A Polistena (Rc), importante centro della Piana di Gioia Tauro, a breve si taglierà il nastro tricolore: taglio di inaugurazione, ma soprattutto taglio col violento e illegale passato. Quello che era il palazzo dei Versace, la più potente famiglia della ‘ndrangheta locale, diventerà un centro di accoglienza, formazione, inserimento lavorativo, integrazione culturale e assistenza sanitaria. Un palazzo assegnato, dopo la confisca, alla parrocchia di Santa Marina Vergine e Martire, che si è impegnata a realizzare all’interno dello stabile un progetto per la valorizzazione e l’auto-sostenibilità dell’immobile. La rinascita di “Palazzo Versace” verrà realizzata in partnership con Libera, la cooperativa sociale Valle del Marro – Libera Terra, l’associazione di volontariato Il Samaritano, Emergency e la Fondazione Il Cuore si scioglie. Grazie al contributo della Fondazione con il Sud che sostiene il progetto “Libera Mente Insieme”, il Palazzo Versace, un tempo simbolo del potere mafioso, oggi rappresenta il simbolo della speranza e del riscatto. Cinque piani all’ingresso del paese, nel quartiere della Catena, quello più problematico, feudo incontrastato anche oggi di gruppi mafiosi. Lì ci sono le loro case, ma il palazzo da oggi non è più “cosa loro” ma “cosa di tutti”. Al pianterreno, in 170 metri quadrati, c’era un tempo il Bar 2001, battezzato così negli anni Ottanta da una cosca che diceva «Siamo noi il futuro». Luogo di incontri e di affari. Per i mafiosi e i loro alleati, ma purtroppo anche di tanti giovani. «La zona dove sorge il palazzo non solo è il quartiere generale di alcune famiglie mafiose – spiega il parroco don Pino Demasi, vicario generale della Diocesi di Oppido Palmi e referente di Libera –, ma è una zona dove mancano centri di aggregazione per i giovani. L’unico punto di incontro, oltre alla strada, era fino a qualche tempo fa proprio il bar, con tutti gli aspetti negativi che ne seguivano: dallo spaccio di droga al reclutamento della manovalanza mafiosa». Proprio per questo si è deciso di realizzare al pianterreno un centro di aggregazione giovanile, uno sportello di accoglienza e ascolto, laboratori per la formazione professionale, la “Bot – te ga dei sapori e dei saperi della legalità”, con la massima visibilità e trasparenza: ampie vetrate per far vedere anche da fuori le attività che vi si svolgeranno. Attività di benessere sociale, di giustizia, di riconoscimento dei diritti e dei bisogni delle persone. Il Palazzo era l’impronta di cemento armato del potere mafioso. Luogo dove si svolgevano le feste di matrimonio negli enormi saloni al primo piano. Si ricordano quelle lussuose di qualche rampollo della cosca. «C’era la fila fin sulla strada per consegnare la “busta”. Quel “regalo” che tutti sono ancora oggi obbligati a portare. Non meno di 100 euro. È una sorta di assicurazione » chiosa don Pino. Ma ora anche il grande salone farà parte del nuovo progetto di recupero che sta per essere ultimato, con i piani superiori dedicati a spazi di integrazione multiculturale, a un ristorante e a un ostello dove ospitare le migliaia di giovani volontari che ogni anno scelgono l’impegno civile contro le mafie, lavorando sui beni confiscati. Ma ci sarà anche un poliambulatorio di Emergency per prestazioni sanitarie gratuite per immigrati e persone, anche italiane, in stato di bisogno. E poi borse d’inserimento lavorativo, nell’ambito delle attività del palazzo e sui terreni confiscati alla mafia. Lavoro vero per immigrati e giovani che saranno formati adeguatamente. Occupazione tramite i beni confiscati per smontare l’odioso mito della mafia che dà lavoro. Certo la strada sarà lunga. «Siamo convinti che il quartiere cambierà – dice don Pino – e si avvicinerà a questa casa comune».