“Non è un Paese per giovani”, non si tratta del sequel del film dei fratelli Coen, ma della condizione dell’Italia che, purtroppo, oggi non sembra essere un habitat accogliente per le giovani generazioni. Un Paese dove i minori non riescono a svincolarsi dalle condizioni di disagio delle loro famiglie e non hanno opportunità educative e luoghi a disposizione che incentivino l’aggregazione sociale. Questa la fotografia scattata da Vincenzo Smaldore, responsabile dei contenuti editoriali di Openpolis, la fondazione indipendente che promuove la trasparenza e la partecipazione democratica dei cittadini della rete. Openpolis, insieme all’impresa sociale Con i bambini – soggetto attuatore del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile -, ha lanciato l’Osservatorio sulla povertà educativa minorile con l’obiettivo di promuovere un dibattito sulla condizione dei minori in Italia, a partire dalle opportunità educative, culturali e sociali.
Partiamo dalle premesse: cos’è la povertà educativa? Come è legata alla povertà economica?
Quando si parla di povertà educativa s’intende la carenza di un insieme di servizi e opportunità che possono permettere a un bambino di accrescere e formare la propria personalità; parliamo di servizi legati all’inclusione sociale partendo dalla scuola, allo sport, ai servizi sociali, alla cultura, allo svago e all’aggregazione. Da un punto di vista di contrasto alla povertà, si è passati oramai da tempo a ragionare in un’ottica multidimensionale, quindi a considerare non solo la povertà “materiale”, ma a guardare anche le sue cause scatenanti e le ripercussioni sulla società. Nazioni Unite, Ocse, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale identificano nella povertà educativa la prima e principale causa della povertà materiale. Di contro riconoscono che ricerca, formazione ed educazione sono presupposti necessari per lo sviluppo di un paese. In Italia di povertà educativa minorile si parla purtroppo pochissimo, tuttavia il tema a livello internazionale ha assunto centralità e il nostro Paese rimane ancora fanalino di coda e il dibattito su questo fronte non è presente. Proprio questa mancanza è stata la spinta per noi a lavorare e creare presupposti che incentivino consapevolezza.
Perché in Italia non si parla di povertà educativa minorile?
Il tema non è stato per lungo tempo nell’agenda pubblica del Paese in primis per una ragione “anagrafica”: l’Italia è un Paese che sta invecchiando, dunque si parla molto più di pensioni che di educazione. Va anche detto che questa fase politica si è molto concentrata su sussidi, incentivi, detassazione e l’aspetto dei servizi al momento è fuori dal dibattito. Noi speriamo che il Fondo, insieme al nostro contributo, serva a portare l’attenzione su questo aspetto, perché politiche mirate a implementare i servizi non danno riscontro immediato ma producono effetti a lungo raggio. Come è possibile monitorare il fenomeno della povertà educativa minorile? Molto spesso gli indicatori per le analisi di questo tipo sono costruiti su scala na- zionale o al massimo su scala regionale. Secondo noi questo è un grandissimo limite perché la scala nazionale è una media di quello che succede all’interno della Nazione. Una media è qualcosa che nasconde le specificità e le differenze. Stessa cosa si può dire per un monitoraggio regionale. Allora, il proposito che ci siamo dati con l’impresa sociale Con i bambini è costruire un Osservatorio su base comunale, andando a realizzare due filoni di dati: il primo dato di contesto legato ai comuni (quindi dati geografici, economici, demografici), e l’altro un filone tematico basato su un censimento di presenza e qualità dei servizi rispetto agli ambiti d’interesse. Questa combinazione ci permette di fare tutta una serie di analisi in terna alle regioni, sui singoli comuni e ancor più nel dettaglio sul municipio stesso. Uno dei primi risultati del monitoraggio su scala comunale è stato il progetto sugli asili comunali di Roma.
In cosa consisteva e quali sono stati i risultati ottenuti?
L’obiettivo della raccolta dati relativa al servizio degli asili comunali a Roma e del confronto tra questi è stato la volontà di far emergere la disomogeneità tra le diverse realtà urbane che compongono la Capitale. Infatti il risultato dell’analisi ha evidenziato un’offerta piuttosto frastagliata: zone ben servite spesso sono circondate da realtà metropolitana. Insomma, dal rapporto, fatto su base locale, è emersa una granularità territoriale che con un’analisi di tipo nazionale non sarebbe emersa. La domanda che sorge spontanea è: in una città come Roma, qual è il centro è qual è la periferia? Molto spesso questo è un concetto affrontato in termini solo geografici, ed è opinione comune che si consideri centro di Roma Piazza Navona e le zone intorno sempre più periferiche. Tuttavia, andando ad analizzare i dati economici e anagrafici sui servizi, ci rendiamo conto che esistono tanti centri e tante periferie e in alcuni casi sono elementi ribaltati rispetto ai concetti geografici. Questa è una complessità territoriale enorme con cui bisogna fare i conti dal punto di vista dell’analisi, per poter poi fare delle valutazioni intelligenti in termini di amministrazione del territorio.
Quale ritenete sia la chiave per contrastare la povertà educativa?
È importante fare rete. Ovvero intervenire con un approccio che guardi la società “complessivamente”: in cui la scuola è al centro, ma un ruolo fondamentale lo ri- coprono anche cultura, sport e associazionismo. Vari studi scientifici dimostrano che l’unione è un elemento proficuo per combattere l’abbandono scolastico. Inau- gurare un campetto da calcio può sembrare una piccola cosa, ma permette di combattere la disgregazione scolastica ed è inoltre un mezzo potentissimo per combattere le baby gang, forse più che mandare 300 agenti delle forze dell’ordine…
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