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La famiglia, pilastro della cura in Italia | Giovanni Fosti

Testimonianza di Giovanni Fosti
per Fondazioni settembre 2024

Giovanni Fosti è un esperto di sistemi di welfare, politiche pubbliche e forme di gestione nei servizi sociali e socio-sanitari ed è autore di numerosi saggi e articoli scientifici.

Il pilastro del sistema di cura oggi, in Italia, è la famiglia. Si può parlare, infatti, di sistema di welfare “familiare”. La centralità della famiglia nel sistema di cura è andata sviluppandosi di pari passo con un modello di spesa sociale molto orientata verso i trasferimenti monetari (assegni familiari, bonus e indennità di accompagnamento, che rappresentano quasi i ¾ delle risorse) e poco verso i servizi, con un sistema di interventi sociali molto frammentato dal punto di vista degli attori, delle risorse e degli interventi, a cui famiglie sufficientemente forti potevano fare fronte agendo come elemento di ricomposizione. Tuttavia, in soli venti anni, le famiglie unipersonali sono passate dal 20% al 32%, arrivando al 50% nelle grandi città; le madri over40 sono passate dal rappresentare il 3,1% nel 2002 al 6,2% nel 2012; infine, si stima che gli over85 saranno 3 milioni nel 2030. Il modello, dunque, non tiene conto della struttura delle nuove famiglie, dell’evoluzione della società e del conseguente emergere di nuovi fenomeni e bisogni sociali, come la denatalità, il fenomeno dei NEET, i working poor, le difficoltà nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Il sistema di welfare che faceva perno sulla forza delle famiglie e delle reti familiari, sostenute da trasferimenti monetari con cui auto organizzare risposte ai propri bisogni, necessita un ripensamento. Particolarmente problematica, per le famiglie, che spesso non riescono a garantire un’assistenza continua e sufficiente ai propri cari, è l’organizzazione della cura.

“Le famiglie non solo si occupano dell’organizzazione nei vari aspetti dell’assistenza, con il peso emotivo e fisico che questa comporta. Possono continuare a reggere senza un supporto di legame e di comunità che contribuisca a cambiare i modelli di cura?”

 È il motivo per il quale questo “sistema familiare” ha portato allo sviluppo di un mercato di lavoro e servizi “informale”, a bassa competenza, che fatica a rispondere ai bisogni di cura emergenti, rendendo, di fatto, i nuclei familiari dei nuovi datori di lavoro. Sono infatti circa 1 milione le cosiddette badanti, dato che supera di gran lunga quello dei dipendenti dell’intero Servizio Sanitario Nazionale (di poco superiore alle 600.000 unità). È evidente, sulla base di questi dati, la posizione residuale della governance pubblica rispetto al tema della non autosufficienza, e la prevalenza del peso economico e organizzativo sulle famiglie. Il presidio complessivo del sistema di cura familiare, inclusa l’organizzazione del sistema di cura informale, è in carico alla generazione cosiddetta “sandwich”, cioè una fascia di popolazione tra i 45 e i 50 anni, schiacciata dalla necessità di doversi occupare contemporaneamente di figli e genitori, oltre che del proprio percorso professionale e di vita, dovendosi fare carico del peso emotivo e anche fisico che il lavoro di cura comporta. Nelle reti sociali che “si accorciano”, aumentano le solitudini, diminuiscono le risorse di cura che si attivano nel contesto familiare, cresce la complessità organizzativa, lievitano le spese associate all’assistenza. Non sono poche, tra le famiglie, quelle che si trovano in condizioni di difficoltà anche sotto il profilo economico, e faticano ad affrontare i costi necessari per prendersi cura dei propri cari. La povertà relativa, infatti, riguarda il 10,6% dei nuclei familiari e tra i più colpiti risultano i nuclei composti da genitori under45 e con 3 o più figli a carico. Più in generale, anche per famiglie in condizioni meno critiche, la presenza di una condizione di non autosufficienza può rappresentare un fattore di impoverimento. Che servano più risorse è evidente, ma è molto complesso definirne le fonti e la reale capacità del paese di metterle a disposizione, in tempi sufficientemente rapidi. In tempi più veloci, è possibile investire su percorsi di innovazione che aprano linee di connessione tra famiglie sempre più isolate, riportando il tema della cura dentro una dimensione meno individuale e familiare, e più comunitaria e di legame. Processi di innovazione sociale orientati in questa direzione avrebbero il compito di avviare percorsi di ricomposizione in un sistema di cura sempre più frammentato, dove frammentazione significa isolamento delle persone più fragili, isolamento dei propri familiari, inefficienza nelle risposte, impoverimento delle famiglie. Un terreno abbandonato in cerca di innovatori sociali che credano nell’investimento di legame e di comunità come leva per fronteggiare le sfide che la demografia e la struttura sociale del nostro paese pongono in questi anni.

Dalla rivista Fondazioni luglio – settembre 2024