L’area pulsante intorno al Colosseo è quella che nell’immaginario collettivo rappresenta maggiormente il cuore della città: non c’è turista che visitando Roma non sia passato di là, per quelle pendici del Palatino, su cui da alcuni anni scava un piccolo esercito di giovani della Sapienza – Università di Roma, guidati dalla professoressa Clementina Panella del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, coadiuvata dalla professoressa Lucia Saguì e da una valente squadra di specialisti. Quei giovani sono gli allievi del Corsi di laurea in Scienze Archeologiche e in Archeologia della Facoltà di Scienze Umanistiche, della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici e del Dottorato in Archeologia, che, in gruppi di un centinaio all’anno, danno braccia, tempo ed entusiasmo per realizzare le campagne di scavo che si svolgono in estate e/o in autunno, in quella che è una delle aree di ricerca sul campo più vaste della Capitale (4.000 mq). Certo un bel progetto! Da un lato permette agli studenti di sviluppare competenze concrete e individuare quali sono le proprie specifiche vocazioni operative, in un continuo scambio di esperienze e di opinioni con i docenti e con i colleghi, alcuni dei quali provenienti anche da altri atenei e dall’estero. Dall’altro ha consentito di riportare alla luce numerosi monumenti finora ignoti, di straordinaria importanza per la storia insediativa di uno dei luoghi-simbolo della città antica e della città contemporanea. Un progetto che non si sarebbe potuto realizzare senza il contributo della Fondazione Banca Nazionale delle Comunicazioni, che ha finanziato gli scavi, insieme alla Sapienza, stanziando fino a oggi 225mila euro. I risultati dell’ultima campagna di scavi – quella 2011 – sono stati presentati dalla professoressa Panella il 30 novembre scorso, in un incontro nel quale sono intervenuti il presidente della Fondazione Bnc, Aleramo Ceva Grimaldi, e il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, che ha colto l’occasione per complimentarsi con i numerosi giovani archeologi presenti e per spiegare loro caratteristiche e ruolo delle Fondazioni di origine bancaria, in particolare a favore dell’arte, della cultura e della formazione giovanile, settori cruciali per un adeguato rilancio del nostro Paese. «La Fondazione Bnc– ha detto Aleramo Ceva Grimaldi – ha creduto fin dall’inizio in questo progetto che, oltre alla chiara ed evidente connotazione culturale, storica e archeologica, ha una importante componente didattica e formativa, vista la grande partecipazione da parte di allievi della Sapienza e di altre università italiane e straniere. Creare per i giovani opportunità di crescita e di alta specializzazione è uno degli obiettivi che la nostra Fondazione si pone, nell’ambito dei settori fra i quali interviene maggiormente». Il progetto “Curiae Veteres”, ovvero “Antiche Curie”, prende nome dal luogo nel quale i cittadini, divisi da Romolo, secondo la tradizione, in trenta circoscrizioni territoriali (curiae), celebravano la loro comune divinità protettrice (Giunone), al fine di riaffermare l’appartenenza a un corpo civico unitario. La ricerca di tale santuario, che i testi antichi collocano sul vertice nordorientale del Palatino, ha dato l’avvio agli scavi della Sapienza, realizzati in un’area che comprende il tratto della collina compreso tra l’Arco di Costantino nella Piazza del Colosseo e l’Arco di Tito, lungo l’attuale via Sacra, area data in concessione dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza. Le indagini fanno seguito a un precedente scavo effettuato nel settore occidentale della Piazza del Colosseo, sempre finanziato dalla Fondazione Bnc, che ha consentito di riportare in luce la famosa fontana denominata Meta Sudans, costruita da Augusto nel 7 a.C. nell’ambito di un’ampia ristrutturazione di tutto il quartiere circostante. Distrutto dall’incendio di Nerone del 64 d.C., il monumento fu in seguito ricostruito dagli imperatori Flavi tra l’80 e il 90 d.C., contemporaneamente al Colosseo. Accanto alla Meta, altri ritrovamenti sono risultati eccezionali sia sotto il profilo della conoscenza storico–monumentale e topografica di un importante settore della città antica, sia sul piano del recupero di reperti di grande interesse per la storia dell’arte, l’architettura e le produzioni artigianali. Si segnalano in particolare i resti di un santuario sito sulla bassa pendice del Palatino e attivo almeno dal VII secolo a.C. al 64 d.C. (ma molto probabilmente ben oltre l’età costantiniana). La durata e la collocazione topografica di questo luogo di culto, ricco di offerte votive, statue e iscrizioni dedicatorie, hanno dato sostanza all’ipotesi della sua identificazione con le “Curiae Veteres”. Sicché, al fine di completare il quadro insediativo di questo settore urbano, anche attraverso l’individuazione degli altri limiti dell’area sacra rispetto a quelli individuati nella Piazza del Colosseo, lo scavo è stato esteso al Palatino, dove si sono concentrate le indagini nelle ultime campagne, compresa quella del 2011. Lo studio comprende oggi sia la ricostruzione dell’ambiente originario, al fine di capire le ragioni topografiche e urbanistiche che hanno guidato le scelte insediative fin dai primordi della città, sia la ricostruzione della storia urbanistica e architettonica del sito dall’età antica all’età moderna, attraverso la datazione delle sequenze stratigrafiche e l’analisi delle tipologie edilizie e del le tecniche costruttive. Si stanno inoltre analizzando strutture, monumenti, edifici riportati alla luce per delineare, anche tramite grafici tridimensionali, le trasformazioni di questo straordinario settore urbano. L’eliminazione nel 2009 di due alberi che gravavano proprio sull’area delle “Curiae Veteres” (il luogo sacro a cui si riferisce il progetto finanziato dalla Fondazione Bnc) e il ritrovamento già nel 2005-2006 di alcuni vani spettanti a una domus aristocratica (forse la casa natale di Augusto), hanno comportato il progressivo ampliamento dello scavo sia verso Sud (in direzione del Circo Massimo) sia ad Ovest (verso l’Arco di Tito). Delle antiche Curie, attribuite dagli scrittori latini a Romolo, nel 2011 sono state rinvenute, come già nello scavo della Meta Sudans, strutture prevalentemente dell’ultima fase di vita del complesso, anteriori all’incendio del 64 d.C. Il santuario, già edificato in pietra nel VII secolo a.C., ha restituito quest’anno tratti di murature relative a edicole interne al luogo di culto, pavimentate in mosaico. Tra i rivestimenti pavimentali si segnala il ritrovamento di un tipo di mosaico con crustae marmoree annegate in un cocciopesto di calce e travertino (il nome tecnico è opus scutulatum), estremamente raro a Roma (II-I secolo a.C.). Attualmente si sta lavorando per la sua rimozione, restauro ed esposizione nel Museo di Palazzo Massimo a Roma (nella Sezione dedicata alle pitture e ai mosaici). Altrettanto importanti e significativi sono i ritrovamenti della fase neroniana/flavia del santuario. Dopo l’incendio di Nerone un nuovo piccolo tempio sostituisce il più imponente edificio templare di età claudia (51 d.C.); alle sue spalle, verso il monte, una terrazza a due piani sorretta da vani coperti a volta e lunghi corridoi coperti a crociera costituisce la quinta scenografica che racchiude l’area sacra fino al V secolo d.C. In questa età le volte cominciano a cedere; il tratto di pendice tende a destrutturasi, mentre si assiste all’occupazione di ciò che resta per usi impropri (fonderia, officina di un fabbro, ecc.) fino all’abbandono che avviene nel corso del VII secolo (sepolture). Al piccolo e modesto abitato di età altomedievale (IX-XII secolo) di Santa Maria Nova vanno attribuiti immondezzai, pozzi, fosse di spoliazione dei marmi e delle decorazioni antiche, fornaci per la calce, che mostrano la definitiva distruzione del tessuto urbanistico e monumentale della città classica. Rimanendo in ambito santuariale, nel 2011 si è concluso lo scavo dei due pozzi votivi (bothroi) appartenenti a un’altra area sacra, che non spetta alle “Curiae Veteres”, ma che le fronteggia sulla collina Velia, sotto l’attuale Via Sacra. Si è potuto definitivamente stabilire che gli ex voto più antichi rinvenuti in questi pozzi appartengono all’età della fondazione della città (metà-fine dell’VIII secolo a.C.), mentre le strutture in opera quadrata di cappellaccio dei pozzi stessi risalgono alla fine del VI secolo a.C. In questa età dovrebbe essere stato costruito all’interno del recinto santuariale (temenos) un tempio in muratura. La prova è data dalla presenza di decorazioni architettoniche fittili di età tardo-arcaica (fine del VI secolo a.C.) tra il materiale votivo del IV-III secolo a.C. Della domus aristocratica che confina con le “Curiae Veteres”, anch’essa bruciata, ma non più ricostruita dopo il 64 d.C., sono state rinvenute altre stanze, che prospettavano sull’antica strada diretta dalla val le del futuro Colosseo al Foro. Sono stati contestualmente raccolti altri importanti documenti (arredi, ceramiche, bronzi) relativi al devastante incendio neroniano. In questa casa potrebbe aver visto la luce Augusto nel 63 a.C., se dobbiamo credere alle fonti letterarie latine che la situano “in Curiis Veteribus”. Su di essa si impostano in successione due grandi edifici utilitari (horrea = magazzini per merci di lusso), rispettivamente di età adrianea (II secolo d.C.) e, in seguito, di età severiana (III secolo d.C.). Straordinari gli interventi tardoantichi (IV secolo d.C.) che trasformano l’horreum severiano in un’area a giardino con grande sala da banchetto, ninfei, vasche, fontane e un piccolo balneum. L’edificio, forse una domus aristocratica, appare in abbandono alla fine del VI – inizi del VII secolo (povere sepolture in anfora). All’interno di quest’ultimo complesso, già noto con il nome convenzionale di “Terme di Elagabalo”, ma riscoperto e studiato in questa campagna di scavi nel dettaglio delle sue stratigrafie, è stata fatta la scoperta più sensazionale del 2011: tracce consistenti di una capanna della fine del IX – prima metà dell’VIII secolo a.C., precedente cioè alla fondazione della città tradizionalmente assegnata al 753 a.C. Si tratta di un’evidenza finora mai registrata su questo versante del Palatino, che consente di estendere fino a questo punto l’area dell’abitato di capanne di età protostorica.
Tremila anni di storia fra le mani degli archeologi
Un manipolo di giovani della Sapienza – Università di Roma (nella foto a fianco) da anni scava sulle pendici del Palatino per trovare le “Curiae Veteres”, un complesso cultuale creato da Romolo, il fondatore della città, per tenere uniti i gruppi di famiglie che fin dall’VIII secolo avanti Cristo, e forse ancora prima, si erano insediate su quel colle su cui sarebbe poi sorta Roma. «Tremila anni di storia sono passati in questi mesi sotto i nostri occhi e le nostre mani – ha detto la professoressa Clementina Panella, a conclusione del suo intervento di presentazione della campagna di scavi 2011, che ella stessa ha guidato e realizzato con il finanziamento della Fondazione Bnc -. Anche quest’anno gli scavi hanno dato importanti risultati, restituendo alla comunità scientifica e alla città un formidabile patrimonio di “memorie”». Il tessuto urbano dell’area su cui erano sorte le “Curiae Veteres”, nelle sue linee infrastrutturali di base come strade e condotti fognari, risulta stabilito già almeno dall’età arcaica e si era infittito nel tempo sino all’età giulio-claudia, ospitando, ai lati di strade prima acciottolate (VI- III sec. a.C.) e dal II sec. a.C. basolate, edifici con ambienti abitativi ai piani superiori, dotati di piccoli balnea e cortili, tabernae e locali di servizio nei vani terreni e seminterrati. L’incendio del 64 d.C. e il gigantesco impianto della Domus Aurea cambiarono radicalmente l’aspetto urbanistico di questa zona, annullando gli isolati abitativi e i luoghi di culto e gettando le basi per la successiva trasformazione della valle nella piazza tuttora esistente, realizzata in età flavia, completata in età adrianea e costantiniana, recuperata dopo l’abbandono medioevale e rinascimentale dai grandi sterri del XIX secolo. Il progetto d’indagine in corso si sviluppa attraverso cinque ambiti di ricerca: analisi delle fonti letterarie e della ricchissima bibliografia relativa al settore; analisi geomorfologica e paleoambientale del Palatino; analisi topografico-urbanistica diacronica dei principali blocchi strutturali, interpretati anche nella loro valenza architettonica; studio della viabilità interna e perimetrale della pendice del Palatino nel suo vertice nord-orientale, fino all’ampia terrazza che sostiene il tempio di Elagabalo (oggi Vigna Barberini); analisi della cartografia storica, dei contesti ceramici e delle tipologie edilizie.