Intervista a Marianna Lunardini, ricercatrice di IAI (Istituto Affari Internazionali)
Marianna Lunardini è ricercatrice nel programma “Multilateralismo e governance globale” dello IAI (Istituto Affari Internazionali), dove svolge attività di ricerca occupandosi principalmente di cooperazione allo sviluppo. Tra le sue pubblicazioni, “Una prospettiva storico-giuridica sulla cooperazione allo sviluppo italiana” nel volume “Politica estera e diritti umani” (Donzelli 2024), con Michele Nicoletti. Partendo dalla definizione di “cooperazione allo sviluppo”, Lunardini ci ha guidati in una ricostruzione storica della cooperazione allo sviluppo italiana, spiegando come si intreccia alle dinamiche di politica internazionale. Dall’excursus storico emergono le caratteristiche della cooperazione italiana, che sono cambiate nel tempo, soprattutto, Lunardini sottolinea il passaggio dell’Italia da paese beneficiario di sostegni internazionali a paese donor, che dunque sostiene i paesi in difficoltà attraverso iniziative di cooperazione allo sviluppo.
Cos’è la cooperazione allo sviluppo? Può spiegarcelo?
La cooperazione allo sviluppo, come definita anche nella legge n.125 nel 2014, è parte integrante della politica estera dell’Italia, si ispira ai principi della Carta della Nazioni Unite e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e le sue azioni sono volte a promuovere la pace, la giustizia e relazioni paritarie e solidali tra i paesi, quindi migliorare la condizioni di vita dei paesi in difficoltà.
Che cosa ha rappresentato per la cooperazione italiana la legge n.125 del 2014?
Io penso sia stato un grande passo, perché ha permesso di strutturare un sistema e migliorare la gestione delle risorse messe a disposizione, ha istituito l’AICS, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e ha dato una maggiore coordinamento e armonizzazione alle varie iniziative in corso.
“Cooperare significa proprio essere in una relazione orizzontale, senza creare sbilanciamenti tra il paese che mette a disposizione le risorse e il paese che ne beneficia”
In che modo gli interventi di cooperazione allo sviluppo promuovono relazioni paritarie tra i paesi?
“Cooperare” significa proprio essere in una relazione orizzontale, senza creare sbilanciamenti tra il paese che mette a disposizione le risorse e il paese che ne beneficia. “Cooperare”, oggi, significa infatti ristabilire relazioni eque, andando oltre la concezione della cooperazione come mera assistenza, ormai superata da tempo.
In favore di quale concezione è stata superata?
La cooperazione allo sviluppo considera ormai lo “sviluppo” non come un problema specifico di un paese a basso o medio reddito, ma come una questione di interesse globale, che ci coinvolge tutti. Non è un caso che i paesi cosiddetti “donor” sono aumentati nel tempo e, alcuni, si sono trasformati da paesi beneficiari a paesi che possono permettersi di sostenere quelli più in difficoltà.
Tra questi c’è anche l’Italia?
Sì, l’Italia settant’anni fa era un paese beneficiario, oggi invece sostiene i sistemi di cooperazione a livello multilaterale, contribuisce a livello economico e, anche, con le proprie risorse umane. Ha iniziato già negli anni ’50, con l’invio di risorse umane ed esperti, poi, verso gli anni ’60 ha cominciato a diventare un vero e proprio paese donor. Per esempio, l’Italia è stata uno dei primi paesi a essere coinvolto nei meccanismi dei DAC (Development Assistance Committee), che operano all’interno dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), i cui membri sono i principali contributori di aiuti negli interventi di cooperazione allo sviluppo.
“La cooperazione allo sviluppo considera ormai lo “sviluppo” non come un problema specifico di un paese a basso o medio reddito, ma come una questione di interesse globale, che ci coinvolge tutti”
Quali sono le principali modalità di fare cooperazione?
Storicamente la cooperazione si compone di supporto economico e tecnico, quindi inviando risorse economiche e persone con specifiche competenze, così da creare una condivisione di know how. Nel tempo, queste forme tradizionali sono state affiancate da interventi più complessi relativi alla creazione di partnership, ad esempio nella cooperazione europea. Anche per questo, il mondo della cooperazione italiana è ad oggi molto variegato: si va dai grandi interventi statali, a quelli degli enti locali come regioni e comuni, alle grandi e piccole organizzazioni di terzo settore. Si tratta quindi di un settore composto da una tale diversità di attori, da renderlo molto complesso ma, al tempo stesso, molto dinamico.
Prima citava la creazione di partnership, soprattutto a livello europeo, ci può fare un esempio?
Il Global Gateway per esempio, è una grande iniziativa europea per creare partnership pubblico-private e collaborazioni strategiche per affrontare le sfide globali come la lotta ai cambiamenti climatici, il miglioramento dei sistemi sanitari e il rafforzamento delle catene di approvvigionamento globali. Il Global Gateway è stato inaugurato con il rafforzamento dei rapporti di cooperazione con Africa, Asia, Sud America e Caraibi. Fra i vari progetti, il Corridoio di Lobito è un’importante iniziativa che collega le priorità non solo internazionali ed europee ma anche italiane, con il piano Mattei per esempio.
“Il mondo della cooperazione italiana è ad oggi molto variegato: si va dai grandi interventi statali, a quelli degli enti locali come regioni e comuni, alle grandi e piccole organizzazioni di terzo settore. Si tratta quindi di un settore composto da una tale diversità di attori, da renderlo molto complesso ma, al tempo stesso, molto dinamico”
Cos’è?
Si tratta di un progetto nato da un memorandum di intesa tra Stati Uniti, Commissione Europea, Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia per la costruzione di un’arteria ferroviaria che colleghi la parte nord dello Zambia alla costa angolana, passando per la Repubblica Democratica del Congo. Questo andrebbe a migliorare il sistema infrastrutturale di quei territori, a facilitare gli scambi commerciali e anche a migliorare i rapporti tra gli stati firmatari del memorandum.
Perché quella della partnership è considerata la chiave, oggi, della cooperazione?
Perché l’attuale assetto internazionale sta affrontando cambiamenti importanti, e l’Unione Europea, così come i suoi stati membri, sono chiamati a scelte più strategicamente oculate, mentre il cosiddetto Sud globale ci chiede con forza di smettere di ricadere nelle vecchie dinamiche coloniali, dalle quali nasce la cooperazione; e perché il dibattito sui rapporti e gli squilibri tra paesi è ancora molto accesso e, da questo punto di vista, è fondamentale reinterrogarci su come volerci, oggi, mettere in relazione con il resto del mondo.
Dalla rivista Fondazioni aprile – giugno 2025