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Le Fondazioni tessono reti di collaborazione

Come di consueto a fine anno, la Fondazione Ismu – Iniziative e Studi sulla Multietnicità ha presentato il proprio rapporto sulla popolazione straniera in Italia, stimata al 1° gennaio 2015 pari a 5,8 milioni di presenze, fra regolari e non, con un aumento di 150mila unità (+2,7%) rispetto all’anno precedente. Su questo andamento incidono sia elementi di profonda difficoltà economica in alcuni dei territori di provenienza, sia i cambiamenti geo-politici e i conflitti che hanno investito soprattutto le regioni del Medio Oriente. L’aumento degli arrivi – nota l’indagine – ha determinato un cambiamento significativo anche dal punto di vista della composizione dei flussi, che si riflette in un incremento rilevante dei richiedenti asilo: nel 2014 sono cresciuti esponenzialmente arrivando a totalizzare 65mila domande a cui vanno aggiunte le 77mila domande presentate tra gennaio e novembre 2015, un terzo in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E anche l’Istat segnala che gli stranieri residenti in Italia, al 1° gennaio 2016, sono in aumento rispetto all’anno prima (+39mila unità), rappresentando l’8,3% della popolazione totale, pari a 60milioni e 656mila persone.

In questo quadro, i cui elementi caratterizzanti probabilmente assumeranno caratteristiche di ulteriore enfasi nel corso di un 2016 che vede la situazione internazionale diventare sempre più grave e complessa, le Fondazioni di origine bancaria hanno individuato la necessità di fare il punto su quanto già esse fanno e su quanto, in conformità al loro ruolo sussidiario rispetto all’attore pubblico, possono ancora fare sia sul fronte dell’aiuto e assistenza agli immigrati giunti nel nostro Paese, sia riguardo al sostegno a progetti di cooperazione internazionale che aiutino lo sviluppo delle popolazioni di aree particolarmente povere o problematiche. È nata, dunque, l’idea di organizzare una tavola rotonda dal titolo “Migrazioni, sviluppo, solidarietà. Le Fondazioni tessono reti di collaborazione”, che si terrà il 18 maggio a Roma, promossa dall’Acri, in qualità di associazione delle Fondazioni di origine bancaria, e da Assifero, che riunisce le altre fondazioni ed enti di erogazione. Oltre ai presidenti delle due associazioni, Giuseppe Guzzetti per Acri e Felice Scalvini per Assifero, coordinati dal giornalista Gad Lerner, interverranno: Roberto Barbieri, direttore di Oxfam Italia; Cleophas Adrien Dioma, presidente dell’associazione culturale e di promozione sociale “Le Réseau” e coordinatore del Gruppo di Lavoro Migrazioni e Sviluppo del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo; Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio; Carlotta Sami, portavoce di Unhcr per il Sud Europa. A conclusione della tavola rotonda interverrà il direttore generale della Cooperazione Italiana allo Sviluppo presso il Ministero degli Esteri, ambasciatore Giampaolo Cantini.

L’obiettivo è aprire una riflessione sulle sfide e le opportunità che i movimenti migratori attualmente in atto pongono oggi, e sempre più nel futuro, a un paese come l’Italia. L’incontro del 18 maggio sarà anche l’occasione per presentare i risultati di tre anni di attività del progetto Fondazioni for Africa – Burkina Faso, che saranno illustrati dalla portavoce dell’iniziativa, Ilaria Caramia, nel corso della mattinata e approfonditi in un incontro pomeridiano, sempre in sede Acri, aperto a tutti gli ospiti. L’idea che lo sostiene, come per altri progetti di cooperazione internazionale supportati dalle Fondazioni, è quella che appoggiare lo sviluppo di Paesi in difficoltà non è soltanto una questione umanitaria, ma anche la premessa per contribuire a stabilizzare aree sempre più problematiche a causa di estremismi ideologico-religiosi, che in contesti di grande miseria hanno più facile gioco a radicarsi. Il tema dell’aiuto ai migranti e allo sviluppo delle loro Terre d’origine sarà oggetto di approfondimento anche nella Giornata Europea delle Fondazioni, giunta ormai alla quarta edizione, che verrà celebrata a livello territoriale dalle singole Fondazioni il 1° ottobre 2016.


© Janossygergely | Dreamstime.com

Crescita e integrazione un binomio senza alternative

Dal termine della piaga della peste nera nel XIV secolo, la popolazione mondiale è cresciuta senza sosta e oggi su questo pianeta siamo quasi 7,4 miliardi di persone: oltre 6 abitano in paesi in via di sviluppo, alcuni dei quali a scarsissimo sviluppo. Le stime dicono che nel 2065 si potrà giungere a più di 10 miliardi di abitanti e nell’Africa subsahariana il trend di crescita, dovuto sostanzialmente ai nuovi nati, dovrebbe portare dai 962 milioni di abitanti del 2015 a una popolazione di 2,7 miliardi di persone. Probabilmente alla luce di questi dati il dibattito politico che, soprattutto a livello europeo, ha sottolineato la differenza in termini di diritti d’accoglienza fra i migranti forzati da guerre e persecuzioni, ovvero i rifugiati, e i cosiddetti migranti economici, assumerebbe toni diversi, dando centralità all’importanza delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, senza peraltro in nessun modo tralasciare le necessarie scelte di accoglienza e integrazione che, se ben gestite, avrebbero risvolti positivi per i paesi più avanzati, per la maggior parte dei quali le prospettive demografiche marcano un progressivo invecchiamento della popolazione.

In quest’ottica, l’impegno delle Fondazioni di origine bancaria si rivolge a entrambi i fronti: da un lato iniziative per chi entra nel nostro Paese con una serie di attese e di bisogni, dall’altro progetti di cooperazione capaci di attivare reti di collaborazione con altri soggetti del non profit, sia pubblico che privato. Così, in Italia le Fondazioni sostengono piani di prima accoglienza, l’attivazione di specifici sportelli di ascolto, percorsi di apprendimento della lingua e di avviamento al lavoro, progetti di integrazione scolastica, iniziative contro la marginalità e il disagio, forme di assistenza sanitaria, psicologica e legale, attività di informazione e orientamento per il ricongiungimento familiare, senza tralasciare il contributo per la fornitura di pasti e alloggi temporanei, ma anche l’inclusione degli immigrati regolari, che siano in condizioni di fragilità economica, in tutte quelle iniziative di welfare, come l’housing sociale, abitualmente dedicate dalle Fondazioni alle categorie sociali più deboli delle loro comunità.

Nel campo delle iniziative realizzate nei territori d’origine dei migranti, invece, emerge per originalità e ampiezza “Fondazioni for Africa – Burkina Faso”, un progetto partito nel 2014 con un budget complessivo di 4,57 milioni di euro, che ha l’obiettivo di garantire la sicurezza alimentare e il diritto al cibo a 60mila persone in uno dei paesi più poveri al mondo e che è stato realizzato sulla scorta della positiva esperienza sviluppata con l’iniziativa “Fondazioni4Africa”, rivolta negli anni scorsi al Senegal e all’Uganda. Da quest’ultimo è stato tratto un modello d’intervento capace di generare un impatto significativo nell’area target, grazie all’effetto leva generato dalla collaborazione con altre istituzioni pubbliche e private e il coinvolgimento delle organizzazioni dei migranti di quei Paesi operanti in Italia. In queste pagine diamo brevemente conto dei risultati del progetto Fondazioni for Africa – Burkina Faso e riportiamo un’ampia intervista a Cleophas Adrien Dioma, presidente dell’associazione culturale e di promozione sociale “Le Réseau” nonché coordinatore del Gruppo di Lavoro Migrazioni e Sviluppo del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo, che è di origine burkinabé ed è appena rientrato in Italia da quel Paese.

Dioma: Le organizzazioni della diaspora ponte tra i paesi di approdo e di origine

Quarantatre anni, da quindici in Italia, prima clandestino oggi regolare, Cleophas Adrien Dioma è presidente di un’associazione della diaspora burkinabè in Italia, l’associazione culturale “Le Réseau”, e coordinatore del Gruppo di Lavoro Migrazioni e Sviluppo del Consiglio Nazionale per la Cooperazione. Dioma crede decisamente che la conoscenza reciproca sia un reale strumento di integrazione in Italia e di crescita nel suo Paese. Lo abbiamo intervistato e alle nostre domande ha risposto senza esitazioni e senza autocensure, a partire dal suo approdo qui.

L’Italia: un approdo per scelta o per caso?
In genere uno arriva in Italia per caso. Nel passato ancora di più, perché non c’era bisogno del visto. Anche se devo dire che noi burkinabè difficilmente guardiamo all’Europa. Il primo posto dove emigrare per noi è la Costa d’Avorio. Lì ci sono le coltivazioni di cacao e di caffè; c’è bisogno di lavorare sodo e i burkinabè sono bravi lavoratori.

Sono già diversi anni che vive in Italia. Cosa cercava qui e cosa ha trovato?
Come ho detto noi siamo dei gran lavoratori; e io cercavo lavoro. L’ho trovato e ne sono soddisfatto. Ma la crisi che ha colpito il mondo intero, ed anche l’Italia, non ci ha certo risparmiati. Diversi di noi hanno perso il lavoro e la situazione oggi è più difficile che nel passato. Siamo consapevoli che le difficoltà non ci riguardano certo specificatamente, ma per le seconde generazioni, i nostri figli che si sentono italiani, la situazione può rischiare di assumere caratteristiche di discriminazione: ai loro occhi, intendo. Sono più vulnerabili di noi: se gli altri italiani li guardano come diversi, loro non si sentono diversi, si sentono italiani. E allora la rabbia può crescere. Il tempo potrebbe peggiorare le cose se non si lavora bene, almeno a scuola, sull’integrazione culturale.

Ma lei, Dioma, si sente più italiano o burkinabè?
Io sono burkinabè e mi sento tale. E questo non perché possa fare riferimento a una cultura o a un’etnia specifica. Il Burkina Faso è un vero melting pot di etnie e di religioni. E perfino i miei genitori hanno origini diverse, finanche nella lingua: in comune hanno quella francese! No, io mi sento burkinabè per l’orgoglio testardo che abbiamo, che è proprio dei popoli poveri. E poi, come tutti, trovo le mie radici nei ricordi d’infanzia, che sono lì.

Che cosa pensa degli italiani?
Non si può ovviamente generalizzare, però è vero che forse qui noi migranti siamo meno “trasparenti” che altrove. E a Napoli lo siamo anche meno: lì ci vedono. Forse perché hanno più tempo o forse perché in comune abbiamo qualche difficoltà in più rispetto ad altri! E poi gli italiani non sono ipocriti. Mi spiace, tuttavia, che non siano abbastanza curiosi dell’Africa. È un continente che va ben oltre la rappresentazione pauperistica che offrono molti media e troppe Ong. Ho trovato molto importante che sia il vostro Primo Ministro che il Presidente della Repubblica abbiano voluto andarci di persona: non per commiserarci, ma per promuovere sviluppo. È questo che ci aspettiamo. Perché se ci aiutate a superare le emergenze e ci aiutate a raggiungere una migliore formazione, ma poi quella vita e quella formazione non sappiamo come spenderle, allora dobbiamo emigrare per forza. Invece ci piacerebbe rimanere lì con le nostre famiglie.

Com’è il suo Burkina Faso?
È un paese piccolo e, per fortuna, non ha troppe ricchezze naturali. Dico per fortuna perché spesso il petrolio e similari scatenano appetiti e corruzione. Da questo punto di vista il Burkina Faso è ancora un paese abbastanza integro, nonostante sia zona di passaggio per molti commerci. Questo aiuta sul fronte delle entrate fiscali e dell’occupazione nella pubblica amministrazione. Ma grande attenzione si comincia a dare anche all’economia della cultura. Dal 1969 tutti gli anni in Burkina Faso si svolge il Festival del Cinema Africano; in quella settimana da noi c’è tutto il mondo! E poi c’è il Salone Internazionale dell’Artigianato. Siamo bravi soprattutto col bronzo, ma anche i lavorati in legno contribuiscono all’export. Non siamo certo ricchi, ma c’è voglia di fare. E questo progetto di Fondazioni for Africa sta contribuendo a dare a tante donne l’opportunità di costruire basi di lavoro solide. Le nostre donne sono un vero pilastro della società e dell’economia burkinabè: sono forti, coraggiose, hanno spirito d’impresa e, molto spesso, sanno gestire il denaro meglio degli uomini.

A proposito di Fondazioni for Africa Burkina Faso. Quali, secondo Lei, le valenze principali di questo progetto?
Le riassumerei in tre punti. È importantissimo il ruolo che si sta svolgendo per organizzare meglio le associazioni burkinabè in Italia. Stiamo ricevendo formazione e accompagnamento nelle nostre iniziative, il che ci farà senz’altro crescere anche per tutto ciò che potremo portare in patria. Le nostre organizzazioni possono fungere davvero come ponte di esperienze fra i due Paesi; ed è questo il secondo punto. Quello che impariamo qui, per esempio sul fronte dell’agroalimentare, lo possiamo trasmettere lì, andandoci regolarmente o ritornando definitivamente nel nostro Paese. E quello che sappiamo del nostro Paese lo possiamo mettere a disposizione di quegli imprenditori che vogliano avviare lì le loro imprese. Mi creda: ne abbiamo bisogno e le vogliamo. Il terzo punto di particolare forza di Fondazioni for Africa Burkina Faso è quello di aiutare gente motivata come i burkinabè ad essere più strutturata nel lavoro. Voi Fondazioni che nascete da una cultura del risparmio me lo insegnate: non si deve sprecare nulla. E noi burkinabè abbiamo una grande energia da mettere a disposizione per la crescita del nostro Paese: non vogliamo che vada sprecata.

“Fondazioni” marzo-aprile 2016