tanto quanto è stata trascurata la manutenzione ordinaria dell’opera. Per questo è cruciale promuovere azioni preventive, evitando che ci sia bisogno di intervenire successivamente. In questa direzione vanno numerose iniziative realizzate dalle Fondazioni, per diffondere pratiche di conservazione programmata, utilizzando lo strumento del bando, non solo per selezionare gli interventi, ma anche per stimolare le buone pratiche della manutenzione.

A fianco di tutto questo, ci sono programmi di supporto alle scuole e ai centri che si occupano di restauro e che costituiscono un prezioso patrimonio di conoscenze e di competenze, che non possiamo lasciare vada disperso. Sono loro, insieme alle Soprintendenze del Mibact, i primi “custodi della bellezza” del nostro Paese, e per questo vanno sostenuti e promossi.

Un altro filone di intervento delle Fondazioni per la promozione della bellezza nel nostro Paese è quello dedicato ai cosiddetti “beni minori”: pievi, abbazie, chiese nelle aree interne, monumenti fuori dai centri storici. Questo patrimonio culturale diffuso, spesso messo in ombra dai capolavori universalmente più noti, è uno dei tratti caratteristici della storia del nostro Paese ed è al centro di molti interventi delle Fondazioni, volti al recupero e alla messa in rete garantendone l’accessibilità, anche con l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Da ultimo, vorrei citare tre interventi di valenza nazionale, promossi dalla Commissione per i Beni e le attività culturali di Acri e realizzati in partnership da gruppi di Fondazioni. Sono emblematici del modo di operare per garantire nel modo più ampio il diritto alla bellezza. Innanzitutto, R’accolte, un database di oltre 12mila opere d’arte di proprietà delle Fondazioni, catalogato e reso accessibile sul web a studiosi, amatori e semplici interessati.

Poi Funder35, che ha creato una vivace comunità di imprese culturali giovanili in tutta Italia (quasi 300). Si tratta di giovani che in modo professionale e non amatoriale producono spettacolo dal vivo, musica, teatro, ma anche servizi per l’accesso ai monumenti e ai beni culturali, avvicinando e accompagnando giovani e non solo alla scoperta del nostro patrimonio.

 Da ultimo, ma non ultimo, Per aspera ad astra, un progetto di teatro in carcere, che non è solo un’esperienza di “teatro in condizioni estreme”, ma una nuova e alta forma di espressione artistica. E proprio in questo sta la forza del teatro, nella capacità di superare il tetto e i muri del carcere che in quanto tali non esistono più, perché di fronte alla capacità di toccare i temi eterni dell’uomo – la vita, l’amore, il male, il potere, la morte – non c’è più distinzione tra chi recita e chi è nel pubblico, tra gli agenti di polizia penitenziaria e i detenuti. L’intervento delle Fondazioni sta facendo in modo che l’eccellenza della sperimentazione avviata e sostenuta dal maestro Punzo non rimanga confinata alla sua persona o nel carcere di Volterra, ma possa diffondersi nel resto della Penisola. Dentro ognuno di noi ci sono angoli bui con cui è difficile fare i conti. Ma i temi eterni, a cui l’arte ci richiama, ci spingono a interrogarci e a riconoscere quanto siamo legati gli uni agli altri. Di fronte a una tragedia greca, un’opera di Shakespeare, un concerto di Bach, una scultura del Canova sentiamo l’incontro con un linguaggio universale che riguarda la natura e il destino degli esseri umani.

Ecco perché la ricerca del bello non è un accessorio ma un diritto fondamentale che va riconosciuto a tutti. E garantire la possibilità di accedervi è un’alta sfida che le Fondazioni stanno cercando di raccogliere.

Dalla rivista Fondazioni novembre- dicembre 2020