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Beni confiscati: la buona gestione contrasta le mafie

«L’attuale meccanismo non regge più». Così Giuseppe Guzzetti il 13 luglio scorso a Roma in occasione della presentazione in Acri di un contributo di riflessione per realizzare un nuovo sistema di gestione dei beni mobili e immobili confiscati alle mafie, messo a punto da un gruppo di lavoro coordinato da Fondazione con il Sud e costituito da Forum del Terzo Settore, Fondazione Cariplo, Fondazione Cariparo, Fondazione Sicilia e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, che ha coordinato la definizione degli aspetti giuridici della proposta. L’analisi di autosostenibilità economico-finanziaria è stata, invece, affidata a Nomisma. Oggi la destinazione delle risorse confiscate alle mafie è distribuita su troppi canali e manca una strategia complessiva sul loro utilizzo. I costi di gestione, inoltre, non sono particolarmente contenuti. È invece necessario un uso sociale e una gestione economicamente più efficiente dei beni, più pubblica e partecipata, improntata alla massima trasparenza e che preveda un utilizzo delle risorse esclusivamente destinato alla valorizzazione e gestione delle aziende e dei beni immobili confiscati. Così l’idea proposta è quella di creare un “Ente” pubblico economico che subentri all’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) ma con più vaste competenze e responsabilità, con sede a Roma e personale con contratto di diritto privato, gestito da un Consiglio di Amministrazione di nomina pubblica che sia composto da manager con esperienze industriali, immobiliari e finanziarie, da un rappresentante dell’Anci e delle Associazioni più impegnate nella lotta alle mafie. Insieme al Collegio sindacale ci dovrà inoltre essere un Comitato strategico formato da rilevanti personalità delle istituzioni, del mondo dell’impresa e della finanza, della magistratura, del mondo scientifico e del terzo settore.

La legge Rognoni – La Torre e la successiva legge 109 del 1996, per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, rappresentano un momento straordinariamente importante nella storia della nostra Repubblica, ma non sono state modificate nel tempo per rafforzarne l’efficacia, nonostante due proposte di riforma siano depositate in Parlamento e la Corte dei Conti abbia avanzato dubbi sull’efficienza del Fondo Unico di Giustizia – Fug (istituito dal DL 143/08 convertito dalla legge 181/08) su cui confluiscono tutte le somme di denaro confiscate (comprese le attività finanziarie a contenuto monetario o patrimoniale), peraltro non solo alle mafie. Superare i limiti degli strumenti operativi e dell’attuale normativa è il punto di partenza della proposta avanzata dalle Fondazioni, che individua i punti decisivi di una possibile e auspicata revisione della materia, ma non si spinge fino alla definizione puntuale dei contenuti di un eventuale nuovo assetto normativo, né fa diretto riferimento alla discussione in atto in sede parlamentare. Tiene, invece, ben presenti i dati di realtà: secondo l’Anbsc in Italia i beni immobili confiscati alle mafie sono 23.576, concentrati soprattutto in 6 regioni (Sicilia 43,51%, Campania 12,76%, Calabria 12,00%, Puglia 9,46%, Lazio 7,02%, Lombardia 6,88%).   


Credits foto: Etiket |Agenzia di Comunicazione Sociale


Non sono, però, disponibili dati certi sul numero dei beni utilizzati, nonostante i 21 milioni di euro destinati alla loro mappatura e al continuo scambio di dati e informazioni relativi ai sequestri. Una recente ricerca di Libera ha censito 525 soggetti, del terzo settore, che hanno valorizzato beni confiscati. Sul fronte delle aziende confiscate l’Anbsc ne segnala 3.585 ma, secondo gli ultimi dati disponibili, sono meno di 10 quelle date in gestione a cooperative di dipendenti, mentre 1.893 sono in carico all’Agenzia, che non ne ha ancora decisa la destinazione. «La buona gestione dei beni e dei patrimoni confiscati non è solo un potente strumento di contrasto alle mafie, simbolo di liberazione di intere comunità e segnale di speranza e giustizia – commenta Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione con il Sud –. Può essere molto di più, la posta in gioco è ancora più alta: se il sistema funziona veramente può essere un’importante leva di sviluppo economico e un micidiale ed efficace strumento di scardinamento della cultura mafiosa, che si nutre dei fallimenti dello Stato. Sul territorio il risultato concreto, però, si deve vedere». E aggiunge Giovanni Puglisi, presidente emerito di Fondazione Sicilia: «Occorre andare oltre la pur felice stagione della presa di coscienza della necessità e della concreta possibilità di “espropriare” la criminalità organizzata di stampo mafioso delle ricchezze illecite acquisite con l’attività criminosa. È giunto il momento di rendere effettivamente redditizie e utili alla collettività di oggi e di domani, specie a beneficio delle giovani generazioni, queste ricchezze, oltre ogni visione burocratica e routinaria della loro gestione ragionieristica. Perché la mafia si combatte anche e soprattutto con l’esemplarità dei comportamenti, che è più incisiva di qualunque altra forma di lotta nella formazione delle coscienze civili dei giovani». «Un bene confiscato è un bene, come i beni comuni, che i cittadini attivi non vogliono vedere deperire – sottolinea Pietro Barbieri, portavoce del Forum del Terzo Settore – ma soprattutto un bene confiscato alla proprietà di famiglie mafiose è un simbolo in qualsiasi territorio: un simbolo del sopruso e della violenza che si trasforma in presidio della comunità, a disposizione e aperto a una nuova dimensione sociale. Ancor di più, quindi, il mancato utilizzo del bene è un arretramento sul tema del contrasto sociale alle mafie». 

A vent’anni dall’approvazione della legge 109/1996, il sistema di governo e di amministrazione della materia mostra, invece, una crescente inefficacia e ugualmente complessa è la situazione per i beni mobili. Il sistema attuale non riesce a “reggere” adeguatamente, sia per la dimensione del fenomeno sia perché i tentativi di “manutenzione” legislativa, amministrativa e organizzativa hanno sortito effetti, a consuntivo, deludenti. Perciò non pare sufficiente impegnarsi nella difesa dell’attuale sistema. Occorre un’operazione culturale, civile e politica che rilanci in avanti il tema della gestione e utilizzo dei beni confiscati alle mafie in una nuova e migliore integrazione tra legalità, coesione sociale e sviluppo, con un forte recupero in termini di coordinamento delle competenze e delle attività, di trasparenza e di pubblicità delle informazioni. Questo è quanto emerso dall’incontro in Acri, in cui sono intervenuti: Giuseppe Guzzetti in qualità di presidente di Fondazione Cariplo, Carlo Borgomeo, Pietro Barbieri, Giovanni Puglisi, Marco Giampieretti di Fondazione Cariparo, Marco Cammelli già presidente di Fondazione del Monte e coordinatore del gruppo di lavoro giuridico, Giulio Santagata consigliere delegato di Nomisma. «Questo progetto – dichiara Barbieri – traccia una traiettoria innovativa, mettendo assieme beni immobili, aziende, denaro e valori in un’unica istituzione in grado di muoversi più agevolmente sia nella fase di transizione della proprietà, che in quella di assegnazione a un soggetto di terzo settore». L’ipotesi è di mettere a capo dell’intera filiera un unico Ente, che dovrebbe anche gestire lo stock di risorse derivanti dalle confische e dai sequestri, che attualmente fanno parte del Fug. Di queste, 10 milioni di euro ne costituirebbero il patrimonio. Secondo le indicazioni fornite da Nomisma, l’Ente potrà raggiungere un pieno equilibrio economico finanziario e dovrà predisporre semestralmente una dettagliata relazione al Parlamento sulle attività svolte e i risultati conseguiti. Pressoquest’unità di gestione verrà costituito un Fondo Beni Confiscati, alimentato dalle risorse economiche e finanziarie relative a provvedimenti di sequestro e di confisca alle mafie attualmente confluenti nel Fug, dalla eventuale vendita di beni immobili e di imprese confiscate e da proventi finanziari derivanti da investimenti del patrimonio. Sarà, gestito con criteri di prudenza e le risorse potranno essere impiegate per diverse attività: valutazione, monitoraggio e promozione; compensi a temporary manager da impiegare nella gestione di imprese sequestrate e confiscate; investimenti su beni immobili (valorizzazione e gestione autosostenibili o spese di demolizione) e per imprese confiscate (ristrutturazione, riconversione, qualificazione tecnologica); a garanzia di queste ultime nei confronti degli istituti di credito; per il sostegno ai famigliari di vittime della mafia; al reddito e per il ri-orientamento al lavoro dei dipendenti delle imprese sequestrate; per dar vita a un meccanismo assicurativo per danni da ritorsioni; per la restituzione delle somme sequestrate o del corrispettivo economico dei beni, sottraendo quest’onere ai Comuni assegnatari; per i rimborsi a terzi, soprattutto fornitori delle imprese sequestrate. «La parte giuridica della proposta – specifica Marco Cammelli – sviluppa sul piano normativo quanto emerso dall’analisi dell’esperienza e dalle proposte di Nomisma, vale a dire: cornice regolativa per una gestione immediata e più flessibile, concentrazione delle funzioni in un soggetto che sia insieme garante (parte pubblicistica) e attrezzato (parte economica) per una attività efficiente, supporto agli Enti locali per le responsabilità che si assumono sui beni sequestrati, adeguata attenzione alla salvaguardia dei diritti dei terzi nel corso del procedimento».

La proposta individua anche priorità e soluzioni per la valorizzazione e l’utilizzo delle differenti tipologie di beni confiscati. Questo sulla base dell’esperienza maturata da alcune Fondazioni che negli ultimi anni hanno sostenuto progetti di valorizzazione e gestione di beni confiscati alle mafie, in particolare la Fondazione con il Sud (nelle regioni meridionali ha sostenuto 39 progetti su 50 beni confiscati, 39 fabbricati e 11 terreni e, attraverso due bandi dedicati alla loro valorizzazione, ha erogato oltre 6,7 milioni di euro).

 

Per gli immobili vengono suggeriti: il comodato d’uso gratuito, con meccanismi di evidenza pubblica, a organizzazioni del terzo settore per finalità sociali o attività imprenditoriali non profit; la concessione non onerosa ai Comuni per attività di rilevanza sociale; l’utilizzo per scopi istituzionali (scuole, caserme, Enti pubblici locali) mediante avviso pubblico; la vendita del bene con procedure di evidenza pubblica aperta a tutti i soggetti, a determinate condizioni e con la cautela necessaria per evitare il rischio di “riacquisto” da parte di organizzazioni mafiose o di soggetti collegati e, una volta verificata la non praticabilità delle ipotesi precedenti, la demolizione del bene e la restituzione dell’area a titolo gratuito all’Ente locale. Per le imprese, la proposta prevede: l’affitto a condizioni agevolate ai lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata riuniti in cooperativa, in sinergia con Cfi-Cooperazione Finanza Impresa (società cooperativa per azioni partecipata dal Ministero dello Sviluppo Economico); l’affitto a titolo oneroso a soggetti pubblici e privati mediante meccanismi di evidenza pubblica; la vendita; la liquidazione e utilizzazione dell’immobile secondo le priorità indicate per i beni immobili. Infine, per i beni mobili, si propone: la donazione a organizzazioni del terzo settore, alle Forze di Polizia o a Enti pubblici per finalità sociali o ai destinatari di beni confiscati per lo svolgimento di attività connesse al progetto implementato; la vendita all’incanto.

«I beni confiscati alla malavita sono già stati al centro di progetti realizzati dalle Fondazioni di origine bancaria, tra cui Cariplo – conclude Guzzetti –. Sono progetti che hanno un doppio valore, intrinsecamente più alto, perché vanno a “conquistare” luoghi in precedenza usati per attività illecite. Insieme alle organizzazioni non profit possiamo fare molto di più, con una normativa che consenta procedure più semplici: siamo comunque consapevoli del rigore e del controllo che deve essere garantito su questioni di questo genere. Abbiamo tanti casi virtuosi (ndr. vedi articoli a seguire) da cui poter trarre esperienza su come siano stati gestiti i doverosi passaggi. Impariamo da quelli».   


Willkommen Crotone   

C’è un nuovo punto di riferimento per i giovani turisti stranieri che vogliono conoscere la Calabria. È l’ostello della gioventù di Cutro (Kr), inaugurato nel 2015 all’interno di un bene confiscato diciotto anni fa a Carmine Zoffreo, esponente del clan dei Mannolo. La struttura, con 9 stanze e 24 posti letto, è gestita dall’Associazione Amici del Tedesco, promotore del progetto “Welcome & Willkommen”, sostenuto dalla Fondazione con il Sud. L’iniziativa ha l’obiettivo di favorire i flussi turistici, per lo più stranieri, in un’area territoriale con forti potenzialità ricettive ma con carenze di infrastrutture e servizi, e di incentivare la nascita di un turismo sociale, valorizzando i beni confiscati e restituendoli alle comunità come luoghi capaci di favorire lo sviluppo del territorio calabrese. Per promuovere storia, tradizioni e bellezze calabresi sta per essere attivato anche un centro di accoglienza e promozione turistica a Cropani Marina (Cz), ospitato in un secondo bene confiscato. www.willkommencrotone.it  

 

Cambio rotta

Villino Geraci, nel comune di Altavilla Milicia (Pa) è un bene confiscato a un imprenditore affiliato a Cosa Nostra che, da fortezza inaccessibile e circondata da mura, è stata trasformata in spazio aperto a eventi e iniziative per la collettività. Da roccaforte dove la criminalità organizzata esercitava il proprio malaffare, è divenuta un centro culturale polivalente, dove l’intrattenimento giovanile, lo scambio di esperienze e di differenti tradizioni enogastronomiche si coniuga con la promozione della legalità e della sostenibilità ambientale. Nella villa convivono infatti due anime. Da un lato ci sono iniziative culturali come rassegne musicali, reading, spettacoli teatrali, mostre fotografiche e attività per bambini, che ogni estate richiamano oltre 15mila persone. Dall’altro, grazie al sostegno della Fondazione con il Sud e all’impegno della cooperativa sociale Consorzio Ulisse, vengono organizzate attività formative rivolte a giovani immigrati. Sono stati inoltre attivati una Scuola internazionale di cucina del Mediterraneo e un ristorante da 150 posti. www.cambiorotta.org

Rete Economia Sociale

L’area ovest dell’Agro aversano e del Litorale Domitio in provincia di Caserta è una zona dove esclusione sociale, criminalità e degrado sono particolarmente diffusi, con ovvie conseguenze sulla qualità della vita, sui diritti delle persone e sullo sviluppo economico. Qui, promosso dal Comitato Don Peppe Diana e sostenuto dalla Fondazione con il Sud, è nato il progetto “Rete Economia Sociale”: undici imprese sociali che, riunite in un contratto di rete, lavorano insieme per favorire lo sviluppo locale, puntando sulla valorizzazione dei beni confiscati. Dal contratto di rete sono infatti nate tre filiere: “agroalimentare sociale”, che valorizza agricoltura ed enogastronomia del territorio, favorendo il reinserimento di persone svantaggiate; “comunicazione sociale”, che all’interno di un bene confiscato ha supportato la nascita di un’agenzia di comunicazione sociale, con una web radio e una sala di incisione musicale; “turismo responsabile”, che ha permesso di avviare itinerari turistici per far scoprire i luoghi di Don Peppe Diana, prete ucciso dalla camorra nel 1994, e le pratiche d’impegno civile nate dal suo sacrificio. 

Palazzo Versace è di tutti

A Polistena (Rc) quello che era il palazzo dei Versace, la più potente famiglia della ‘ndrangheta locale, è diventato un centro di accoglienza, formazione, inserimento lavorativo, integrazione culturale e assistenza sanitaria. Dopo la confisca, il palazzo è stato assegnato alla locale parrocchia di Santa Marina Vergine e Martire perché lo valorizzasse e lo rendesse auto-sostenibile. La rinascita di “Palazzo Versace” è stata realizzata grazie al contributo della Fondazione con il Sud. Un tempo simbolo del potere mafioso, il palazzo dei Versace oggi è un segno di speranza e di riscatto. Cinque piani all’ingresso del paese, nel quartiere della Catena, quello più problematico, feudo incontrastato anche adesso di gruppi mafiosi. Lì ci sono le loro case, ma il palazzo ora non è più “cosa loro”, ma “cosa di tutti”. Ospita uno spazio di aggregazione giovanile, uno sportello di accoglienza e ascolto, laboratori per la formazione professionale, la “Bottega dei sapori e dei saperi della legalità”, un ristorante, un ostello e un poliambulatorio di Emergency per prestazioni sanitarie gratuite destinate a immigrati e persone in stato di bisogno. 

Casa Chiaravalle

Casa Chiaravalle è il più vasto e prezioso dei beni mai confiscati alla mafia a Milano e il secondo bene confiscato più grande nel Nord Italia. Nel 2014 il Comune di Milano lo ha assegnato per vent’anni a un’associazione temporanea d’impresa costituita da Consorzio Sistema Imprese Sociali, Arci Milano, cooperativa Chico Mendes e cooperativa La strada. Si tratta di una grande villa-cascina, con tre appartamenti, due pertinenze, un bosco, un frutteto e 8 ettari di terreno. Le organizzazioni che la gestiscono hanno individuato tre macro-attività su cui puntare per “restituirlo” alla cittadinanza: accoglienza, aggregazione, agricoltura. Fondazione Cariplo ha finanziato lo studio di fattibilità (concluso a fine 2015), i lavori di messa in sicurezza degli edifici e alcuni degli eventi che si sono svolti al suo interno. Ogni anno Casa Chiaravalle ospita il Festival dei Beni sequestrati e confiscati alle mafie, un appuntamento realizzato dall’Assessorato alle Politiche sociali di Milano. 

Cambiare un filo alla volta

“Cangiari” (in dialetto calabrese “cambiare”) è il primo marchio italiano di moda etica di fascia alta. È nato nel 2009 a opera del gruppo cooperativo Goel, che raccoglie numerose imprese sociali della Locride e della Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Tutta la filiera di Cangiari, dai tessuti a mano fino alla comunicazione, è composta da imprese sociali. La promozione avviene attraverso uno showroom realizzato a Milano in un bene confiscato alla mafia. Cangiari, attraverso il recupero delle tradizioni tessili della Calabria, mira a promuovere l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e il riscatto sociale ed economico di un territorio conosciuto per i gravi problemi di cui è vittima. Nel 2004 Fondazione Cariplo ha sostenuto il progetto “Cangiari to change”, ideato per accompagnare il percorso di internazionalizzazione del marchio Cangiari. Dal 2008, infine, Goel promuove l’Alleanza con la Locride e la Calabria, sottoscritta da oltre 740 tra enti e organizzazioni, che si propone di contrastare il dilagare del fenomeno mafioso attraverso progetti concreti da realizzare in tutta la Penisola.

“Fondazioni” settembre-ottobre 2016