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Si fondono le Fondazioni di Cuneo e di Bra

«È stata scritta la prima pagina di una nuova storia». Giandomenico Genta, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, racconta così la fusione per incorporazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Bra nella Fondazione Crc, conclusa formalmente l’11 marzo scorso, a quasi quattro anni dalla firma del Protocollo Acri-Mef, che auspicava forme di cooperazione e di aggregazione tra Fondazioni per potenziare l’efficienza e l’efficacia dei loro interventi sui territori.

Presidente, perché la definisce una “nuova storia”?

Perché è la prima volta in Italia che due enti, che hanno sempre operato su territori limitrofi, scelgono di fondersi per rispondere alle tante sfide che le comunità si trovano ad affrontare. In Italia la frammentazione costituisce un retaggio storico e un ostacolo che ha pesantemente influenzato nel passato – e continua ancora oggi a influenzare – la crescita in molti ambiti.

Qual è l’obiettivo di questa fusione?

L’obiettivo comune delle due Fondazioni è stato perseguire un’alleanza tra territori contigui, che permetta di raggiungere la massa critica necessaria a migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione progettuale ed erogativa finora portata avanti. Un’operazione che permetterà di consolidare la coesione sociale delle comunità coinvolte e promuovere progetti che solo un grande soggetto può realizzare, garantendo al contempo il mantenimento delle identità dei diversi territori.

 

Come cambieranno gli equilibri sul territorio?

Occorre fare una premessa: il territorio cuneese ha una particolare conformazione caratterizzata da 247 Comuni, molti dei quali piccoli e in zone marginali di montagna o collina. Un’evidenza che va poi calata nella fase storica odierna, in cui sempre più gli attori chiave per promuovere lo sviluppo non sono le nazioni o le regioni, bensì i “distretti territoriali”, chiamati a costruire le proprie strategie di innovazione in ambiti fondamentali come la formazione, la ricerca scientifica, lo sviluppo economico, le infrastrutture e il welfare. A fronte di queste evidenze, quotidianamente riscontrabili sul campo, appare chiara la necessità di costruire iniziative e istituzioni in grado di superare steccati territoriali e campanilismi oramai fissati solo sulle cartine geografiche. Di fatto, con questa operazione incrementiamo il nostro patrimonio e allarghiamo i nostri confini, includendo tra i territori principali d’intervento – storicamente erano quelli di Alba, Mondovì e appunto, Cuneo – anche quello di Bra. Il nome della Fondazione non è cambiato, è rimasto Crc, ma è variata la governance: il Consiglio Generale si allargherà presto per ospitare un consigliere in rappresentanza dell’area braidese.

Come si è giunti a questa fusione e quali gli attori che hanno attivamente preso parte?

Il percorso che ha condotto a questo risultato ha coinvolto un gruppo di lavoro congiunto composto dai rispettivi Direttori e dai rappresentanti degli organi delle due Fondazioni (Consiglio d’indirizzo, Consiglio di amministrazione, Collegio sindacale). Nel corso dell’ultimo anno sono stati analizzati e discussi i diversi aspetti toccati dall’operazione, fino a trovare insieme le intese sui temi patrimoniali, erogativi e relativi alla governance. Il ruolo di apripista ha dovuto fare i conti con l’assenza di una legislazione specifica che disciplini le fusioni tra Fondazioni: grazie al supporto continuo garantito da Acri, dal Mef e dai consulenti legali e fiscali incaricati è stato possibile tracciare un iter e stabilire regole che costituiscono la prassi adottabile da altri Enti in operazioni analoghe su scala nazionale.

Secondo lei, altre Fondazioni seguiranno l’esempio cuneese?

È di pochi giorni fa la notizia che è partito l’iter della seconda fusione, quella tra Fondazione Banco di Napoli e Fondazione Chieti-Abruzzo e Molise. Dunque, la prima pagina di questa nuova storia, scritta da Fondazione Crc e Fondazione Crb, inizia a dare frutti anche a livello nazionale. Per il buon esito di altre operazioni come la nostra credo sarà necessaria una volontà condivisa tra gli enti coinvolti: da un lato, sul fronte delle “piccole” fondazioni, gli amministratori devono essere consapevoli delle necessità delle loro comunità e delle sfide future a cui sono chiamate le loro istituzioni, per garantire continuità e stabilità all’azione erogativa; dall’altro, da parte delle Fondazioni “incorporanti”, è necessaria la disponibilità a un dialogo paritetico, rispettoso della storia delle istituzioni incorporate, e un’attenzione alle esigenze specifiche dei singoli territori. La scelta di superare certe logiche di frammentazione territoriale è stata per noi vincente: siamo sicuri che insieme si potrà fare meglio e di più.

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