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La prima donna a dirigere i laboratori nazionali del Gran Sasso | Lucia Votano

Intervista a Lucia Votano, fisica per la rivista Fondazioni ottobre 2019

Nel mondo sono meno del 30% le donne che scelgono una carriera professionale nel settore della ricerca scientifica. Lo spiega l’Unesco, che nelle ultime statistiche evidenzia una percentuale piuttosto bassa di quote rosa impiegate nelle professioni scientifiche. «Purtroppo ci sono ancora ritardi culturali, più subdoli che espliciti, e un insufficiente supporto alle donne e alle mamme che molto penalizzano le ricercatrici». Lo spiega Lucia Votano, fisica italiana, prima donna chiamata a dirigere i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il più grande laboratorio sotterraneo del mondo. Al momento impegnata nel progetto JUNO nella Cina meridionale, Lucia Votano è stata membro dello Strategy Group del CERN e dello Scientific Advisory Committee di APPEC ed è autrice di più di 300 articoli scientifici su riviste internazionali e libri a carattere divulgativo, tra cui il suo ultimo “La via della seta. La fisica da Enrico Fermi alla Cina”, Di Renzo editore.

Lei ha iniziato il suo percorso di studi in fisica a metà degli anni 60, quando in Italia le donne lottavano ancora per affermare i loro diritti e ha scelto un settore prevalentemente maschile. Una scelta coraggiosa la sua, è stata la passione per la fisica che l’ha spinta a compiere questo passo?

Sono stata educata all’amore verso la cultura e la lettura, al rispetto della scuola, senza che l’essere donna incidesse nell’atteggiamento dei miei genitori nei miei confronti. Credo di essere stata influenzata da mio padre che da medico radiologo mi spiegò, con grande trasporto, l’importanza della scoperta del DNA. Ho però sentito affermare che la scelta delle donne di iscriversi alle facoltà scientifiche è molto condizionata dall’atteggiamento della madre e, in effetti, ripensandoci ricordo che la mia rimpiangeva che i suoi genitori non le avessero fatto proseguire oltre i quattordici anni gli studi, nonostante fosse molto brava soprattutto in matematica.  Sulla mia scelta definitiva ha infine pesato anche una giovane supplente, alla quale mi ero rivolta per prendere lezioni private di matematica e fisica. Quest’insegnante riuscì ad appassionarmi, mi fece capire che la fisica non era una sequenza di leggi da imparare, ma un percorso di ricerca verso la conoscenza della struttura ultima della realtà.

Inoltre lei arriva dal Sud, dove – soprattutto in passato – il percorso dell’emancipazione femminile ha stentato ad affermarsi come nel resto del Paese. È stata vittima di pregiudizi durante il suo percorso? La sua famiglia l’ha sostenuta in questa scelta?

Sicuramente ho avuto il sostegno della famiglia nella scelta di iscrivermi a Fisica, anche se mia madre era molto perplessa nel lasciarmi andar via di casa ad appena diciassette anni; tuttavia facendo leva sull’amore per la scienza di mio padre, e con il suo aiuto, riuscii a convincerla. Ho inoltre avuto la fortuna di vivere la mia giovinezza negli anni ’60, un decennio caratterizzato dal più grande rinnovamento culturale, generazionale e dei costumi della nostra storia più recente, in cui l’attuale modernità ha preso forma. Sin dai tempi dell’università e poi in seguito lungo l’arco della carriera, come donna, sono stata sempre in minoranza, ma questo in realtà non mi ha creato alcun imbarazzo. Nel mondo della ricerca scientifica pesano competenza, autorevolezza, intelligenza e creatività individuali. Non che manchino le discriminazioni, ma spesso sono più subdole che manifeste, saltano agli occhi guardando i dati che mostrano chiaramente una minore presenza femminile nelle posizioni apicali. Il clamore intorno alla mia designazione nel 2009 a Direttrice dei LNGS ne è una testimonianza. Il mio essere donna non mi ha creato alcun problema nel ruolo che ricoprivo: mi sono sentita valutata positivamente o contrastata soltanto per quello che facevo; anzi, forse la mia natura mi ha fornito un aiuto nell’interazione con le persone.

È stata la prima donna a dirigere i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dal 2009 al 2012, come sono stati quegli anni?

Sono stati anni sicuramente molto faticosi, di totale immersione nel lavoro ma anche pieni di risultati scientifici di grande rilievo. Il mestiere di direttore dei LNGS è totalizzante, stante la molteplicità e complessità delle funzioni da svolgere. È anche doveroso ricordare che ho iniziato il mandato appena pochi mesi dopo il disastroso terremoto che aveva colpito l’Aquila, causando 308 morti e devastando oltre al territorio anche la vita sociale ed economica della città. La maggior parte dei dipendenti dei Laboratori, così come gli abitanti dell’Aquila, avevano dovuto abbandonare le proprie abitazioni sistemandosi in alloggi precari. Gli edifici esterni dei LNGS erano tra i pochi a essere rimasti agibili nel territorio, tanto che ospitammo a lungo attività didattiche della Facoltà di Fisica, le sedute del Consiglio Comunale e varie istituzioni e associazioni.

Gli investimenti pubblici in Italia sul fronte della Ricerca e dell’Innovazione sono appena l’1,3% del Pil. Pensa sia da attribuire a questa carenza di fondi il fenomeno della “fuga dei cervelli”?

La scienza è universale, si basa su una metodologia e un linguaggio comuni. Non è quindi strano, anzi è auspicabile, che i cervelli possano muoversi liberamente in tutto il mondo. Il problema tutto italiano è che il movimento è sostanzialmente unidirezionale; per ogni italiano che, terminati gli studi o ancora prima, va a lavorare in altri Paesi, non ne entrano altrettanti anche di altre nazionalità attratti da prospettive favorevoli di ricerca o di lavoro.  L’Italia è uno dei paesi sviluppati con il minor numero di ricercatori al mondo. Solo Cile, Turchia e Polonia registrano un dato inferiore a quello italiano. I ricercatori nel nostro Paese sono circa il 4 per mille degli appartenenti alla forza lavoro, mentre la media europea è l’1 per cento e, ad esempio in Korea, l’1,2 per cento.  Sicuramente la causa di tutto ciò risiede nella scarsezza degli investimenti in R&S che è una delle principali cause del nostro declino economico e sociale, mentre al contempo aumentano le disuguaglianze sociali tra i cittadini e tra le diverse nazioni europee. La produzione di nuovo sapere si sta spostando sempre di più in Asia mentre l’Europa perde terreno rispetto ai due attori principali – Stati Uniti e Cina – che proprio per questo sono anche le due maggiori potenze economiche e politiche. Oggi l’Asia detiene il 42% degli investimenti globali in R&S, l’America del nord il 29% e l’Europa solo il 21%. Se l’Europa vuole tentare di fermare il suo declino politico ed economico deve recuperare sul piano della produzione di nuova Conoscenza e lo deve fare in maniera coesa.

Attualmente partecipa nella Cina meridionale, a un grande esperimento di nome JUNO, dedicato alla fisica dei neutrini. Ce ne parla?

Si tratta di un esperimento di ultima generazione per lo studio delle caratteristiche intrinseche dei neutrini, argomento alla frontiera della ricerca internazionale in fisica delle particelle elementari ma anche tra gli astrofisici e i cosmologi. L’apparato sperimentale, al momento in fase di costruzione, sarà operativo entro il 2021 in un nuovo laboratorio sotterraneo in fase di scavo nel sud della Cina. Lo scopo principale è stabilire quale sia l’ordine delle masse dei tre tipi di neutrini conosciuti e di misurare con grande precisione i parametri caratteristici del fenomeno delle oscillazioni, cioè della capacità dei neutrini di trasformarsi tra uno e l’altro dei tre tipi viaggiando nello spazio e nel tempo. L’esperimento rivelerà anche i neutrini solari, quelli che vengono dal profondo della Terra e quelli emessi quando una stella massiccia si spegne. JUNO è una collaborazione internazionale di circa 700 scienziati provenienti da 17 diversi Paesi.

Che cosa consiglierebbe alle giovani donne che vogliono intraprendere oggi la sua stessa carriera? Cosa direbbe loro per incoraggiarle a compiere a seguire le loro passioni?

Durante le conferenze che tengo presso le scuole, mi rivolgo spesso alle ragazze invitandole a essere più sicure delle proprie capacità iscrivendosi a facoltà scientifiche e intraprendendo la via della ricerca, anche se non sarà sempre facile conciliare un mestiere così impegnativo con la vita affettiva e familiare. La nostra società non supporta a sufficienza il lavoro femminile, tanto più quando esso richiede un notevole impegno e un grande dispendio di tempo. Le invito a non avere timore di intraprendere la carriera della ricerca scientifica, perché non ci sono limitazioni “genetiche”, che possano ostacolare il loro impegno, bensì solo residui di una mentalità e di un’educazione ormai superate. È vero, ci sono ancora ritardi culturali, più subdoli che espliciti, e un insufficiente supporto alle donne e alle mamme che molto penalizzano le ricercatrici. Tuttavia, la mia generazione ha dimostrato, in modo non più episodico, che è possibile superare le difficoltà e conciliare l’attività di ricerca con una vita affettiva e familiare piena. Non sarà mai facile, ma il mestiere del ricercatore può essere davvero molto appagante.

Dalla rivista Fondazioni: settembre – ottobre 2019