«Ricordo uno studente magrebino che parlava in italiano con un accento sardo. Una piccola cosa, certo, ma bellissima. Quella contaminazione culturale dice molto più di tante parole sull’integrazione». A raccontare questa storia è il direttore di Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo) Marcello Scalisi, con il quale abbiamo parlato a lungo del ruolo delle università nella cooperazione internazionale.
A lui e ad altri interlocutori ci siamo rivolti soprattutto in merito a Sardegna ForMed, il progetto che da dieci anni porta giovani studenti e studentesse dal Nord Africa nelle università di Cagliari e di Sassari. Un progetto che non solo resiste nel tempo, ma che ha saputo generare valore per tutti: per chi parte, per chi accoglie e per chi ha deciso di sostenerlo. Nato da una collaborazione tra Unimed, Fondazione di Sardegna e le università sarde di Cagliari e di Sassari, ForMed è più di un programma di borse di studio. È un laboratorio vivo di cooperazione internazionale e uno strumento efficace di diplomazia accademica.
Da un punto di vista pratico, Fondazione di Sardegna, capofila del progetto, garantisce le borse di studio che coprono il percorso di studio scelto dai partecipanti, mentre le università sarde riconoscono un esonero completo dal pagamento delle tasse universitarie e garantiscono l’accesso ai servizi essenziali di accoglienza, solitamente riservati agli studenti stranieri in mobilità.
A partire dal 2015, ogni anno, circa quaranta giovani provenienti da undici università del Marocco, Tunisia e altri paesi del Maghreb vengono selezionati per proseguire i propri studi in Sardegna. I numeri, in apparenza contenuti, sono in realtà la misura della cura e della qualità del progetto. «In dieci anni, su centinaia di studenti e studentesse, ne abbiamo persi tre o quattro. E persi non vuol dire spariti: semplicemente, non hanno terminato il percorso e sono tornati a casa. Questo dice molto sull’efficacia e sulla serietà della proposta» ci dice Scalisi.


Il coinvolgimento diretto delle università è parte del successo. Il progetto non è calato dall’alto, ma costruito insieme alle delegazioni per le relazioni internazionali degli atenei, che seguono ogni fase: dalla selezione all’accoglienza, fino al tutoraggio.
Ce lo conferma Alessandra Carucci, prorettrice per l’internazionalizzazione dell’Università di Cagliari: «Dopo 10 anni possiamo dire con convinzione che questo progetto è un esempio di successo e un modello di integrazione e di scambio culturale, con opportunità di incontro che si creano anche al di là della sola vita universitaria. Ma soprattutto, si lega perfettamente alla strategia di internazionalizzazione che negli ultimi anni l’Università di Cagliari ha voluto mettere in atto – continua Carucci –. Oltre a stimolare la mobilità degli studenti, comunque sempre più rafforzata, Sardegna ForMed contribuisce alla cosiddetta “internationalisation at home”, ovvero con la creazione di un ambiente di studio sempre più internazionale, anche per gli studenti che non hanno la possibilità di effettuare un’esperienza di studio all’estero».
Se il Mediterraneo è spesso visto come un confine, Sardegna ForMed lo trasforma in un ponte. La Sardegna non è scelta solo per la sua bellezza ma anche per le sue università valide, per i costi della vita sostenibili e per la vocazione all’accoglienza, che ha radici profonde. «La posizione della Sardegna al centro del Mediterraneo le offre la possibilità di essere un ponte tra territori vicini ma con culture spesso diverse. E gli studenti del progetto Sardegna ForMed ne sono un esempio, anche dopo la laurea, sia che proseguano gli studi, magari con un dottorato, sia che entrino nel mondo del lavoro, in Italia o nel loro Paese di origine o in altro Paese. Solo attraverso questi scambi ci può essere contaminazione e crescita collettiva», conclude Carucci.
La rilevanza del progetto per le università sarde è stata approfondita anche in “Intrecci. Creare comunità insieme”, il podcast unito a una serie giornalistica realizzato da Percorsi di Secondo Welfare e sostenuta da Acri. Tra le tante voci c’è anche quella di Silvia Serreli, docente dell’Università di Sassari e delegata del rettore per il progetto “Corridoi universitari, migrazioni e cooperazione con i territori”, che ha sottolineato la responsabilità dell’università: «Le ricerche dell’università dovrebbero essere sempre un po’ più avanti rispetto alla realtà: le nostre ricerche lavorano molto anche su scenari futuri. E questa componente studentesca di Sardegna ForMed aumenta in modo significativo il capitale umano dentro l’università».
Questo aumento di capitale umano è confermato anche da Alessandra Carucci che ha spiegato come percorsi simili a ForMed richiedano «un aumento di corsi erogati in lingua inglese, e quindi le possibilità di avere più studenti stranieri, ma anche docenti, e percorsi che prevedano un doppio titolo, in cui studenti di università straniere studiano anche per un intero anno accademico a fianco degli studenti italiani e viceversa».
“Dopo 10 anni possiamo dire con convinzione che questo
progetto è un esempio di successo e un modello di
integrazione e di scambio culturale, con opportunità
di incontro che si creano anche al di là della sola vita
universitaria”
Una borsa di studio, quindi, non è solo un supporto economico: è un investimento nel futuro e questo lo ha capito bene la Fondazione di Sardegna che è attore centrale nello sviluppo del progetto. «Sardegna ForMed ha assunto negli anni una funzione sempre più significativa nella strategia di internazionalizzazione del sistema universitario sardo, contribuendo alla costruzione di una comunità euromediterranea di giovani formati in contesti accademici aperti, inclusivi e orientati alla cooperazione», ha affermato il presidente della Fondazione Giacomo Spissu, confermando due aspetti centrali del progetto: è utile al territorio che lo ospita e alla comunità che supera i suoi confini. Una comunità che si costruisce sulla contaminazione e sul rapporto tra pari.
Ascoltando “Intrecci” si possono sentire le voci di alcune studentesse che hanno partecipato al progetto raccontare come i professori e gli studenti italiani siano stati d’aiuto per superare le difficoltà legate alla lingua e ai luoghi nuovi da vivere, ma anche l’orgoglio e la qualità del percorso di studi e delle proprie ricerche. In questo senso, ascoltare la voce di Aicha Mechria permette di cogliere al meglio il senso di questo progetto. La studentessa tunisina racconta della disponibilità dei professori che si fermavano a rispiegare in inglese alcune parti della lezione ma, soprattutto, di come abbia continuato a collaborare con l’Università di Sassari dopo aver concluso il corso di laurea in Pianificazione e politiche per la città, l’ambiente e il paesaggio dell’Università di Sassari. «Nella mia tesi, ho lavorato sulla parte della laguna del sijoumi di Tunisi al fine di risolvere i problemi ambientali e paesaggistici con nuovi metodi e ricerche strategiche che ho imparato in questo corso di laurea magistrale (a Sassari)».
Questo fa riflettere anche sulla dimensione geografica del progetto perché, se è vero che il Nord Africa e la Sardegna hanno dei confini politici, è anche vero che i loro territori si somigliano, come si somigliano il clima e le sfide che dovranno essere affrontate nei prossimi anni. Come ha evidenziato la professoressa Serrelli, «tutto il percorso è stato formulato con gli stessi obiettivi, e cioè la focalizzazione sulle vulnerabilità dell’area mediterranea sotto il profilo ambientale, sociale e urbanistico. E quindi sugli scenari futuri che dovranno essere affrontati da quella che lei ha definito “generazione mediterranea”».

La dimensione geografica, però, non basta a spiegare la riuscita e la crescita del progetto, come sottolinea il presidente Spissu: «Il rafforzamento del partenariato con le università del Maghreb, unito alla costante crescita della rete di relazioni che questo progetto genera, dimostra che la Sardegna può svolgere un ruolo significativo nella cooperazione euromediterranea, non solo per ragioni geografiche, ma per scelte strategiche di apertura, dialogo e responsabilità condivisa».
Quando si pensa alla cooperazione internazionale, forse, si tende a sottovalutare progetti di questo tipo e ragionare maggiormente in termini di “aiuti”. Eppure, lo scambio di studenti provenienti da diverse aree geografiche, l’internazionalizzazione delle università e la ricerca condivisa sono elementi che pongono i paesi sullo stesso piano, perché i benefici sono utili a tutti. Inoltre, la mobilità universitaria può svolgere un ruolo importante anche in situazioni di crisi: «Dare a uno studente o a una studentessa che si trova in un paese in crisi, in conflitto o in post-conflitto la possibilità di continuare a studiare, significa ridargli una vita. Se studio, sto costruendo qualcosa Se resto in una bolla, in attesa, no», ci dice Scalisi.
Non è un caso che, oltre a ForMed, l’Università di Cagliari abbia promosso iniziative come Unicore (University Corridors for Refugees) e Unica4Refugees, progetti che si propongono di migliorare l’accesso all’università, facilitare il riconoscimento dei titoli di studio esteri e favorire l’avviamento al lavoro delle persone titolari di protezione internazionale e umanitaria e richiedenti asilo residenti in Sardegna.
Mentre ci avviamo verso la fine della conversazione con il direttore di Unimed, Marcello Scalisi, c’è un elemento che viene sottolineato in maniera garbata ma decisa: Sardegna ForMed deve essere visto come un modello esportabile. «Le basi giuridiche e operative esistono già: si tratta solo di volontà politica e visione strategica», dice Scalisi. «Noi siamo in contatto anche con l’ambasciatore italiano in Siria. Se le Fondazioni volessero fare qualcosa per gli studenti siriani, si può fare. Abbiamo anche progetti con rifugiati palestinesi. Lo strumento c’è, è già rodato. Il valore è per tutto il sistema coinvolto. Anche le ambasciate e i consolati aspettano ogni anno ForMed: sanno che è un progetto serio, chiaro, trasparente e funzionante».
L’auspicio è, dunque, che Sardegna ForMed non resti un caso isolato ma che possa crescere magari «costruendo un progetto nazionale di cooperazione universitaria nel Mediterraneo». Nel concludere, Marcello Scalisi parla della “responsabilità bellissima” che ci si può assumere sostenendo progetti di questo tipo, soprattutto quando sono riferiti a studenti che vivono in paesi ad alto rischio: «si può davvero cambiare la traiettoria di vita di una persona».
Sardegna ForMed sta per “Sardegna for the Mediterranean” ma nei fatti quel “for” che traduciamo “per” non rende del tutto giustizia al progetto. Il partenariato tra la Fondazione di Sardegna, Unimed, le Università di Cagliari e di Sassari e gli istituti del Maghreb ha a che fare con il senso originale del verbo “cooperare”. Rappresenta lo sforzo di operare insieme per ottenere un obiettivo che superi i confini e crei ponti di solidarietà, ricerca scientifica e mutua-conoscenza.
Intrecci, un podcast e non solo
“Intrecci – Creare comunità insieme” è una serie podcast e giornalistica curata da Percorsi di secondo welfare, sostenuta da Acri nell’ambito del più ampio percorso di avvicinamento al suo XXVI Congresso Nazionale, tenutosi a giugno 2025 a Gorizia sul tema “Comunità: insiemi plurali”. Intrecci si articola in 10 episodi di podcast e altrettanti articoli di approfondimento, dedicati ad alcune esperienze di comunità promosse dalle Fondazioni. Il filo conduttore di Intrecci è la comunità, che è stata raccontata partendo da alcune domande fondamentali. Come le Fondazioni contribuiscono a “fare” la comunità? Quali sono i molti modi in cui è possibile creare o rafforzare le comunità sui territori? Come le Fondazioni contribuiscono a stimolare e sostenere l’impegno della cittadinanza nella promozione del bene comune? In ogni puntata dedicata a un progetto comunitario, sono state raccolte le voci di studiosi, testimoni e Fondazioni, coniugando giornalismo e approfondimento scientifico. Intrecci si può ascoltare su tutte le principali piattaforme di streaming; gli articoli sono sul sito www.secondowelfare.it/category/intrecci
Dalla rivista Fondazioni aprile – giugno 2025