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Il futuro del cibo tra sostenibilità, equità e trasformazione | Lorenzo Giovanni Bellù

Intervista a Lorenzo Giovanni Bellù, responsabile scenari globali per i sistemi agroalimentari FAO

Lorenzo Giovanni Bellù è responsabi­le del team della FAO che si occupa di scenari globali a lungo termine per i si­stemi agroalimentari, socioeconomici e ambientali ed è Focal Point per la FAO nel “Futures Lab” delle Nazioni Unite. Lo abbiamo intervistato.

Cos’è la Fao? Quando nasce? Perché?

La FAO (Food and Agriculture Organization) è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite (ONU) che nasce con l’obiettivo di combattere la fame a livello globale e as­sicurare l’accesso a un’alimentazione ade­guata e di alta qualità, per condurre una vita sana e attiva. L’agenzia nasce dopo la Se­conda guerra mondiale, quando si compre­se quanto l’alimentazione fosse un fattore fondamentale per il benessere della popo­lazione. Questo portò a far comprendere la necessità di una visione e di un’azione mul­tilaterale, che passasse attraverso accordi solidi e riconosciuti a livello globale.

Una forma di cooperazione, dunque, lega­ta alla disponibilità e all’accesso al cibo?

Sì, anche se, per molto tempo, si è trattato di una cooperazione legata principalmente alla produzione di cibo, cioè alla sua disponibilità, più che all’accesso, cioé al potere d’acquisto in quanto tale. Osservando il mondo agrico­lo, nel suo complesso, ci si accorse quanto alcune tecnologie fossero più performanti di altre e si decise di sostenere i paesi carenti di tecnologie ad adottarle, così da aumentare la produzione di cibo. C’è da sottolineare che, spesso, gli intenti delle azioni di cooperazio­ne non erano sempre genuini: permaneva comunque un interesse da parte dei paesi coloniali di continuare a estrarre risorse nelle aree periferiche dei loro imperi, a beneficio delle aree più centrali. Siamo infatti solo all’i­nizio del processo di decolonizzazione che arriva fino a oggi, tanto che si parla di “po­stcolonialismo” o “neocolonialismo” per le criticità e le forti disuguaglianze che persi­stono a livello globale.

“La FAO nasce con l’obiettivo di combattere la fame a livello globale e assicurare l’accesso a un’alimentazione adeguata e di alta qualità, per condurre una vita sana e attiva. L’agenzia nasce dopo la Seconda guerra mondiale”

Questo approccio legato alla produzione agricola è cambiato nel tempo?

Senza dubbio un’evoluzione c’è stata, ed è parti­ta a monte, dalla messa in discussione della vi­sione dello “sviluppo” come un processo lineare in cui, lungo una linea, ci sono paesi “sviluppati”, più avanti, e paesi “in via di sviluppo” che, pre­sto o tardi, dovrebbero raggiungerli seguendo il loro stesso modello di sviluppo. Questa visione distorce l’approccio a uno sviluppo sostenibile su scala globale. È il motivo per il quale questa dicotomia terminologica è stata abbandonata dalla FAO, così come da alcune altre agenzie. Allo sforzo di cambiamento linguistico però non corrisponde un totale cambio di visione e di azioni concrete, ed è questo uno dei motivi per i quali ci sono molte difficoltà nel raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030.

Ci può spiegare meglio questo punto?

Lo si legge chiaramente già nel rapporto “The Future we want” della Conferenza di Rio nel 2012: le società devono cambiare il modo di produrre e consumare se si vuole andare verso un futuro sostenibile. “Le società” significa “tutte le società”, non solo quelle dei paesi poveri. Il paradigma di sviluppo adottato dai paesi ricchi, basato su energie fossili ed enormi emissioni di gas clima-alteranti, consumo di suolo, perdita di fertilità dei terreni e di biodiversità, non è chia­ramente sostenibile. Quindi, anche i paesi ricchi devono cambiare modo di produrre e consu­mare. E lo chiarisce anche la lettera e lo spirito dell’Agenda 2030: lo sviluppo o è sostenibile o non è tale. Ma possiamo andare anche indietro nel tempo, al 1972, quando il Club di Roma, nel suo rapporto “Limits to Growth”, evidenziò che la crescita economica basata su risorse esauri­bili, come quella dei paesi industrializzati, si sa­rebbe presto o tardi scontrata con i limiti delle risorse disponibili, come oggi appare del tutto evidente. Questo rapporto purtroppo tradotto in italiano col titolo “I limiti dello sviluppo” mentre la traduzione corretta è “I limiti della crescita”, met­teva in discussione il mito della crescita illimitata, e apriva una prospettiva a un tipo di sviluppo non solo basato sulla crescita economica, come se questa fosse sinonimo di sviluppo, ma su altri aspetti che invece generano un reale benessere alle persone e alle società.

“Le società devono cambiare il modo di produrre e consumare se si vuole andare verso un futuro sostenibile. “Le società” significa “tutte le società”, non solo quelle dei paesi poveri. Il paradigma di sviluppo adottato dai paesi ricchi, non è chiaramente sostenibile”

Come è evoluto il dibattito su “crescita” e “sviluppo”?

Il dibattito si è allargato e approfondito nel tem­po, per questo le Nazioni Unite hanno adottato il primo Indice di Sviluppo Umano (ISU), in sosti­tuzione di PIL pro capite come unico indicatore di sviluppo, che considera solo la crescita eco­nomica che, appunto, non misura necessaria­mente il livello di benessere della popolazione. Anche l’ISU poi è stato superato con una batte­ria di indicatori, alcuni dei quali creati anche ad hoc per l’Agenda 2030, per monitorare gli avan­zamenti rispetto agli obiettivi di sviluppo soste­nibile.

Questi cambiamenti di visione hanno influen­zato l’approccio alla cooperazione della FAO?

Sicuramente. Quello della FAO è un approccio dinamico, che cambia nel tempo. Nonostante per molti decenni la FAO abbia continuato a lavorare focalizzandosi sul concetto di produ­zione agricola, negli anni ’90, l’agenzia ha adot­tato nella sua visione il concetto di “sicurezza alimentare”, basato su tre pilastri: disponibilità di cibo, accesso al cibo e continuità nel tempo di disponibilità e accesso.

Da questa visione più articolata sono cam­biate anche le attività della FAO?

Sì, perché i programmi hanno cominciato a ri­guardare non solo la produzione agricola, ma anche la protezione sociale come elemento fondamentale per garantire l’accesso al cibo, cioé assicurare il potere d’acquisto per accedere a una quantità di cibo che sia sufficiente, sano, sicuro e nutriente, anche per le fasce più vul­nerabili della società. Il Quadro Strategico della FAO 2022-2031, infatti, mira a garantire model­li di produzione e consumo, e quindi sistemi agroalimentari, sostenibili, efficienti e inclusi­vi; promuove la protezione, il ripristino e l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri e marini, a ridurre le disuguaglianze tra aree urbane e rurali, tra uomini e donne e tra popolazioni ricche e povere.

“La trasformazione verso la sostenibilità, l’inclusione e la resilienza non è un percorso a costo zero per tutti. Chi finora ha beneficiato maggiormente di questo modello di sviluppo non sostenibile e del conseguente accaparramento di risorse finite dovrà pagare il prezzo di questa transizione, mentre tutti gli altri dovranno impegnarsi perché questo percorso si avveri.”

A fronte di questo scenario, quali sono le prospettive future?

Nel suo rapporto “The future of food and agri­culture – Drivers and triggers for transforma­tion”, la FAO ha delineato 4 scenari possibili. Il primo, che noi chiamiamo “more of the same”, cioè utilizzare vecchie ricette cercando di am­pliarne l’impatto. Scenario plausibile perché è il più “comodo”, ma che porterà a un futuro poco roseo, perché non si affronta l’abuso delle risorse esauribili e le crescenti disugua­glianze insite nel paradigma di sviluppo adot­tato finora. Il secondo è lo scenario del “fu­turo aggiustato”: in questo scenario, prima del 2030, si cerca di realizzare interventi rapidi di aggiustamento senza però agire a livello strut­turale. Il terzo è uno scenario di collasso. Le di­suguaglianze crescenti e profonde dei sistemi sociali e la finitezza dei sistemi ambientali possono portare a punti di rottura poten­zialmente irreversibili. L’ultimo è quello che noi abbiamo chiamiamo “negoziare la sostenibilità”, dunque accettare i sacrifici e i costi per costruire un futuro sostenibile.

Verso quale scenario si muove la FAO?

La FAO considera l’ultimo come lo sce­nario più desiderabile, anche se si rende conto che ci sono interessi e gruppi di potere che frenano il cambiamento e la transizione verso un’agricoltura sostenibile e un’economia circolare. La trasformazio­ne verso la sostenibilità, l’inclusione e la resilienza non è quindi un percorso a co­sto zero per tutti. Chi finora ha beneficiato maggiormente di questo modello di svi­luppo non sostenibile e del conseguente accaparramento di risorse finite dovrà pa­gare il prezzo di questa transizione, men­tre tutti gli altri dovranno impegnarsi per­ché questo percorso si avveri.

Dalla rivista Fondazioni aprile – giugno 2025