Intervista a Patrizia Sandretto Re Rebaudengo , presidente Fondazione Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo è fondatrice e presidente dell’omonima Fondazione e, da luglio di quest’anno, presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT. Collezionista e figura di spicco nelle attività di sviluppo e promozione dell’arte contemporanea, ricopre ruoli di responsabilità all’interno del sistema dell’arte internazionale. L’abbiamo intervistata.
Come definisce il concetto di partecipazione culturale?
È un concetto ampio e polisemico, reso spazioso dai significati aperti delle due parole che unisce. Partecipazione rinvia all’essere parte di qualcosa ma anche al prendere parte a qualcosa, ovvero alle dimensioni differenti dell’appartenere e dell’agire. Le definizioni di culturale e di cultura sono cambiate nel tempo e, prendendo come riferimento la Conferenza Unesco di Città del Messico del 1982, includono ora gli aspetti materiali, spirituali, intellettuali ed emozionali che contraddistinguono una società, compresi i suoi modi di vita e i diritti fondamentali. Penso alla partecipazione culturale come a un processo che nasce dal contributo attivo delle persone, dal loro appassionato prendere parte a un progetto, un’esperienza, una creazione. Associo questo processo all’espressione delle opinioni, dunque alla vita democratica e alle idee di inclusività e di cittadinanza culturale plurale.
In che modo è possibile stimolare la partecipazione culturale?
Credo sia importante domandarsi: chi partecipa? Come si partecipa? Esistono gradi diversi di partecipazione, dalla fruizione dell’offerta culturale a forme di interazione sollecitate dagli approcci della mediazione culturale; dal coinvolgimento in un progetto inserito nel proprio contesto di vita sino alla co-produzione culturale. In questo ampio spettro, la partecipazione culturale è possibile se accompagnata dall’informazione, dalla collaborazione, dalla responsabilizzazione. Ogni processo partecipativo, se è veramente tale, resta sempre aperto e flessibile, accoglie il cambiamento, l’inatteso-imprevisto, come lo definisce Hannah Arendt, l’azione di concerto.
“L’arte nello spazio pubblico ha contribuito a ridefinire la fisionomia della città industriale, generando nuovi racconti e, senza dubbio, nuovi legami tra luoghi e cittadinanza”
Più volte nelle interviste ha espresso un forte legame alla sua città, Torino. L’arte e la partecipazione culturale possono concorrere a rafforzare i legami dei cittadini con il proprio territorio?
Vivo a Torino, una città che vanta una lunga tradizione di arte pubblica: dai monumenti del XIX secolo fino agli interventi contemporanei, come il luminoso “Volo dei numeri” di Mario Merz sulla Mole Antonelliana. Alcune delle opere recenti sono state realizzate grazie a percorsi partecipati, progettualità di planning from below e interventi di rigenerazione urbana rivolti ad aree in trasformazione e quartieri periferici. L’arte nello spazio pubblico ha contribuito a ridefinire la fisionomia della città industriale, generando nuovi racconti e, senza dubbio, nuovi legami tra luoghi e cittadinanza.
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, di cui lei è fondatrice e presidente, è stata promotrice della mediazione culturale dell’arte. Di cosa di tratta?
La mediazione culturale dell’arte trasforma la mostra in uno spazio dell’alta voce, un luogo del dialogo dove le opinioni si incontrano, dando vita a temporanee comunità interpretative. È una pratica discorsiva che ho introdotto nel 2002, all’apertura della sede torinese della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, l’istituzione non profit che avevo costituito nel 1995. La ricerca condivisa con il mio team ci ha indirizzato verso la mediazione culturale, una metodologia introdotta nei musei e nelle istituzioni culturali francesi negli anni ’70-’80. Di fronte a un’opera, occorre imparare a porsi domande: in Fondazione le persone possono condividere questo percorso interpretativo – mentale, emotivo, fisico – con le mediatrici e i mediatori culturali. Sempre presenti in mostra e destinatari di una formazione continua, forniscono informazioni – sull’opera, l’artista, la mostra – ma, soprattutto, sollecitano la conversazione, facendone uno strumento di esplorazione e apprendimento, secondo i principi del Life Long Learning.
“Ogni processo partecipativo, se è veramente tale, resta sempre aperto e flessibile, accoglie il cambiamento, l’inatteso-imprevisto di Hannah Arendt, l’azione di concerto”
Spesso nelle sue attività l’arte si intreccia con attività educative e sociali. Che legame c’è tra questi due mondi?
In Fondazione sono attività inscindibili. La mostra è uno spazio di conoscenza, il motore che trasforma il museo in agorà, in luogo del confronto. È una palestra culturale in cui esercitare democrazia, intorno a opere strettamente legate alle questioni attuali ed emergenti: l’ecologia, l’ambiente, i diritti, le nuove forme di socialità, l’intelligenza artificiale. L’attività educativa e la mediazione culturale sono gli ambiti che qualificano la Fondazione come centro di ricerca e di sperimentazione, un’agenzia educativa informale impegnata a contribuire alla vita della scuola, delle comunità, della società in cui opera. I nostri workshop sono concepiti per un ampio ventaglio di destinatari: dai bambini e le bambine della scuola dell’infanzia ai giovani, le famiglie, gli insegnanti, le persone fragili. Raggiungiamo grandi numeri ma, soprattutto, investiamo sulla qualità delle proposte.
I giovani. Tutto il suo percorso è segnato dall’attenzione ai giovani artisti. Perché?
Il sostegno alle giovani generazioni artistiche è la prima missione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. All’apertura della Fondazione, il sostegno ai giovani artisti ha portato con sé l’attenzione rivolta al pubblico e ai giovani pubblici. Nel 2006, con la nascita dello “Young Curators Residency Programme”, residenza di ricerca in viaggio lungo il nostro Paese, e nel 2012, con l’avvio di Campo, il nostro corso di studi e pratiche curatoriali, ho fatto un passo ulteriore, investendo sulla formazione specialistica dei giovani curatori e curatrici. Inoltre, per i giovani di età compresa tra i 15 e il 29 anni, la Fondazione ha ideato “Verso”, un programma sostenuto nel 2021-2022 dall’Assessorato alle Politiche giovanili della Regione Piemonte e dal Fondo nazionale delle politiche giovanili.
“La mediazione culturale dell’arte trasforma la mostra in un luogo di dialogo, dove le opinioni si incontra dando vita a temporanee comunità interpretative”
È stata nominata recentemente presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT. Quali sono gli obiettivi per gli anni a venire?
Ho ricevuto questo incarico così prestigioso nel luglio scorso. È un ruolo in cui vedo riconosciuto il lavoro che ho svolto, prendendo attivamente parte alle politiche culturali promosse a Torino e in Piemonte negli ultimi trent’anni. Intendo svolgerlo con grande responsabilità, con la massima attenzione e sensibilità, onorando la Fondazione CRT, l’istituzione che da vent’anni sostiene la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT che oggi presiedo. Insieme al CdA, siamo concentrati in particolare su alcune principali direttive: la collezione istituzionale, nata nel 2000 per arricchire le raccolte della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino e il Castello di Rivoli; la formazione e l’educazione, ambiti in cui la Fondazione, dal 2010 a oggi, si è distinta attraverso programmi come Zonarte, Resò, Diderot e aulArte. Si tratta dunque di sviluppare ulteriormente indirizzi che fanno parte delle doti della Fondazione per l’Arte, vocazioni che vanno rafforzate e aggiornate al contesto odierno. Sono felice di iniziare questo percorso, in cui vedo la possibilità di unire coerentemente gli indirizzi identitari di un’istituzione guidata da principi etici e civici, missioni che mi stanno profondamente a cuore.
Dalla rivista Fondazioni luglio – settembre 2023