Delphine Moralis è CEO dell’European Foundation Centre, la piattaforma leader per la filantropia in Europa che conta 233 tra associati ed affiliati in 32 diversi paesi. Prima donna a ricoprire questa posizione, ha molti anni di esperienza internazionale alla guida di associazioni e organizzazioni europee come Terre des Hommes International Federation e Missing Children Europe. Ecco la sua intervista per “Dialoghi sull’uguaglianza”.
Cosa significa per lei “Uguaglianza”?
Per noi dell’EFC e per me personalmente, uguaglianza dovrebbe essere prima di tutto uguaglianza di opportunità. Tuttavia, stiamo assistendo a un’evoluzione del concetto stesso di uguaglianza verso un quadro più ampio e completo che comprende diversità, giustizia e inclusione. Questa evoluzione supera il concetto esclusivo di uguaglianza di opportunità concentrandosi maggiormente sul garantire equità nell’ottenimento dei risultati, ed è qualcosa alla quale siamo molto interessati. Dobbiamo riconoscere che le persone non partono dalle stesse condizioni socio-economiche. È importante quindi tenere conto delle differenti difficoltà che le persone devono affrontano e creare una condizione sociale di equità di trattamento, indipendentemente dalla loro posizione di partenza.
Quali sono le sfide più importanti da affrontare in Europa per il contrasto alle disuguaglianze?
Ce ne sono molte ed è difficile dare una risposta esaustiva a questa domanda. Penso che ci siano ancora ampie disuguaglianze tra gli Stati membri dell’UE, e internamente agli stessi Stati. La prima che mi viene in mente è la disparità di reddito. Se guardiamo ai dati, vediamo che, nell’ultimo anno, oltre il 20% della popolazione totale era a rischio di povertà, e questi dati sono antecedenti alla pandemia. Sappiamo anche che questa disparità di reddito ha colpito gruppi specifici di persone, ad esempio: famiglie monoparentali, migranti e bambini che sono a maggior rischio di povertà o inclusione sociale rispetto agli adulti in età lavorativa o alle persone anziane.
Un altro grande problema è la disuguaglianza di genere. Se negli ultimi anni ci sono stati alcuni miglioramenti – c’è stato un aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, una diminuzione del divario retributivo di genere – ci sono comunque ancora tante sfide da affrontare su questo tema. La pandemia ha aggravato uno scenario in cui le donne sul lavoro sono spesso sottovalutate, incontrano ostacoli all’avanzamento di carriera, scontano una grande disparità di reddito e rischiano maggiormente di finire in condizioni di povertà con l’avanzare dell’età. Inoltre, in molti casi, le donne si scontrano con la difficoltà di conciliare la vita lavorativa con la vita privata, costringendole spesso a una scelta esclusiva. Pertanto, c’è ancora molto lavoro da fare riguardo alla parità di genere.
Infine, c’è la questione del razzismo, che abbiamo visto essere una dura realtà, come segnalato molto chiaramente dalle recenti manifestazioni di Black Lives Matter. Abbiamo anche dati della FRA (l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali) che evidenziano come una porzione significativa di persone di origine africana, che vive nel nostro continente, sia vittima di episodi di razzismo, molestie e violenza, anche da parte della polizia. Questo evidenzia la natura sistemica di questa disuguaglianza e la mancanza di risorse per mitigare il problema.
Ma ci sono molte altre forme di disuguaglianza in Europa, per le persone con disabilità e per le comunità rom, per esempio. Ciò che ci preoccupa è che tutte queste forme di disuguaglianza sono aumentate a causa della pandemia. Infine, è importante capire che tutte queste forme di disuguaglianza sono fortemente interconnesse e, per questo, è fondamentale esaminarle in modo sistemico e globale.
In Italia e in Europa la pandemia ha colpito particolarmente i più piccoli, privati della scuola in presenza e delle attività extracurriculari. Come si può garantire che l’emergenza odierna non crei disuguaglianze maggiori in futuro?
Provenendo da un settore che si occupa di diritti dei bambini, sono rimasta sconvolta nel constatare quanto la pandemia abbia influito sui bambini di tutto il mondo, compresa l’Europa. Se osserviamo il fenomeno su scala globale, si vede che la pandemia ha colpito duramente i più piccoli in termini di reddito, sicurezza alimentare e possibilità di ricevere cure adeguate.
In particolare per i bambini colpiti dai conflitti: 13 milioni di ragazze e ragazzi provenienti da zone di guerra sono stati colpiti in modo drammatico dalla pandemia.
Poi c’è il tema dell’educazione: già nel 2019, prima della pandemia, si contavano 1,5 miliardi di bambini nel mondo che non andavano a scuola. Quest’ anno la situazione è peggiorata e avrà un impatto a breve termine, perché ai ragazzi mancherà la scuola come spazio, e a lungo termine, perché saranno privati di una buon percorso educativo.
Inoltre, c’è stato un aumento della violenza in tutta Europa e nel mondo, compresa la violenza sessuale; i matrimoni infantili sono in aumento a livello globale insieme alle mutilazioni genitali femminili, alle peggiori forme di lavoro minorile e altro ancora.
Forse, rispetto a questa crisi sanitaria, non ci si preoccupa prioritariamente dei bambini, ma sono stati colpiti in modo terribile. Fortunatamente vediamo che le Fondazioni considerano questo tema come prioritario, molti dei nostri membri stanno investendo per garantire una buona istruzione agli studenti. Abbiamo anche una rete tematica che si è occupata molto delle conseguenze sui bambini della pandemia, in particolare per il settore educazione.
Penso che sia importante guardare a questo problema da un punto di vista globale e interconnesso. Dobbiamo pensare, per esempio, ai bambini con disabilità, che sono particolarmente colpiti dall’incapacità di ricevere cure e di andare a scuola.
Penso che sia anche molto importante ricordare i principi della convenzione sui diritti del bambino, in particolare l’articolo 12 dove si legge che i bambini devono poter “esprimere liberamente la loro opinione su ogni questione che li interessa”. Molte decisioni sulla vita dei bambini sono prese invece senza consultarli, e anche questo avrà effetti di vasta portata. Quindi, credo che sia importante cercare di tutelare il diritto allo studio e ad un’educazione adeguata dei bambini, per permettere loro di partecipare alle decisioni chiave che vengono prese sulla loro vita.
Secondo lei, la pandemia ci ha insegnato qualcosa sull’importanza di combattere le disuguaglianze?
Assolutamente sì. Una delle cose che abbiamo sentito abbastanza spesso in questo periodo è che non si dovrebbe lasciare che una crisi vada sprecata, non importa quanto questo suoni duro. Abbiamo visto che tra i membri dell’EFC c’è stata una grande reazione. Nel contesto della pandemia, i membri dell’EFC hanno costruito nuove collaborazioni con i loro beneficiari, lavorando in un modo differente rispetto al passato. Hanno coinvolto maggiormente i beneficiari nel processo di progettazione, alcuni di loro hanno stimolato la partecipazione dei giovani nella loro governance, hanno modificato il funzionamento dei cicli di sovvenzione, operando molto più su una base di fiducia e dialogo e dando vita a tante nuove fondazioni di comunità.
Ma è successo anche altro: tutti si sono dovuti adattare al lavoro da casa, in un modo che forse non ci saremmo aspettati. Questo ha letteralmente fatto apparire la diversità sui nostri schermi. Abbiamo visto persone prendersi cura di bambini o anziani anche mentre lavoravano, rivelando elementi essenziali della loro vita. Ma ci siamo adattati e spero che questo possa contribuire a fornire più equità e a comprendere meglio la diversità.
Quale ruolo può svolgere l’EFC nell’affrontare le disuguaglianze in Europa?
È un tema centrale nel nostro lavoro. EFC è un’associazione che unisce enti filantropici che hanno strumenti molto potenti per affrontare le disuguaglianze. Dalle sovvenzioni ai progetti, dagli investimenti alla creazione di reti e anche, in particolar modo, il sostegno non finanziario che i nostri membri possono offrire.
Come EFC, abbiamo una serie di iniziative che sosteniamo e che sono dirette a contrastare le disuguaglianze. Abbiamo network sull’uguaglianza di genere, sulla diversità, l’uguaglianza e l’immigrazione e uno specifico sulle disabilità. Questi network consentono ai nostri membri di condividere esperienze e di imparare gli uni dagli altri in un ambiente sicuro. I network, inoltre, consentono ai nostri membri di produrre raccomandazioni in base agli scambi che hanno avuto. All’interno della rete di genere, ad esempio, abbiamo recentemente pubblicato una serie di esperienze e raccomandazioni sull’integrazione strutturale della dimensione di genere nelle organizzazioni, nelle loro politiche, nelle loro pratiche, nella loro cultura. Un altro esempio è il nostro network sulla disabilità che ha recentemente prodotto un documento con le migliori pratiche sull’organizzazione di eventi accessibili. Questa è una grande opportunità di apprendimento per molti di noi. Le reti tematiche sono un ottimo esempio del nostro lavoro sull’uguaglianza.
Abbiamo anche comunità di pratiche, a un livello più orizzontale, che lavorano per affrontare le questioni legate alla DEI (diversità, equità e inclusione). Ce n’è uno in particolare dei professionisti delle risorse umane, che si incontrano regolarmente e discutono di questo tipo di argomenti. Hanno anche fornito degli elaborati sul tema del “leaving no one behind”, con un focus specifico sulla disabilità.
Infine, penso che, anche a livello del nostro sistema, sia in corso un dibattito sulle dinamiche di potere nelle organizzazioni e nella filantropia, che si alimenta sempre di più. Questo è un tema chiave da affrontare se si vogliono contrastare le disuguaglianze. Penso che equità, inclusione, e diversità siano le mete da raggiungere. Dovremmo continuare a guardare onestamente a noi stessi, alla composizione delle nostre organizzazioni, a chi sta prendendo decisioni, a come queste decisioni vengono prese e come possiamo migliorare il modo in cui incorporiamo diversità, equità e inclusione in tutto ciò che facciamo.
La collaborazione fra pubblico e privato è utile al contrasto delle disuguaglianze? Come?
Assolutamente sì. Penso che le collaborazioni multidisciplinari siano essenziali per affrontare le disuguaglianze sistemiche. La collaborazione tra settori è la via da seguire per costruire forme di uguaglianza interconnesse ed intersezionali. Dal punto di vista delle fondazioni, vediamo e che la collaborazione tra settore pubblico e privato può rafforzare i valori e il cuore delle democrazie pluralistiche, facendo emergere e affrontando insiem ele disuguaglianze. Crediamo davvero che la filantropia abbia un ruolo chiave da svolgere nel colmare i divari stimolando la collaborazione per raggiungere obiettivi comuni.
In uno degli eventi che organizziamo annualmente all’interno dell’EFC, l’EuroPhilantopics, uno dei relatori, l’ex commissario Carlos Moedas, ha di recente lanciato un appello per il passaggio dal multilateralismo al polilateralismo. L’obiettivo è di riunire le diverse aree delle parti interessate, non solo i governi, ma anche tutte le altre persone, entità e settori coinvolti, in modo da poter risolvere insieme i problemi. Questi settori non devono operare in compartimenti stagni ma confrontarsi per mettere a frutto il grande potenziale che c’è nella contaminazione, nella condivisione di risorse, nella condivisione di conoscenze e di competenze. Per noi, questo è davvero al centro di ciò che la filantropia ha da offrire.
Oggi vediamo spesso sentimenti di rabbia e antagonismo nella nostra società. Come possiamo raggiungere l’uguaglianza in un contesto pieno di così tanto risentimento?
Credo che il cuore della questione sia l’empatia, il dialogo e la costruzione ponti. Recentemente abbiamo assistito all’anniversario della nascita di Martin Luther King e ho letto una citazione che penso risponda bene a questa domanda: “Le persone non vanno d’accordo perché hanno paura l’una dell’altra. Hanno paura l’uno dell’altro perché non si conoscono e non si conoscono perché non hanno mai comunicato tra loro”. Penso che dica così tanto anche su ciò di cui abbiamo bisogno oggi: leader che si uniscano, che costruiscano sulla conoscenza e sul dialogo piuttosto che sulla paura.
E, ancora, penso che la filantropia possa contribuire a far sì che ciò accada. Molto di ciò che facciamo nell’ambito della filantropia è contribuire a costruire una società che enfatizzi la solidarietà, il dialogo aperto e che cerchi di creare pari opportunità, anche attraverso la cultura, che è un linguaggio che consente una comprensione reciproca e aiuta a unirci. Se guardo alla grande solidarietà dimostrata in Europa durante la pandemia, sono abbastanza fiduciosa.
In che modo l’Unione europea contribuisce alla riduzione delle disuguaglianze tra e all’interno degli Stati membri?
Penso che l’ambizione dell’UE sia guardare a un’economia che funzioni per le persone, a una transizione verde, a un’Europa digitale. Queste innovazioni hanno il potenziale per affrontare le disuguaglianze. Dal punto di vista dell’EFC, non vediamo l’ora di sostenere gli sforzi europei che sono all’ordine del giorno, per assicurarci di creare un’Europa in cui i valori che ci uniscono sono al centro del processo decisionale.