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Il complesso del suddito

Editoriale di Giorgio Righetti, direttore generale Acri
per Fondazioni giugno 2022

Dalle mie reminiscenze del secolo scorso, riaffiora un brano studiato al liceo, tratto da un testo di Peter Weiss e che l’antologia titolava “Il complesso del suddito”, il quale faceva riferimento all’attitudine del popolo tedesco ad ubbidire, atteggiamento che aveva prodotto, tra le ultime, le aberrazioni del nazismo. Nonostante le mie assidue ricerche, non sono purtroppo riuscito a recuperarlo; ma il messaggio in esso contenuto rimane vivido nella mia mente. Nel trattare il tema della cittadinanza, può essere utile contrapporvi, pertanto, proprio la condizione del suddito, al fine di meglio evidenziarne il significato e il contenuto. Si è sudditi quando, volendo sintetizzarne i tratti più evidenti, non si hanno in primo luogo diritti da vantare e quando, in secondo luogo, non si dispone di alcuna possibilità di partecipare ai processi decisionali che riguardano la comunità di cui si è parte. C’è, conseguentemente, una totale deresponsabilizzazione rispetto alle sorti collettive, presenti e future. ù

Si è, al contrario, cittadini quando si possono far valere dei diritti e, al tempo stesso, ci si assume dei doveri nei confronti della collettività; si è cioè responsabili, perché si partecipa, nelle forme previste dalle norme che regolano il rapporto tra l’individuo e la collettività, alle sorti della stessa. Ora, negli ultimi tempi abbiamo assistito a una tendenza, che si è insinuata quasi impercettibilmente, ma progressivamente, nelle democrazie di gran parte del mondo, a mettere in discussione il valore dell’essere cittadini e alla morbosa fascinazione, quasi da sindrome di Stoccolma, nei confronti dell’essere sudditi. Ne abbiamo un’infinità di esempi: dall’attrazione verso l’“uomo forte” che conquista per la sua presunta capacità decisionale, che altro non è, invece, che semplice abuso (come ad esempio quella che in molti, troppi, hanno nutrito e nutrono per una figura come quella di Vladimir Putin), alle “truppe” trumpiane scagliate contro il Congresso statunitense, alle sempre più contenute percentuali della partecipazione elettorale. E si potrebbe continuare a lungo.

Si assiste, di fatto, a una crescente disponibilità a rinunciare alle proprie prerogative di cittadini nella componente passiva, quella dei diritti, per potersi disfare della componente attiva, cioè quella dei doveri o, per meglio dire, della responsabilità e della partecipazione, che probabilmente è considerata troppo gravosa. Essere cittadini non è mestiere facile, perché comporta impegno nel dedicare tempo e attenzione all’interesse generale, coraggio nel rivendicare il rispetto di diritti esistenti o l’introduzione di nuovi, sensibilità nei confronti dei più fragili, che non sono in grado di farli valere o che, addirittura, neppure li conoscono. Il complesso del suddito sembra, pertanto, riaffiorare e riaffermarsi nelle nostre democrazie, che mostrano evidenti segni di momentanea fragilità. Tuttavia, parafrasando Giovanni Falcone, come tutti i fatti umani, anche questo periodo di difficoltà, così come ha avuto un inizio, avrà una fine, e la voglia di partecipazione e di responsabilità troveranno nuovi spazi e nuove opportunità per esprimersi.