Testimonianza di Stefano Caserini, docente
per Fondazioni ottobre 2019
La comunità scientifica ritiene inequivocabile l’attuale surriscaldamento globale del pianeta e considera elevata la probabilità che nei prossimi decenni ci troveremo a fronteggiare cambiamenti climatici, originati dalle attività umane, molto pericolosi per le persone e gli ecosistemi che abitano il pianeta. La realtà del riscaldamento e le responsabilità umane sono ormai evidenti e sempre meno credito hanno le voci che negano un fondamento alle acquisizioni di decenni di scienza del clima. Gli ultimi rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che hanno sintetizzato il risultato di migliaia di autorevoli pubblicazioni scientifiche realizzate da numerosi gruppi di ricerca in tutto il mondo, hanno chiarito la grande portata dei cambiamenti climatici possibili per il futuro: negli scenari senza consistenti e rapide riduzioni delle emissioni, l’aumento delle temperature medie globali rispetto al periodo preindustriale raggiungerà a fine secolo i 3 – 4°C, proseguendo ulteriormente nei secoli successivi.
Si tratta di variazioni che non hanno paragoni con quanto conosciuto nella sua storia dall’Homo Sapiens, accompagnate dalla variazione di tanti altri impatti quali l’ulteriore aumento dell’acidificazione degli oceani e del livello del mare. In questo contesto, l’Accordo di Parigi rappresenta un importante passo in avanti nel negoziato internazionale sul clima, un compromesso ben strutturato sui tempi e sulle regole del percorso futuro della governance mondiale e multilaterale del clima. Prendere sul serio l’Accordo di Parigi comporta drastiche riduzioni delle emissioni in tempi rapidi. Sono necessarie azioni sia di riduzione delle emissioni di gas climalteranti (mitigazione) che per gestire gli impatti inevitabili (adattamento).
Sono azioni che devono riguardare tutti i settori economici e tutti i loro attori. Anche il mondo della finanza ha iniziato a prendere sul serio la questione del surriscaldamento globale. Negli anni passati hanno fatto scalpore le dichiarazioni allarmate dell’ex CEO di Goldman Sachs Henry Paulson, del presidente della World Bank Jim Yong Kim, del governatore della Bank of England, Mark Carney sulla possibile “bolla del carbonio”: se si contrasterà seriamente il riscaldamento globale le riserve di combustibili fossili conteggiate come futuri ricavi nei bilanci perderanno valore: diventeranno degli stranded assets (si veda ad esempio il rapporto “Unburnable Carbon” pubblicato da Carbon Tracker Initiative).
Più recentemente sono da segnalare le parole del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – “i cambiamenti climatici pongono nuovi rischi per l’economia reale e per la stabilità del settore finanziario” – e la decisione della Banca Mondiale di non finanziere più, dopo il 2019, le infrastrutture per l’estrazione di petrolio e gas. Tagliare i fondi per l’estrazione di nuovi combustibili fossili è cruciale se si vuole lasciare sotto terra quattro quinti delle riserve di fossili conosciute, per avere qualche probabilità decente di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto di +2°C rispetto al periodo preindustriale. Mettere una data di scadenza all’uso di tutti i combustibili fossili vuol dire affrontare davvero la decarbonizzazione del sistema energetico. Ed in questo il ruolo della finanza è cruciale.
Dalla rivista Fondazioni: settembre – ottobre 2019