Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore. È il contrario del motto fascista Me ne frego”. Con queste parole, don Lorenzo Milani, nella sua “Lettera ai giudici” del 18 ottobre 1965, memoria difensiva scritta per l’impossibilità, poiché oramai malato di tumore, di presentarsi in tribunale per difendersi nel processo per apologia di reato intentatogli da un gruppo di reduci a causa delle sue dichiarazioni a sostegno dei giovani obiettori di coscienza che rifiutavano il servizio militare, richiamava il senso unico e profondo del suo lungo, straordinario lavoro nella scuola di Barbiana. Me ne importa, mi sta a cuore è una dichiarazione di impegno politico, prima che umano, che è alla base dell’insegnamento di don Milani. Prendersi cura dei giovani, in uno sperduto paese dell’appennino Toscano, negli anni ’50 del secolo scorso, non con un approccio pietistico e rassegnato, ma con l’intento di far crescere in loro la consapevolezza della loro condizione, dei loro diritti, del significato di giustizia, che va oltre il concetto di legalità, è stato un atto rivoluzionario che ha scosso le coscienze di coloro che, facili all’oblio e troppo intenti ad agganciare l’incipiente boom economico del dopoguerra, poco si interessavano delle condizioni di deprivazione, ignoranza e abbandono in cui versava larga parte della popolazione del nostro paese. La scuola è stata il campo di battaglia di don Milani, perché coglieva in essa lo strumento più potente per l’affrancamento dalle condizioni di miseria e sfruttamento, che si tramandavano di generazione in generazione, proprio a causa di quella che oggi chiamiamo povertà educativa.
“L’espressione, che don Milani affisse nella scuola di Barbiana, I care, è un richiamo rivolto a tutti e a ciascuno, all’impegno civile e politico per la costruzione e manutenzione di una società più equa, inclusiva e solidale”
Ma, affinché questo processo di liberazione potesse prendere corpo, bisognava trasformare la scuola da “ospedale che cura i sani e respinge i malati”, cioè interessata solo a educare e formare chi si trovava in condizioni di vantaggio sociale ed economico, a laboratorio di sperimentazione universale per la formazione delle coscienze e l’educazione di tutti, a partire dai più fragili. Principi quali la personalizzazione del processo educativo, la collaborazione e la solidarietà, l’insegnamento reciproco, il rifiuto dei voti, la scrittura collettiva, l’incontro con esperti, tra le fondamenta della scuola di Barbiana, sono poi divenuti nel tempo oggetto di riflessione, dibattito, sperimentazione e applicazione negli ambienti accademici e nelle scuole di tutto il mondo. L’eredità di don Milani è una miniera inesauribile, che continua a restituire pietre preziosissime a tutti coloro che hanno la volontà e il desiderio di continuare a scavare tra le rocce e la polvere delle convenzioni consolidate, delle consuetudini, della rassegnazione. E quell’espressione, che don Milani affisse nella scuola di Barbiana, I care, è un richiamo rivolto a tutti, e a ciascuno, all’impegno civile e politico per la costruzione e manutenzione di una società più equa, inclusiva e solidale. O, semplicemente, più giusta.
Dalla rivista fondazioni luglio – settembre 2024