Editoriale di Giorgio Righetti
per Fondazioni giugno 2024
Generazione X, Generazione Y, Generazione Z. Poi si ripartirà dalla Generazione A, in una sequenza senza soluzione di continuità che dovrebbe interrogarci sull’inutilità dell’affannoso tentativo di etichettare le generazioni che, da che mondo è mondo, tutto sommato, sono e saranno sempre le stesse. Certo, cambia il contesto, cambiano gli eventi, cambiano le tecnologie, cambiano i costumi, cambiano le circostanze. Ma, se alzassimo un pò lo sguardo dal nostro ombelico, che ci porta a pensare che il mondo in questo momento stia vivendo una fase epocale solo perché, afflitti da narcisismo cronico, lo diciamo noi che questo momento lo stiamo vivendo, allora ci accorgeremmo che, in fondo, le generazioni hanno medesimi desideri, medesime ambizioni, medesime aspirazioni. Valga, per tutti, un istantaneo richiamo a Giacomo Leopardi che, nei suoi pensieri e aforismi scritti tra il 1817 e il 1832, poi raccolti nella pubblicazione postuma dello Zibaldone, richiamava, con fare canzonatorio “Qui in Italia è voce e querela comune che i mezzi tempi non vi son più […]”, alludendo alla fine delle mezze stagioni. Si diceva che, dopo la pandemia, nulla sarebbe stato come prima. A me sembra, invece, che tutto sia come e più di prima: ricordavo, a chi sosteneva questa tesi, che dopo la prima guerra mondiale, dopo poco più di venti anni, ce ne fu un’altra di gran lunga più devastante, a testimonianza del fatto che, purtroppo, la storia si ripete uguale a sé stessa e che l’essere umano è del tutto incapace di imparare dai propri errori che, anzi, semmai, ripete ancora con maggiore competenza.
“Se alzassimo lo sguardo dal nostro ombelico, che ci porta a pensare che il mondo in questo momento stia vivendo una fase epocale solo perché, afflitti da narcisismo cronico, lo diciamo noi che questo momento lo stiamo vivendo, allora ci accorgeremmo che, in fondo, le generazioni hanno medesimi desideri, medesime ambizioni, medesime aspirazioni”
Mi rendo conto che, a oltre metà del mio breve intervento, non ho detto ancora nulla di intelligente sulle generazioni. Allora proverò a richiamare l’attenzione su un aspetto: la generazione è un espediente pratico per fare “a fette” i problemi e affrontarli separatamente. È una sorta di segmentazione di marketing che, peraltro, mi dicono essere oramai pratica desueta anche in questo campo, di cui in me rimangono solo le reminiscenze dei miei studi. Allora, dovremmo forse liberarci di questi strumenti classificatori, per accorgerci che, scalfendo la superfice dei nostri limiti, sotto ritroveremmo sempre e soltanto l’essere umano, con le sue pulsioni e i suoi sentimenti. L’essere umano è e deve essere al centro dell’attenzione di chi, per dovere o vocazione, intende occuparsi dell’interesse generale, ricordando sempre che il bene collettivo passa attraverso il benessere dell’individuo nel corso della sua intera esistenza, nei limiti della salvaguardia del benessere altrui. Dell’individuo, perciò, dovremmo sempre e solo occuparci, ampliandone diritti ma anche responsabilità, e agire affinché sia a tutti riconosciuto quel diritto al perseguimento della felicità, che i padri fondatori degli Stati Uniti d’America inserirono nella Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776. Principio che Gaetano Filangieri, filosofo napoletano che intrattenne una lunga corrispondenza con Benjamin Franklin, chiarì nella monumentale opera La scienza della Legislazione (1780): “Nel progresso concreto del sistema di leggi sta il progredire della Felicità nazionale, il cui conseguimento è il vero fine del Governo, che lo consegue non genericamente ma come somma di Felicità dei singoli individui
Dalla rivista Fondazioni giugno 2024