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Alzheimer. Sottobraccio è più facile tornare a casa

Una decina di manichini in abito da sera, che sembrano pronti per una sfilata haute couture, campeggiano in una sala piena di scampoli di tessuto, macchine da cucire e fili di ogni colore. Sembra l’atelier di qualche azienda di alta moda ma no, non lo è. Le signore che cuciono sono molto attente ad ago e filo e mi riservano un’occhiata fugace. Sono tutte residenti al Villaggio Alzheimer della Fondazione Roma, un ambiente pensato per migliorare la qualità della vita delle persone colpite da questa malattia. Il laboratorio di cucito è coordinato dalla signora M. che in passato è stata modellista per una maison di alta moda italiana tra le più famose al mondo. Nonostante la malattia, qui M. prosegue la sua attività, a livello amatoriale, mettendo le sue competenze, la sua esperienza e il suo vissuto, a disposizione di tutti. «Tra gli obiettivi principali del Villaggio c’è la necessità di garantire ai residenti una continuità con la vita precedente, questo perché le persone che vi abitano devono continuare a sentirsi loro stesse. Con l’Alzheimer la vita non finisce ». A raccontarlo è Franco Parasassi, Presidente della Fondazione Roma. «L’Alzheimer non colpisce solamente la persona ma l’intera società – prosegue -. Si tratta di una “malattia sociale”.

Gli studi dimostrano che l’Alzheimer è una delle malattie a più forte impatto sociale nel mondo. Consideriamo infatti che la persona affetta da questa patologia, per fortuna, non è terminale ma può avere un decorso lungo, dai sette, agli otto, ai dieci anni e anche di più. Chiaramente il paziente, in questi anni, deve essere assistito e a farsene carico, più che il Sistema Sanitario Nazionale, è soprattutto la famiglia». In Italia, secondo l’Osservatorio delle demenze, coordinato dall’ISS, sono circa 1.100.000 le persone che soffrono di demenza, e di questi il 50-60% soffre di Alzheimer. Sono invece 3 milioni le persone caregiver direttamente o indirettamente coinvolte nei percorsi assistenziali.

«Fondazione Roma ha voluto rispondere a questo bisogno: nel 2018, è nato il Villaggio Alzheimer nel quartiere Bufalotta di Roma, la cui permanenza è totalmente gratuita perché tutto è interamente finanziato dalla Fondazione». La struttura occupa una superficie di circa 10mila mq e si compone di 14 residenze destinate a 66 abitanti affetti da Alzheimer in fase lieve o moderata. Nel Villaggio è presente anche un ristorante con annesso bar, mini-market, galleria arti e mestieri, salone di bellezza, sala per le attività motorie, sala benessere, sala musica e sala polifunzionale.

«In fase di osservazione – racconta il Presidente -, prima di concretizzare il progetto, abbiamo fatto una ricerca sul territorio nazionale per capire quali fossero i servizi assistenziali offerti per questo tipo di patologia. Ecco, il panorama era piuttosto desolante. Il malato di Alzheimer veniva ricoverato in case di cura (RSA-Residenza Sanitaria Assistenziale) ma, nella maggior parte dei casi, lasciato a sé stesso dal punto di vista psicologico e sociale».

Con questa consapevolezza Fondazione Roma ha oltrepassato il confine e ha esplorato i progetti europei relativi alla patologia in Europa. «Così abbiamo scoperto il quartiere di Hogewey, in Olanda, più precisamente a Weesp, a quindici minuti da Amsterdam, dove sorge il primo villaggio per malati di Alzheimer ». Inaugurato nel 2009, Hogeway è un quartiere che, a un primo sguardo, sembra assolutamente nella norma ma, nella realtà, è una residenza dedicata ai portatori di Alzheimer. «Questo posto ci ha convinti e abbiamo voluto replicarlo in Italia».

Nel Villaggio, il residente (non definito volutamente “paziente”) può muoversi liberamente nella struttura realizzata, appunto, come un piccolo borgo, un quartiere vero e proprio. Può andare al bar, al ristorante, può fare la spesa al minimarket, sempre accompagnato dagli OSS (operatori socio-sanitari) che sono il vero cuore pulsante di questo posto. Gli OSS, infatti, seguono la routine dell’ospite da vicino, adattandosi alle sue necessità, ai suoi bisogni, senza imporre alcuna attività o scelta terapeutica forzata. Il residente può ricevere visite in ogni momento della giornata e può anche uscire dal Villaggio o con un parente o altrimenti accompagnato da un OSS. «Per esempio, un’ospite del Villaggio – spiega il Presidente – ha espresso la necessità di fare una passeggiata tutti i giorni fuori dalla struttura. Tutti i giorni un OSS l’accompagna a fare colazione nel bar del quartiere e si intrattiene con lei per passeggiare e distrarsi».

Nel Villaggio, il residente (non definito volutamente “paziente”) può muoversi liberamente nella struttura
realizzata, appunto, come un piccolo borgo, un quartiere vero e proprio.
Può andare al bar, al ristorante, può fare la spesa al minimarket,
sempre accompagnato dagli OSS (operatori socio-sanitari)
che sono il vero cuore pulsante di questo posto”
 

Sul modello olandese, le residenze  del Villaggio sono divise in tre tipologie: urbane, tradizionali e metropolitane. Al momento dell’ingresso in struttura, una commissione predisposta valuta in quale tipologia di casa si rispecchia maggiormente il paziente e dove preferisce vivere. A spiegarlo è Michele Questa, lo psicologo del Villaggio, mentre mi guida nella visita di una residenza considerata “tradizionale”: «I residenti sono liberi di riempire i loro ambienti con effetti personali, fotografie, oggetti, quadri.

Questa modalità è una precisa scelta che chiamiamo “terapia del ricordo” ed è considerata molto più efficace di qualsiasi medicina. Per noi, oltre alla condizione medica, è molto importante conoscere la vita della persona, chi è stato, che lavoro ha svolto, che persone gli piace frequentare». Nella casa tradizionale l’arredamento è classico, quadri appesi alle pareti, tavoli in legno, cucina grande (che ricorda un po’ quella della nonna) e tante tante foto. «La tipologia “tradizionale” la assegniamo a persone che hanno come interessi prioritari la famiglia, le tradizioni. L’”urbana”, invece, è per coloro che hanno vissuto poco la casa, perché hanno lavorato molto in città. Infine, la “cosmopolita” si adatta a chi ha viaggiato molto e ha uno spiccato interesse per l’arte e la cultura.

Il concetto di base è far stare insieme persone che condividano interessi e abbiano condotto una vita similare, per favorire proprio una convivenza sana e pacifica in un ambiente a loro affine». Il Villaggio, sempre seguendo il modello olandese, non è una struttura medicalizzata, quindi non può offrire un’assistenza sanitaria come una RSA o un ospedale. «Non possiamo curare il corpo, ma cerchiamo di curare la mente – continua Questa -. Proponiamo ai residenti del Villaggio tante attività sia dentro che fuori, per offrire loro spazi di libertà e piacevolezza, che sono utili a rallentare la malattia ». È infatti scientificamente provato che l’Alzheimer non si può curare, perché è una malattia cronica degenerativa, ma si può rallentare, attraverso continui stimoli al paziente.

«In questi termini, un grande risultato che otteniamo spesso è la diminuzione dei farmaci nella terapia o addirittura l’eliminazione della terapia stessa per i disturbi del comportamento. Quando esiste un disturbo del comportamento (e nella patologia dell’Alzheimer coesiste molto spesso), la medicina tradizionale suggerisce farmaci che possano calmare, sedare. Qui invece, conoscendo la storia del residente, cerchiamo di favorire altri strumenti, promuovendo passioni e interessi dei residenti. La distrazione, per questa malattia, è un’arma molto efficace».

«Soprattutto agli inizi della malattia per noi è stato molto difficile riuscire a capire come prendersi cura di mia madre». A condividere con noi la sua storia è L., la giovane figlia di una giovane madre residente al Villaggio (perché l’Alzheimer purtroppo non colpisce solo gli anziani). «I servizi pubblici esistenti sono davvero pochi e insufficienti nel sostenere il carico di cura di una famiglia di lavoratori. Anche le strutture private, non solo hanno prezzi inaccessibili, ma spesso non sono specializzate per questo tipo di malattia, come le RSA, e sono inadeguate a persone giovani come mia mamma. Il dolore, il senso di impotenza e di frustrazione per noi era diventato insopportabile. Da quando mia mamma è ospite nel Villaggio la nostra vita è cambiata, così come la sua. Abbiamo scoperto un luogo accogliente e di cura, dove tutto risponde ai bisogni delle persone affette da demenza: la struttura, le attività, l’approccio competente ed empatico del personale e, soprattutto, la condivisione costante del percorso con le famiglie, rendendole attive e partecipi nel percorso di cura. Ora sappiamo che mia mamma sta ricevendo il sostegno e le cure migliori e questo non solo ci ha alleggeriti dal carico organizzativo e di gestione della cura, ma anche dal grande peso emotivo di assistere alla inesorabile trasformazione causata da questa malattia di una persona così cara».

 Da quando mia mamma è ospite nel Villaggio la nostravita è cambiata,
così come la sua. Abbiamo scoperto un luogo accogliente e di cura,
dove tutto risponde ai bisogni delle persone affette da demenza”
 

Al Villaggio è attivo anche il Centro diurno destinato all’assistenza semiresidenziale di persone affette da Alzheimer. Come nel caso della permanenza al Villaggio, anche per i semi-residenti che accedono al mattino, per rientrare nel pomeriggio a casa propria, il servizio è totalmente gratuito. «Anche in questo Centro – spiega Michele Questa – le attività svolte hanno come finalità il mantenimento delle capacità della persona e, in particolare, la soddisfazione dei bisogni di socializzazione e di autonomia degli ospiti».

Novità proprio degli ultimi mesi è l’apertura anche del Centro diurno per i malati di Parkinson: «Questa per noi è un’altra grande vittoria. Il Parkinson è la seconda patologia neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer. Come quest’ultima, il Parkinson impatta con irruenza sul paziente e sulla sua famiglia, per le problematiche psico-sociali ed assistenziali che inevitabilmente genera». Le attività che si svolgono nel Centro sono personalizzate a seconda dell’esigenza dell’utenza. «In linea di massima vengono proposti laboratori manuali, ginnastica, attività ludico-ricreative, supporto psicoeducativo al paziente e al familiare. Inoltre, proponiamo alcune attività che, negli ultimi anni, hanno dimostrato una solida validità dal punto di vista scientifico: tangoterapia e Tai-Chi. È stato dimostrato che entrambe inducano effetti positivi nel controllo e nella stabilità posturale del paziente, migliorando il movimento e diminuendo il rischio cadute». «L’attenzione che la Fondazione Roma riserva alle malattie croniche neurodegenerative non si ferma con il Villaggio – conclude il Presidente Parasassi -.

La Fondazione vuole dare un forte impulso anche alla ricerca scientifica. Insieme alla Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e all’Università Campus-Bio-Medico di Roma, stiamo realizzando un centro integrato per la ricerca e la cura della malattia di Alzheimer che sarà dedicato alla diagnosi precoce e alla terapia. Tratto distintivo del Centro sarà la forte sinergia tra attività di ricerca, attività clinica con approccio multidisciplinare e diagnostica strumentale avanzata, con l’obiettivo di arrivare a una diagnosi veloce della malattia, per poter determinare terapie personalizzate e adeguate. L’assistenza da sola non basta, bisogna associarla all’avanzamento della ricerca, per assicurare ai pazienti e alle loro famiglie un futuro più nitido e promettente». Mentre esco dal Villaggio incontro la signora L. sottobraccio a suo figlio. Lei ogni tanto è confusa e non ricorda la strada. Al Villaggio però c’è sempre qualcuno che gliela indica perché, in fin dei conti, la vita cambia sempre direzione, ma sottobraccio è più facile tornare a casa.

Hogeway e gli altri Villaggi della memoria in Europa

 

Nel 2009 nella cittadina di Weesp, in Olanda, nasce Hogeway, il “Villaggio dei senza memoria“, così ribattezzato dagli abitanti del luogo. Hogeway nasce su impulso di Yvonne van Amerongen, un’infermiera impiegata in case di cura per anziani e consulente sanitaria. Yvonne quotidianamente entrava in contatto con persone colpite da forme di demenza e, all’inizio degli anni ’90, cominciò a pensare in che modo si potesse rendere migliore la vita di questi pazienti che si era ormai ridotta esclusivamente all’attesa e alla somministrazione di terapie. Dopo molte raccolte fondi e grazie anche al contributo del governo olandese, con un investimento complessivo di 20 milioni di euro, il progetto prese corpo su un terreno di un ettaro e mezzo. Oggi ad Hogeway vivono circa duecento ospiti, distribuiti in più di 20 residenze, insieme a una numerosa comunità di professionisti sanitari in incognito. Al Villaggio infatti, il personale non indossa il camice e accudisce i pazienti con grande discrezione per mantenere l’impressione di normalità utile al benessere collettivo. Questo clima tranquillo è molto efficace per i malati di Alzheimer, la cui eventuale aggressività viene smorzata dallo stile di vita lento di Hogeway. Inoltre, il Villaggio è di grande conforto anche per le famiglie degli ospiti, che vengono supportate da un sistema validissimo, senza dover rinunciare a un rapporto sereno con i propri cari. Quello di Hogeway è solo il primo di una serie di esperimenti simili che hanno preso piede in Europa. Nello Yorkshire, in Inghilterra, nella città di Fartown, nel 2013, è nato un villaggio completamente ambientato negli anni ’50, in cui i suoi ospiti possano trovarsi immersi nelle atmosfere della loro giovinezza (poichè la malattia spesso causa perdita di memoria a breve termine ma conserva quella a lungo termine). Nel 2019 è stato inaugurato un progetto simile anche a Wiedlisbach, vicino a Berna, in Svizzera. In Italia invece, oltre il Villaggio di Fondazione Roma nella Capitale, esiste anche dal 2018 “Il paese ritrovato” a Monza, progetto coordinato dalla cooperativa La Meridiana.

Dalla rivista Fondazioni luglio – settembre