Testimonianza di Vincenzo Linarello, presidente GOEL
per Fondazioni aprile 2020
Rivoluzione è una delle parole che Vincenzo Linarello utilizza maggiormente nel corso della nostra conversazione. Non si tratta di teorie o di proclami, ma di una rivoluzione realizzata con i fatti, con le arance e le feste comunitarie. L’altra parola che utilizza più frequentemente è ‘ndrangheta. Siamo, infatti, nella Locride, nella Piana di Gioia Tauro: un territorio che raggiunge punte di disoccupazione giovanile del 70% e dove anche solo immaginare di cambiare le cose è di per sé già un gesto rivoluzionario.
Linarello è il presidente di GOEL – Gruppo Cooperativo, una comunità di persone, cooperative sociali e imprese, che ha come obiettivo il cambiamento e il riscatto della Calabria. GOEL si occupa di accompagnamento dei minori a rischio, accoglienza dei migranti, assistenza psichiatrica, ma anche di agroalimentare biologico, turismo responsabile e moda. Si tratta complessivamente di 340 lavoratori dipendenti, che producono un valore aggregato annuo di 8 milioni di euro. GOEL (significa “il riscattatore”) nasce dall’esperienza di un percorso avviato a metà degli anni Novanta insieme a Monsignor Bregantini.
Da quell’esperienza e dalla consapevolezza che la disoccupazione sia causa e conseguenza del potere della ‘ndrangheta, è maturata l’idea che sia possibile innescare un cambiamento sistemico della Calabria, puntando proprio sull’etica. «La strategia di cambiamento di GOEL è abbastanza semplice: delegittimiamo la ‘ndrangheta dimostrando che, non è solo “cattiva”, ma soprattutto è fallimentare. E lo facciamo mettendo in campo operazioni economiche imprenditoriali, come GOEL Bio, che ha rivoluzionato il prezzo del conferimento degli agrumi, portandolo da 5/10 centesimi al chilo a 40 centesimi. Ovvero, noi oggi stiamo pagando il prezzo più alto mai pagato in Calabria per il conferimento delle arance!
Così dimostriamo con i fatti che l’economia civile ha la capacità di essere competitiva sul mercato, creare sviluppo vero e, soprattutto, a differenza dell’economia criminale, redistribuire bene la ricchezza». Ovviamente, affinché questa strategia funzioni, c’è bisogno di segni visibili e comprensibili per tutti i calabresi e anche per gli affiliati alle cosche. «Oggi gli imprenditori che sfidano la ‘ndrangheta, non solo corrono rischi in termini di sicurezza personale, ma il più delle volte subiscono il conseguente fallimento della propria impresa. Quindi la nostra scommessa è accompagnare imprese che, dopo aver detto di no alla ‘ndrangheta, non solo devono sopravvivere, ma guadagnare addirittura più di prima. Questa è una rivoluzione!».
Come farlo? GOEL ha scoperto che la ‘ndrangheta si combatte anche con la mobilitazione dell’opinione pubblica. Perché, a differenza di Cosa Nostra, le ‘ndrine calabresi preferiscono rimanere lontane dai riflettori e non attirare troppo l’attenzione. «Questa è un altro grande cambiamento. Abbiamo addirittura inventato le “Feste della ripartenza”: dopo ogni aggressione subita dalle nostre aziende, organizziamo una festa, che coinvolge la comunità locale, ma anche l’opinione pubblica nazionale, a favore di esse. Da qui nascono una serie di opportunità e di forme di sostegno all’azienda, che producono perfino risvolti positivi».
Tutto questo, dopo le “Feste della Ripartenza”, viene raccontato attraverso i mass-media locali, spiegando all’intera comunità e ai mafiosi tutti i “vantaggi” scaturiti per la vittima colpita grazie a GOEL alla mobilitazione dell’opinione pubblica. Ad esempio, recentemente Pino, un ristoratore socio di GOEL Bio, ha ricevuto lettere contenenti minacce di morte per lui e la sua famiglia, con la richiesta di una mazzetta molto pesante. GOEL ha reagito, attivando una grande campagna di mobilitazione locale e nazionale, che ha prodotto una splendida reazione della comunità locale. «Temevamo che la gente per un certo periodo avrebbe evitato di frequentare questo ristorante, temendo per la propria incolumità. Al contrario la comunità lo ha fatto straripare di richieste per i mesi successivi, perché ha detto “Basta! Noi ci schieriamo. Ci mettiamo la faccia. Andiamo a mangiare da Pino”». E questi piccoli gesti, sommati tra di loro, insieme a una sapiente campagna mediatica nazionale sui social network e sulle tv, contribuisce ad accendere i riflettori sulla Calabria, raggiungendo un pubblico molto più ampio. Tutto questo alla ‘ndrangheta nuoce e dà terribilmente fastidio! C’è un aspetto che più di tutti risulta evidente conversando con Linarello: nel corso del suo racconto appassionato non cita mai lo Stato, proprio in una terra in cui la criminalità organizzata fa l’antistato.
Non si tratta di una dimenticanza, ma di una precisa visione dello Stato e della democrazia, che ha radici antiche. «Quando GOEL accoglie il grido di aiuto degli agricoltori che vengono colpiti dalla ‘ndrangheta, non risponde: “Siamo indignati. Lotteremo insieme a voi. Manifesteremo perché lo Stato ci deve garantire la sicurezza”, questa è una visione “vecchia” di Stato. La visione della democrazia fondata sulla sussidiarietà e sulla partecipazione ci porta a essere consapevoli che: “Lo Stato siamo noi. Se c’è un problema, noi cittadini dobbiamo comportarti da “Stato” e fare tutto quello che possiamo fare. Aggregandoci, per esempio. Se ci sono le aggressioni, collaborando con le forze dell’ordine, attiviamo una mobilitazione della comunità. Se c’è lo sfruttamento nei campi, costruiamo una filiera che garantisce il giusto prezzo”. Dopo che abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, da cittadini-Stato, a quel punto è giusto che sussidiariamente intervengano le istituzioni, la magistratura, le forze dell’ordine. Le istituzioni, la rappresentanza politica, la burocrazia, sono organizzazioni funzionali di uno stato fondato sui cittadini che non abdicano mai alla responsabilità sociale e alla partecipazione civica.».
E con due frasi, ribaltando completamente la questione, demolisce tante accuse pretestuose di dipendenza dall’assistenzialismo pubblico rivolte alla società civile del Mezzogiorno.
Dalla rivista Fondazioni marzo-aprile 2020