In termini di impatto sul Pil i numeri del terzo settore superano quelli della moda made in Italy! Si tratta di circa 67 miliardi di euro, pari al 4,3% del nostro Prodotto interno lordo, come è stato rilevato da uno studio realizzato da Ipsos per conto di Unicredit Foundation a fine 2011. Condotto tramite interviste a 2.000 organizzazioni operanti nel non profit, lo studio descrive l’effettiva incidenza economica del terzo settore (escluse le Fondazioni di origine bancaria) sulla società italiana, evidenziando tra l’altro che, in controtendenza con la crisi economica attuale, i dipendenti sono cresciuti, in particolare quando si tratta di personale qualificato e ben formato. Il mondo del non profit in Italia è una realtà eterogenea, in continua evoluzione, e al suo interno accoglie una molteplicità di soggetti che, accomunati dallo scopo sociale non orientato al lucro, si distinguono per il comparto di attività e la motivazione che anima le loro azioni. Negli ultimi anni il terzo settore ha aumentato notevolmente il proprio peso nella società e nell’economia italiana, diventando responsabile di molte attività che hanno una valenza economica tutt’altro che trascurabile per il Paese. Il 45% degli enti è attivo soprattutto in ambito culturale- ricreativo e il 42% nell’assistenza sociale; grande rilievo hanno anche i servizi sanitari (29%) e l’istruzione (16%). A beneficiare del loro operato non sono solo persone in una situazione di disagio sociale, ma i servizi riguardano sempre più spesso l’intera popolazione. Motore di tutto il sistema sono i volontari, che rappresentano oltre il 90% del totale delle risorse umane presenti nell’intero settore. Parliamo di 4 milioni di volontari a fronte di 500mila addetti! Circa il 40% di loro dedica all’organizzazione almeno 5 ore di lavoro settimanali, assumendo un ruolo rilevante nel perseguimento del benessere della collettività. Le organizzazioni stimano che in media l’insieme dei volontari presenti al proprio interno svolgano sei volte il lavoro del personale retribuito, con un costo medio ombra pari al costo associato a sei lavoratori retribuiti full-time. Nonostante l’importante incremento di soggetti del non profit, la metà degli organismi intervistati ritiene che siano insufficienti per rispondere alle esigenze della popolazione locale; e questa valutazione si riscontra soprattutto tra coloro che forniscono assistenza sociale o si occupano di attività che riguardano l’ambiente o la sanità. Non si può più parlare quindi di semplice “assistenzialismo”, ma siamo ormai dinanzi all’erogazione di servizi ai cittadini, spesso in concorrenza o – più frequentemente – in partnership anche con realtà for profit. Coerentemente con lo spirito solidale che anima la loro attività, le organizzazioni del non profit attivano collaborazioni che divengono fondamentali per la massimizzazione dell’utilità sociale: il 94% delle cooperative, nello svolgimento della propria attività di distribuzione di beni e servizi, ha partner economici o organizzativi, mentre ad aderire (gerarchicamente o funzionalmente) a un’organizzazione più ampia è il 52% degli organismi non profit. Alla pari di altri enti o soggetti economici, anche queste organizzazioni, nel quotidiano svolgimento della propria attività, necessitano di servizi esterni: in particolare è forte l’esigenza delle Onp di fondi e di liquidità. A tal proposito, nel rapporto con la banca le cooperative sociali e le fondazioni (si ricorda che sono escluse dalla rilevazione quelle di origine bancaria) dichiarano per più di due terzi di avere relazioni con più di un’azienda bancaria e sono molte quelle che avvertono l’esigenza di prodotti e servizi dedicati al terzo settore: circa la metà delle Onp intervistate accoglierebbe con favore l’offerta di servizi da parte della propria banca, ad esempio quelli relativi alla raccolta anticipata dei contributi pubblici, sia legati a specifici progetti sia derivanti dalla distribuzione del 5 per mille.