Intervista a Silvana Sciarra, giurista e docente italiana
per Fondazioni – giugno 2021
Silvana Sciarra è una giurista e docente italiana, giudice della Corte Costituzionale dal 2014. Recentemente ha curato il libro “Idee per il lavoro”, sull’opera di Gino Giugni, edito da Laterza.
Cosa rappresentava il lavoro per i Costituenti?
Per comprendere il ruolo del lavoro nell’Italia del dopoguerra dobbiamo prima di tutto ricordare che i Costituenti operarono in un Paese sfiancato e distrutto dalla guerra. Per questo, il lavoro fu inteso soprattutto come strumento di emancipazione, di rinascita ma anche di ritrovata dignità, la dignità della persona che lavora.
Perché hanno scelto di “fondare” la Repubblica sul lavoro?
L’articolo 1 propone una formula originale molto profonda. Troviamo, infatti, un binomio importante in questo articolo: si affianca il lavoro ai principi democratici “L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro”. Il lavoro quindi è sostegno della democrazia, ma è anche nutrito dalla democrazia. Questa formula rispecchia in maniera particolarmente chiara l’esigenza di far affiorare la dignità del lavoro, anche attraverso il principio democratico.
Perché nell’articolo 3 si parla di “partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo partire da un lungo dibattito che avvenne in Assemblea Costituente sull’articolo 1. Si doveva scegliere se “fondare” la Repubblica democratica sul “lavoro” o sui “lavoratori”. Prevalse, come ben sappiamo, la prima formula, perché più ampia e onnicomprensiva, al contrario della nozione di lavoratori, che poteva innescare una riflessione sulle distinzioni di classe all’interno della società. Nell’articolo 3, però, riemerge la parola “lavoratori”, a dimostrazione della volontà di riaffermare la centralità congiunta dei cittadini e dei lavoratori nel processo di ricostruzione del Paese. L’articolo 3 conferisce un ruolo fondamentale ai lavoratori nel momento della rinascita e della ripresa economica.
Cosa intendevano i costituenti quando parlavano di “diritto al lavoro”?
Questa, a mio avviso, è una norma di straordinaria attualità. Anche se si è molto discusso sulla natura di questa norma, che può sembrare solo programmatica, si deve invece affermare la sua immediata precettività. La sua attualità consiste nell’intensità del messaggio trasmesso a chi cerca lavoro o a chi lo ha perso; oggi quel messaggio deve soprattutto essere rivolto ai più giovani. Il diritto al lavoro deve essere libertà di scegliere il lavoro, di sceglier lo secondo le proprie propensioni e le proprie attitudini. C’è un secondo aspetto, che avevano in mente i Costituenti: l’urgenza di pretendere dallo Stato interventi mirati per creare occupazione. La Corte Costituzionale ha chiarito che diritto al lavoro non vuol dire diritto alla stabilità del posto – anche se la stessa Corte si è molto frequentemente occupata delle leggi in materia di tutela, soprattutto contro i licenziamenti individuali – ma vuol dire diritto a condizioni di lavoro eque e a garanzie ben circostanziate contro i comportamenti arbitrari del datore di lavoro, sul piano della gestione dei rapporti del lavoro. L’art. 4 predispone un terreno su cui lo Stato deve muoversi, per promuovere e favorire l’occupazione. Cosa c’è di più attuale di questo quando si parla di politiche attive del lavoro? Diritto al lavoro concretamente significa permettere l’accesso a un corso di formazione professionale, a un centro per l’impiego in grado di instradare il lavoratore in cerca di prima occupazione o anche di indirizzare il lavoratore che ha perso il lavoro.
Il mondo del lavoro è cambiato e sta cambiando sotto i nostri occhi. Durante la pandemia abbiamo visto quanto rapida sia stata la conversione al lavoro da remoto e quindi non possiamo sottovalutare il fatto che possa esserci anche una ridefinizione di alcuni diritti e di alcuni doveri
Come è legato il diritto del lavoro con il concetto di uguaglianza?
C’è un forte legame se si guarda a nozioni quali la parità di trattamento e la non discriminazione. C’è molto di più, se pensiamo alla parità di opportunità, ovvero alla garanzia di un uguale punto di partenza. Su questo c’è molto lavoro da fare, soprattutto per le categorie più fragili o divenute fragili dopo la pandemia o rispetto a figure marginali nel mercato del lavoro. Principio di uguaglianza significa anche ripristinare quelle posizioni che sono state lese da una condizione di crisi o da una situazione di esclusione dall’attività produttiva.
Che ruolo ha la Corte Costituzionale nel disegnare il mondo del lavoro?
La Corte difficilmente può disegnare il mondo del lavoro. Piuttosto si trova davanti alcuni casi, dai quali emerge il mondo del lavoro così come è. Il lavoro della Corte consiste nel disegnare costantemente il confine delle tutele che l’ordinamento ha previsto per i lavoratori, tenendo bene presenti le prerogative delle imprese e facendo grande attenzione al principio di bilanciamento. Anche le imprese sono tutelate dalla Costituzione e la Corte deve sempre utilizzare uno dei suoi strumenti di lavoro privilegiati, che consiste nel bilanciare interessi contrapposti. Questo bilanciamento deve esprimersi anche all’interno dei rapporti di lavoro, che in realtà sono relazioni in senso più ampio, per definizione asimmetriche perché uno dei due contraenti ha un potere decisionale nettamente superiore dell’altro. Per questo motivo, il lavoratore è stato progressivamente sempre più tutelato con l’evolvere del diritto del lavoro. Ecco, la Corte ha questo ruolo di “guardiana” dei diritti e dei poteri di tutte e due le parti coinvolte.
Il mondo del lavoro è cambiato radicalmente negli ultimi anni, siamo ancora in grado di realizzare i principi fondamentali sul diritto al lavoro e sui principi di uguaglianza?
Il mondo del lavoro è cambiato e sta cambiando sotto i nostri occhi. Durante la pandemia abbiamo visto quanto rapida sia stata la conversione al lavoro da remoto e quindi non possiamo sottovalutare il fatto che possa esserci anche una ridefinizione di alcuni diritti e di alcuni doveri da parte delle imprese. Poi, abbiamo conosciuto la grande novità del lavoro tramite piattaforma, che interessa tanti paesi contemporaneamente e sul quale ci sono state delle importanti decisioni prese da Corti supreme anche in altri paesi. Certamente il mondo del lavoro cambia, ma noi abbiamo sempre la nostra bussola che è la Costituzione. In questo nuovo scenario abbiamo anche i principi dello Statuto dei lavoratori che, seppure scritto per un lavoro all’interno di luoghi tradizionali, soprattutto nella parte che riconosce i diritti fondamentali, può essere adattato a qualunque tipo di lavoro. C’è spesso una propensione dei giuslavoristi a parlare di “lavoro senza aggettivi”. Qualunque lavoro deve essere destinatario di tutele che devono essere intese come fondamentali, perché attengono alla persona del lavoratore. Bisogna tutelare questa fattualità del diritto, un diritto che riguarda la persona del lavoratore nella sua fisicità e bisogna farlo anche oggi, perché siamo ancora costretti ad assistere a eventi drammatici rispetto a questo tema.
Qualunque lavoro deve essere destinatario di tutele che devono essere intese come fondamentali, perché attengono alla persona del lavoratore
Lei è stata allieva di Gino Giugni, giurista che è tra i protagonisti nella stesura dello Statuto dei lavoratori, e ha curato il libro “Idee per il lavoro” per ripercorrere la sua opera. Cosa del pensiero di Giugni è ancora attuale e perché?
Rileggere l’opera di Giugni mi ha ridato nuova energia. Ho ritrovato, da una parte, l’entusiasmo del tempo in cui sono stata studente nelle aule universitarie e, dall’altra, la speranza che il pensiero di Giugni possa servire da ispirazione ai più giovani, soprattutto in un momento storico in cui si diffonde una comprensibile disillusione. Per questo ho cercato di pubblicare alcuni scritti di Giugni in forma un po’ semplificata, proprio per arrivare ad un popolo di lettori più ampio. Il concetto forte che penso possa essere utile è quello della ricerca di culture identitarie: noi dobbiamo poterci identificare in qualche cultura, non ne esiste solo una, ce ne sono tante e tutte ci guidano nel consolidare le nostre convinzioni. Giugni si sofferma su questo: il pluralismo, così ampio nella nostra tradizione sindacale e imprenditoriale, è una vera ricchezza. Poi c’è un altro punto cruciale che segnalo sempre ai più giovani, quando li incontro nelle scuole: l’attenzione alla storia. La storia ci insegna che il legislatore ha proceduto bene quando ha proceduto per piccoli passi introducendo riforme organiche, mentre il gesto della cesura non è mai troppo desiderabile. L’opera di Giugni è questo: un uomo, uno studioso che ha avuto la fortuna di disegnare molto coerentemente un percorso di riforme legislative. Lo ha fatto perché i legislatori del tempo, fin dagli anni Sessanta e poi, soprattutto con lo Statuto dei lavoratori del ‘70, lo hanno chiamato a dirigere l’ufficio legislativo o ad essere consulente, lavorando con i ministri del tempo. La sua conoscenza, quindi, si è trasfusa nelle leggi che ha contribuito a scrivere. Giugni ha dimostrato che un legislatore coerente segna il percorso dell’evoluzione del diritto.
Da Fondazioni, giugno 2021