È in dirittura d’arrivo l’applicazione del Protocollo d’intesa Acri – Mef. Questo l’importante annuncio del presidente dell’Associazione, Giuseppe Guzzetti, al vasto e autorevole pubblico che ha partecipato all’evento di celebrazione della 91ª Giornata Mondiale del Risparmio, organizzato anche quest’anno con successo dall’Acri, il 28 ottobre a Roma, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica.
Titolo dell’edizione di quest’anno è “Risparmio e ripresa in una nuova Europa”, un tema su cui sono intervenuti, insieme al Presidente dell’Acri, il Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il Presidente dell’Abi Antonio Patuelli.
Guzzetti ha ricordato che lo scorso anno, proprio nella medesima occasione, il Ministro Padoan aveva dichiarato che il Governo non riteneva necessario modificare la legge Ciampi, da cui le Fondazioni di origine bancaria sono tuttora normate, ma riteneva, altresì, che i suoi principi di carattere generale dovessero essere completati tramite “uno strumento utile e innovativo”, quale si è rivelato il Protocollo d’intesa.
«Nonostante esso preveda un anno di tempo dalla sua firma per l’adeguamento degli statuti delle singole Fondazioni – ha affermato Guzzetti – l’Acri è impegnata con le Fondazioni associate a raggiungere questo risultato entro il 2015». Ha anche sottolineato che, a proposito della gestione del patrimonio, il Protocollo si pone l’obiettivo di spingere le Fondazioni a ottimizzare sempre più la combinazione tra redditività e rischio del portafoglio. Così anche quegli enti che ancora oggi hanno più di un terzo del proprio attivo di bilancio concentrato nel capitale della banca conferitaria (lo stesso ovviamente varrebbe se si trattasse di un altro qualsiasi asset) ne dismetteranno l’eccedenza, in tre anni se si tratta di una società quotata, in cinque qualora non lo sia. Al 31 dicembre 2014 su 88 Fondazioni 26 non avevano più alcuna partecipazione nella banca originaria, 50 avevano partecipazioni minoritarie in società bancarie conferitarie facenti parte di gruppi bancari, mentre le altre 12, di minori dimensioni, mantenevano una quota di maggioranza, come ad esse consentito dalla deroga alla riforma Ciampi introdotta con legge n. 212 del 2003.
«Ho piena consapevolezza del salto culturale che la scelta di un ulteriore allentamento dei rapporti con la banca conferitaria comporta, soprattutto per quelle Fondazioni di minori dimensioni legate a Casse profondamente radicate sui territori – ha dichiarato Guzzetti –. Peraltro si tratta di una scelta nel loro stesso interesse, alla quale, sono sicuro, sapranno dare il seguito più opportuno. Acri opererà affinché i legami delle Casse di Risparmio con le comunità e le economie dei territori di riferimento vengano mantenuti e, al contempo, perché il Protocollo sia attuato».
Altro punto centrale dell’intervento di Guzzetti l’azione filantropica delle Fondazioni, in particolare a favore delle categorie più disagiate. «Le nostre Fondazioni – ha detto – possono, anzi debbono, sperimentare risposte nuove da dare ai bisogni di intere categorie di persone in difficoltà, definendo prassi innovative da mettere a disposizione del Governo e degli enti locali, affinché siano in grado di rispondere ai bisogni sociali in maniera più efficace ed efficiente, con risparmio di risorse pubbliche, che già sono scarse».
Guzzetti ha evidenziano la crucialità del problema dei minori a cui è negata un’infanzia serena, ai giovani che non trovano lavoro, ai tanti anziani senza pensione o con una pensione così bassa da non consentire loro di alimentarsi a sufficienza.
Per queste persone, per i loro bisogni e i loro progetti, le Fondazioni di origine bancaria stanno cercando di elaborare risposte utili, esperienze positive che facciano da modello e da traino per l’impegno di altri attori, realizzando anche utili partnership pubblicoprivato e ponendo sempre più attenzione alle possibili ricadute occupazionali dei loro interventi, soprattutto a vantaggio dei giovani.
Guzzetti ha ricordato che lo scorso anno di questi tempi la Legge di stabilità per il 2015 introduceva un ulteriore appesantimento della pressione fiscale sulle Fondazioni, passando dai 100 milioni di euro di carico fiscale complessivo nel 2011 ai 170 del 2012 e del 2013 per arrivare ai 424 milioni di euro pagati dalle Fondazioni nel 2014.
«Un inasprimento incomprensibile e inaccettabile – si è lamentato Guzzetti – perché ogni euro dato al fisco è un euro sottratto alla nostra attività per il sociale». Quest’anno, invece, un dialogo positivo con il Governo – con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan – ha consentito di pensare a detrazioni fiscali, in termini di credito di imposta, per le erogazioni che le Fondazioni faranno per alimentare un fondo finalizzato a contrastare la povertà, in particolare per migliorare le condizioni dell’infanzia in difficoltà.
«Quest’iniziativa nell’ambito del Disegno di Legge di stabilità per il 2016 è un fatto di grande civiltà per il nostro Paese e siamo orgogliosi e pronti a collaborare al piano contro la povertà concordato con il presidente Renzi – ha detto Guzzetti –. Insieme al mondo del volontariato, del terzo settore e alla Fondazione con il Sud, aggiungeremo a quanto messo a disposizione dal Governo le nostre risorse, competenze ed esperienze. Daremo seguito, congiuntamente, a un’iniziativa contro le povertà in Italia, soprattutto a favore dell’infanzia svantaggiata, come nei nostri intenti già illustrati a Papa Francesco il 20 giugno scorso, quando come Associazione siamo stati ricevuti dal Santo Padre».
A seguire alcuni stralci dell’intervento del Presidente dell’Acri sugli altri temi trattati nel corso della manifestazione.
La congiuntura
Lo scenario economico attuale sta assumendo tonalità favorevoli. Da alcuni trimestri gli indicatori congiunturali sono tornati positivi, invertendo il trend della recessione economica partita nel 2012, la seconda dopo quella nata nel 2008, e durata più di tre anni. L’andamento del Pil per l’anno in corso si prospetta finalmente preceduto dal segno “+” e irrobustito rispetto a quanto ipotizzato solo qualche mese fa.
I dati che vengono dal mondo del credito confermano che “il vento sta cambiando”: i finanziamenti alle famiglie sono in lenta ripresa; per quelli alle imprese la flessione è da tempo in costante attenuazione. Anche il 2016 si prospetta positivo. Dopo anni, nel nostro Paese la crescita potrebbe tornare ad attestarsi introrno all’1%.
È atteso anche un sostanziale ridimensionamento del rischio deflazione, problema con il quale l’Italia si confronta non diversamente dal resto d’Europa. A rendere possibile una favorevole evoluzione sono state molte circostanze, ma soprattutto il virtuoso intrecciarsi tra fattori interni e fattori esterni. Ritengo che le riforme già realizzate e quelle avviate dal Governo guidato dal presidente Matteo Renzi stiano favorendo la ripresa e gli investimenti esteri in Italia. E segnali di fiducia arrivano dai nostri concittadini. In base all’indagine su gli Italiani e il Risparmio, realizzata per il quindicesimo anno da Acri con Ipsos per questa occasione, riguardo al futuro del Paese gli ottimisti sono più dei pessimisti: il 36% contro il 27%, in forte ripresa sul 2014.
In merito ai fattori esterni mi riferisco alla forte riduzione dei corsi petroliferi, al rilevante riposizionamento del cambio dell’euro, alle condizioni di minor volatilità dei mercati finanziari riguardo ai debiti sovrani, cui ha contribuito non poco la politica monetaria estremamente accomodante adottata dalle principali banche centrali, in primis la Bce guidata da Mario Draghi: con il suo piano di quantitative easing ha dato un contributo sostanziale a questo nuovo assetto; glie ne siamo grati e ritengo che glie ne sia – e debba esserlo – l’intera Europa.
In un tale quadro penso che l’attenuarsi della spinta propulsiva di molte economie emergenti (Cina innanzitutto, Russia e Brasile), anche se non può essere sottovalutata, non dovrebbe essere tale da invertire il segno complessivo della congiuntura economica nei prossimi mesi.
L’ottimismo è quindi giustificato, ma deve essere cauto. Non dobbiamo nasconderci, infatti, che tra ripresa e sviluppo c’è una forte differenza. La prima è costituita dal simultaneo aumento quantitativo dei più significativi indici congiunturali; ed è questa l’esperienza che stiamo vivendo oggi e che ci auguriamo possa consolidarsi nei prossimi mesi. Lo sviluppo, invece, è un traguardo che ci proponiamo, ma che è molto più ambizioso e impegnativo, perché implica interventi sui fondamenti strutturali: quelli che consentono a un’economia di creare ricchezza e benessere in modo sostenibile e duraturo.
La ripresa
Passare dalla ripresa allo sviluppo è oggi decisamente difficile, sia perché molti dei parametri economici di riferimento sono in continua e sostanziale evoluzione, sia perché ben più affollato del passato è il palcoscenico globale… Credo che se l’Unione Europea non si rafforza e se le regole del gioco al suo interno non vengono armonizzate, l’economia del Continente rischia di crescere solo in maniera debole e incerta.
Condividere sempre più le politiche economiche, finanziarie e di bilancio, nonché le regole che ne definiscono il quadro normativo, insieme a una maggior coesione e solidarietà di fondo, è condizione inderogabile perché i paesi abbiano valide prospettive di sviluppo e i cittadini possano contare sulla salvaguardia del valore dei loro risparmi…
Nel giugno 2012, nel pieno cioè della crisi del debito sovrano, la volontà di costruire un’Unione Bancaria Europea è divenuta un impegno concreto. E solo sei mesi dopo, grazie a un forte mandato politico, il progetto è approdato alla fase realizzativa, avendo come filo conduttore il trasferimento di importanti aspetti di sovranità nazionale a un’istituzione (la Banca Centrale Europea) impegnata a operare con una visione effettivamente continentale.
Il sistema unico di vigilanza europeo, il primo dei tre pilastri dell’Unione Bancaria, è divenuto pienamente operativo nel novembre scorso. In gennaio diventerà operativo il secondo pilastro, quello cui fare riferimento nel caso di forte difficoltà di un’istituzione creditizia. Il terzo pilastro dell’Unione Bancaria è quello che disciplina i sistemi di garanzia dei depositanti. In questo caso la direttiva che si è riusciti a concordare si ferma all’armonizzazione dei sistemi nazionali di garanzia.
È certamente un risultato inferiore a quello di costituire un fondo comune di tutela, ma quest’obiettivo non è stato abbandonato e ci auguriamo possa essere raggiunto in un futuro non lontano. I depositi bancari di imprese e famiglie ammontano nell’eurozona a oltre 11mila miliardi di euro; la quota italiana supera i 1.500 miliardi. Ogni contratto di deposito contiene gli sforzi del passato, la tranquillità del presente, la premessa per progetti futuri. Mettere a punto un’efficace normativa a loro difesa è un impegno con i cittadini europei che non può essere disatteso. Nel complesso, i risultati fin qui raggiunti sono positivi. Ma bisogna dire che non sono purtroppo molti gli ambiti nei quali si intravede un’analoga evoluzione verso la dimensione federale: non è questo, ad esempio, il caso dell’architettura fiscale né quello delle politiche di bilancio, che è lo strumento decisivo per condizionare il segno complessivo del ciclo economico a livello continentale, né tantomeno quello del welfare.
La politica monetaria può solo temporaneamente attenuare ma non annullare le negative conseguenze derivanti dalla paralizzante e quasi completa indisponibilità di altri strumenti di politica economica a livello europeo. Impegnarsi per la definizione di ulteriori momenti di piena condivisione contribuirà in modo determinante alla realizzazione del complessivo progetto comunitario.
L’Europa
Il collante europeo non può essere solo o soprattutto di natura economico-finanziaria; né così si può sopperire al troppo lento delinearsi di una comune visione politico-culturale. Sono, al contrario, assolutamente convinto che l’Europa diventerà una realtà capace di affrontare le tempeste solo se tutti gli ingredienti – economici e non economici – si fonderanno in modo equilibrato in un unico progetto.
La globalizzazione economica e finanziaria e il lungo periodo di crisi hanno inciso profondamente sul sistema di garanzie di welfare pubblico anche in quei paesi dell’Unione dove queste sono storicamente più ampie. La Ue deve dunque riscoprire l’originario concetto di economia sociale di mercato, che tra i suoi obiettivi prioritari, insieme allo sviluppo economico, pone il progresso sociale, l’integrazione, la protezione sociale, la piena occupazione, la solidarietà e la coesione sociale.
Il mancato/insufficiente intervento su questo terreno ha fatto sì che spesso i cittadini abbiano visto nell’Unione Europea la causa di parte (o addirittura di gran parte) dei loro problemi invece che la loro possibile soluzione. In questo quadro di impoverimento, insicurezza e destrutturazione crescente del welfare, organismi privati di solidarietà sociale, radicati nei territori e articolati con le reti del volontariato – fra di essi le nostre Fondazioni – stanno acquisendo un crescente ruolo sussidiario, che sempre più spesso sconfina nella supplenza.
Le Fondazioni, tutte le organizzazioni del terzo settore, come la Ue stessa riconosce, rivestono un ruolo importante quasi in ogni campo dell’attività sociale, non solo offrendo servizi e risorse alla collettività, ma anche, e soprattutto, promuovendo una cittadinanza attiva che genera infrastrutturazione sociale, da cui nasce progresso civile e culturale, spesso con ricadute positive, dirette e indirette, anche sul piano economico. Non si può, infatti, dimenticare che quel patrimonio di fiducia, reciprocità, solidarietà che crea i legami sociali è fattore immateriale imprescindibile per tracciare percorsi di sviluppo duraturo, ormai non solo a livello delle singole comunità, ma dei paesi e della stessa Europa.
Le componenti sociali della cittadinanza – con le loro aggregazioni quali fondazioni, associazioni e privato sociale – possono avere un ruolo di primo piano nel processo di costruzione di una nuova Europa e della sua ripresa, al pari dell’integrazione delle regole per il credito e la finanza. Esse rappresentano e coltivano fra i cittadini d’Europa un comune sentire di solidarietà, di attenzione e di rispetto verso ciascuno, in particolare i più deboli, che aiuta a creare un’identità condivisa; finalmente, dunque, l’anima di una nuova Europa.