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Dalle idee alla realtà, i giovani cambiano la città

Dal 2018, a Parma, si raccolgono e realizzano le idee che i giovani dai 18 ai 35 anni vogliono mettere in pratica sul territorio con e per la comunità. È un'iniziativa di Fondazione Cariparma, si chiama Think Big

L’espressione “pensare in grande” viene utilizzata spesso quando si parla con i più giovani. A loro si chiede di non porsi limiti e di pensare fuori dagli schemi, gli si dice che volere è potere e che nulla è veramente impossibile.

Quando ci si scontra con la realtà, però, si scopre che di ostacoli ne esistono molti e che accedere a risorse e competenze, che permettano di avere un impatto reale sul mondo, non è sempre così semplice. Pensare in grande, insomma, è possibile, ma garantire spazi, ascolto e risorse per realizzare le proprie idee è complesso e richiede una visione chiara, una fiducia solida nei propri interlocutori e anche una buona dose di coraggio.

Questi elementi emergono in maniera chiara in “Think Big”, la chiamata alle idee lanciata nel 2018 da Fondazione Cariparma e la Libera Università dell’Educare, dopo anni di collaborazione tra le due organizzazioni sul tema dell’educazione e della formazione dei giovani nel territorio di Parma e della sua provincia. Think Big, arrivata ormai alla terza edizione, si rivolge sempre a gruppi informali – cioè non già organizzati in associazioni – di giovani tra i 18 e i 35 anni che vivono, lavorano o studiano sul territorio di Parma o in provincia, con l’obiettivo di finanziare le loro idee e aiutarli a realizzarle con oltre un anno di accompagnamento. Nel corso degli anni sono arrivate proposte di ogni tipo, dalla realizzazione di app a percorsi di formazione, da progetti artistici e culturali a quelli dedicati all’ambiente e alla rigenerazione urbana e dei borghi. Per realizzare queste idee Fondazione Cariparma e LudE hanno lavorato molto e in sinergia. «Con LUdE avevamo collaborato in passato, in particolar modo con il progetto “Cantiere Educare” che ha avuto 3 edizioni» ci dice Donatella Aimi, vicedirettrice generale e responsabile dell’Area Interventi istituzionali di Fondazione Cariparma. «La forza della nostra collaborazione viene anche dalla capacità che abbiamo avuto di fermarci, riflettere e ricostruirci dopo alcune esperienze». Per Think Big il tempo della riflessione e del confronto è stato particolarmente importante: «Think Big è arrivato come un terremoto a sconvolgere e mettere in discussione tutte le nostre certezze – continua Aimi -. LUdE ci ha supportato moltissimo, perché per noi si è trattato di un grande cambiamento del nostro modo di operare in termini erogativi e di rendicontazione. Con questa iniziativa, infatti, ci siamo messi davvero in gioco provando a realizzare qualcosa di diverso e accessibile per tutti i giovani del territorio».

Lo esprime benissimo anche Michele Gagliardo, che non è solo membro del direttivo di LudE, ma anche responsabile nazionale per la formazione di Libera. «Nella retorica siamo tutti d’accordo che bisogna dare più opportunità ai giovani. Chi si opporrebbe a tale idea? Ma nella pratica le cose vanno diversamente. Ancora oggi il 70% dei progetti pubblici vedono i giovani come destinatari di percorsi di socializzazione, aggregazione e informazione. Noi vogliamo e dobbiamo riconoscere ai giovani un ruolo sociale e fornire gli strumenti necessari perché possano assumere, invece, un ruolo da protagonisti ». Con Think Big, la Fondazione si impegna non solo ad ascoltare le idee proposte ma a valutarle seriamente e a contribuire alla loro realizzazione, stanziando 500mila euro ogni edizione. Alla prima chiamata del 2018 arrivarono 70 proposte da circa 300 partecipanti, un successo che si è confermato nella seconda e terza edizione. Think Big, però, non è solo una chiamata di idee: «Noi crediamo che l’economia possa costruire relazioni e non sia solo competizione – afferma Michele Gagliardo -, per questo abbiamo reso centrali nel progetto i momenti e gli spazi di condivisione». La chiamata di idee, infatti, non è solo una raccolta di proposte. Infatti, dopo una prima scrematura, che avviene in base all’ammissibilità dei progetti, si crea un momento di apertura e condivisione con le proposte giudicate ammissibili, che vengono votate online dalla popolazione, permettendo alla proposta più votata di entrare immediatamente nella shortlist dei progetti finanziabili. «Nella prima edizione hanno votato 37mila persone» ci dicono Aimi e Gagliardo, sottolineando quanta partecipazione ci sia stata anche dalla community online. Dopo la votazione entra in gioco la Commissione valutatrice che seleziona e pubblica le idee finanziabili che si ritrovano tutte insieme all’“Idea camp”. Si tratta dello spazio che permette di costruire relazioni e collaborazioni tra i gruppi che trascorrono insieme due giornate per confrontarsi, discutere e provare a mettere in pratica le loro idee partendo dalla redazione degli studi di fattibilità. I partecipanti sanno che non tutti i progetti presenti all’Idea camp verranno poi effettivamente finanziati, ma hanno una grande occasione per mettersi alla prova. «Si sono creati gruppi di lavoro sulle idee presentate, i partecipanti si scambiavano consigli, suggerimenti e alla fine è successo che qualcuno dei ragazzi che ha avuto accesso al finanziamento abbia coinvolto altri che invece non lo avevano ottenuto» conclude Gagliardo.

“Siamo tutti d’accordo che bisogna dare più opportunità ai giovani. Ma nella pratica le cose vanno diversamente.
Ancora oggi il 70% dei progetti pubblici vedono i giovani come destinatari di percorsi di socializzazione, aggregazione e informazione. Noi vogliamo e dobbiamo riconoscere ai giovani un ruolo sociale e fornire gli strumenti necessari perché possano assumere, invece, un ruolo da protagonisti”

Le relazioni non si sono costruite solo tra i ragazzi, come ci racconta con emozione e orgoglio Donatella Aimi: «Se parliamo di rapporti tra le generazioni, possiamo citare dei progetti che hanno trattato il tema con una delicatezza, un garbo e una sensibilità mai visti prima», come B.R.A.C.I. (Brevi Ricordi Antichi Creano Immagini), uno dei primi progetti sostenuti che ha permesso a tre giovani ragazze di viaggiare in otto piccoli paesi della provincia di Parma per incontrare persone e raccogliere oggetti che potessero innescare racconti di vita. «I figli degli anziani raggiunti sono stati “costretti” a portare i genitori in città a vedere la mostra frutto del lavoro delle ragazze, cosa che non avevano mai fatto prima! Con B.R.A.C.I. è stato trovato un metodo di ingaggio che funziona benissimo con persone che spesso rimangono recluse in casa e per le quali siamo sempre in cerca di soluzioni e modi per attivarle». Oltre all’orgoglio e alla vicinanza a questi progetti, si coglie anche la volontà di fare passi avanti. «Sarebbe importantissimo se anche le amministrazioni pubbliche volessero partecipare per rendere ancora più forte l’impatto di questa iniziativa». Impatto che ha funzionato anche all’interno della Fondazione stessa: «Noi come Fondazione abbiamo imparato molto da Think Big e anche il Piano Strategico 2024-2027 ne è stato influenzato: vogliamo semplificare alcuni processi, per rendere meno complesso l’accesso alle risorse e strutturarlo nel miglior modo possibile».

I progetti di Think Big, effettivamente, continuano a lavorare: su 36 finanziati, 32 sono ancora attivi, con un’età media di 26 anni dei partecipanti. Un risultato eccezionale considerando anche che sia la prima che la seconda edizione si sono incrociate con il periodo della pandemia, che ha di certo reso ancora più complessi tutti i processi. Ce lo racconta Isabella Prealoni del progetto “Cinemino itinerante”, che ha partecipato alla prima edizione di Think Big: «Io avevo avuto la fortuna di vivere e studiare cinema in Argentina per qualche anno e ho scoperto un modo bellissimo di fare arte di strada. Una volta tornata in Italia, questa esperienza ha alimentato la volontà di creare delle alternative alle multisale e al cinema mainstream. Quando è arrivata la chiamata di Think Big abbiamo subito pensato a un cinema dentro un furgone. Per questo, abbiamo recuperato un vecchio scuolabus e abbiamo montato tutto il necessario per fare delle proiezioni interne». Un progetto che ha fatto nascere una vera e propria comunità: «Adesso abbiamo degli affezionati che ci seguono anche quando ci spostiamo. I biglietti sono gratuiti perché il nostro obiettivo è proprio rendere il cinema accessibile, ma il confronto con le persone inizia già da quando arriviamo nei luoghi per allestire, quando scendono a vedere cosa stiamo facendo. Le relazioni si costruiscono prima, dopo e durante le proiezioni»

Think Big dimostra che le buone idee hanno bisogno di sostegno reale e concreto e possono avere un impatto anche maggiore di quello preventivato”

Essere itineranti è una caratteristica che torna spesso nei progetti incontrati. Sembra emergere una consapevolezza di dover raggiungere i luoghi e le persone piuttosto che il contrario. Succede anche con “Panes”, il progetto che ci ha raccontato Fabio Amadei e che si è strutturato grazie a Think Big e anche grazie alla pandemia: «Con il lockdown era esplosa la passione per la panificazione. Io insegno alla Scuola Internazionale di Cucina Italiana ALMA e, come tante persone, mi sono cimentato nel periodo passato a casa, chiedendomi come mantenere viva questa passione. Con Think Big, abbiamo pensato a un progetto che potesse organizzare dei laboratori. Panes ha rischiato di non nascere però, perché, a causa della pandemia, non potevamo uscire per vedere degli spazi. Silvia Macchi, che è stata vice-presidente dell’associazione, ci ha spinti a non mollare ed è arrivata l’idea di una ape-car». Di nuovo, un mezzo per portare i progetti in luoghi dove difficilmente le persone avrebbero potuto accedervi. Come per altre storie, è bello notare che anche un’iniziativa apparentemente “piccola” possa generare un impatto grandissimo, a volte anche difficile da misurare. L’esempio che ci propone Fabio Amadei è chiarissimo: «Qualche tempo fa abbiamo realizzato un laboratorio sulle empanadas con una signora argentina che vive da 40 anni a Parma. Ogni volta che tiriamo fuori una ricetta non solo stiamo recuperando un’eredità culturale, ma stiamo raccontando anche le storie di persone che vengono da tutto il mondo. Noi ci prendiamo circa tre ore per i laboratori, non solo per mettere le mani in pasta, ma anche per conoscerci e costruire delle relazioni ». La S di Panes, infatti, non è lì a caso: «Serve a ribadire il senso di pluralità che vogliamo portare, sia come concetto sia come prodotto, perché per noi non c’è differenza tra la micca di Parma o il tapalapa senegalese. Noi vogliamo che tutti possano raccontare la loro storia, la loro visione di Parma e del cibo».

Think Big dimostra che le buone idee hanno bisogno di sostegno reale e concreto e possono avere un impatto anche maggiore di quello preventivato, «Una storia locale che potrebbe avere interpretazioni originali anche altrove» dice Michele Gagliardo. Parma è candidata ad essere Città Europea dei Giovani per il 2027 e allora, se c’è da pensare in grande, sarebbe affascinante farlo a livello europeo

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Vertical farming education

 

Vertical Farming Education” è un progetto nato grazie al finanziamento della seconda edizione di Think Big. Prevede lo sviluppo e la realizzazione di laboratori scolastici innovativi per sensibilizzare i più giovani sull’impatto ambientale delle nostre abitudini alimentari. L’idea è nata da Guido Medici, Lorenzo Franchini e Alessandro Russo Montecchio, che condividevano l’interesse per il “vertical farming”, ovvero la tecnica di coltivazione fuori suolo su più livelli (grazie ad appositi LED) , che ha l’obiettivo di massimizzare le produzioni di cibo in spazi limitati, ben diversi dai terreni agricoli tradizionali. Con l’uscita del bando, però, i ragazzi capiscono che il centro del loro progetto può diventare l’acqua e il concetto di impronta idrica che, grazie al vertical farming, può essere spiegata in un modo coinvolgente e pratico agli studenti. Tramite i laboratori, infatti, i ragazzi di scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado possono comprendere al meglio il concetto di “impronta idrica” e vedere con i loro occhi il funzionamento di una filiera produttiva. «La nostra strategia è: proporre strategie – spiega Alessandro -. Non andiamo nelle scuole a spiegare che la carne consuma troppa acqua e non si può mangiare, ma cerchiamo di dare strumenti per responsabilizzare i ragazzi e fargli capire in maniera chiara e diretta l’impatto dell’alimentazione sull’ambiente». Dall’inizio del progetto sono stati coinvolti oltre 3500 studenti di 145 classi in 41 scuole primarie e secondarie di primo grado tra Parma e Milano. Oltre alla strumentazione pratica che permette di coltivare su una vera vertical farm, monitorando la crescita della coltura e il relativo consumo idrico, il progetto offre materiale didattico e strumenti laboratoriali per accompagnare l’attività di coltivazione, supportando i docenti con un ciclo di formazione. L’associazione di promozione sociale Vertical Farming Education, inoltre, coinvolge anche i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado, chiedendogli di riflettere sulla provenienza degli alimenti che si trovano sulle loro tavole e sull’importanza di diventare consumatori consapevoli, per poi trasformare le conoscenze acquisite in progetti “green” utili alla comunità.

Dalla rivista Fondazioni giugno 2024