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Nuovi spazi per contaminare e far germogliare la comunità | Rachele Furfaro

Intervista a Rachele Furfaro, presidente Fondazione Quartieri Spagnoli per Fondazioni febbraio 2020

«La trasformazione della città, la sua possibilità di ridiventare luogo di accoglienza e di benessere, invece che di emarginazione e fragilità sono sfide che riguardano tutti, da cui nessuno può sentirsi esonerato»: lo dice chiaramente Rachele Furfaro, presidente della Fondazione Quartieri Spagnoli di Napoli, che è stata protagonista di un’originalissima operazione di “rigenerazione urbana” nel centro storico di Napoli.

L’espressione “rigenerazione urbana” viene quasi sempre utilizzata in riferimento all’urbanistica. La vostra esperienza testimonia, invece, che per riaccendere una città si parte dalle persone. Com’è nata quest’iniziativa?

“Rigenerazione urbana” è una definizione troppo tecnica, che non rende ragione della molto più complessa e articolata attività, che comprende rifunzionalizzazioni profonde dell’intero tessuto urbano, contrasto alle povertà, alle marginalità, nuovi modelli di welfare, occupazione, partecipazione. L’esperienza di Foqus nei Quartieri Spagnoli è un progetto di riqualificazione urbana inedito che non nasce da una iniziativa pubblica e trova spinta ideativa e investimento iniziale in una scuola, che invece di limitarsi al lavoro di classe decide di investire le proprie risorse per iniziare un progetto di riqualificazione di una parte fragile e problematica di città, indicando così un diverso modo di intendere i perimetri della funzione educativa, per riconsiderare l’ampiezza della cosiddetta “comunità educante”. Foqus ha avviato il recupero e il restauro di un ex monastero di circa 10mila mq, progettando e sostenendo la formazione di giovani e donne verso esperienze di auto-imprenditorialità, creando nuova occupazione e nuove imprese; quindi ha selezionato iniziative e imprese pubbliche e private. Oggi Foqus è una comunità economica e produttiva di una ventina di industrie culturali e creative, un modello di nuovo welfare compartecipativo, che promuove pratiche di networking e coproduzione tra i soggetti insediati, per favorire correlazioni tra competenze e specializzazioni.

La trasformazione della città, la sua possibilità di ridiventare luogo di accoglienza e di benessere, invece che di emarginazione e fragilità sono sfide che riguardano tutti, da cui nessuno può sentirsi esonerato

Cinema, biblioteca, galleria d’arte, ristorante, asilo, formazione, tutoraggio: Foqus è tantissime realtà tutte insieme. Qual è il filo rosso che le lega?

L’elemento che connette ognuna e tutte queste esperienze al progetto comune di Foqus è la determinata, ostinata volontà di costruire, in un quartiere di contraddizioni e fragilità sociale, un autentico luogo di comunità. Nell’epoca dei “non luoghi”, della frantumazione del senso comunitario, farsi luogo, farsi comunità è la sfida da affrontare e su cui misurarsi. C’è infatti bisogno di luoghi in cui pensare e agire collettivamente, in modo trasversale tra generazioni di spazi in cui contaminare saperi, in cui “meticciare” culture. C’è bisogno di contaminazione sociale a tutti i livelli e in tutti i luoghi, soprattutto nelle città, che non riescono più a rispondere alle nuove domande poste da una società in continua e profonda trasformazione.

Avete puntato, in particolare, sui giovani?

Noi siamo partiti dal coinvolgere in modo attivo un centinaio di giovani, accendendo nel loro immaginario il desiderio di “far parte”, di “sentirsi parte” e il piacere di condividere. Si è messo in moto un processo che ha visto i giovani, dopo un periodo di formazione e attraverso un fare concreto, confrontarsi con il mondo del lavoro e partecipare attivamente a tutte le fasi di creazione, progettazione e realizzazione del nuovo spazio. Abbiamo chiesto loro di esprimere i loro desideri sul quartiere e sui percorsi professionali individuali, quindi abbiam avviato percorsi di formazione mirati con tutor nazionali.

Quale impatto ha avuto Foqus sul quartiere e sulla città?

Un gruppo di giovani donne avrebbe voluto aprire un asilo nido nei Quartieri spagnoli, dove non c’era mai stato. Abbiamo individuato il miglior esperto sul tema, e ovviamente siamo andati a Reggio Emilia, offrendo a queste ragazze una preziosa occasione di formazione di altissimo livello. Oggi nei Quartieri Spagnoli c’è un nido che accoglie 58 bambini ed è gestito da una cooperativa di 9 donne che lavorano a tempo indeterminato. Il nido attrae, oltre i bambini del quartiere, quelli provenienti da altre zone della città. Questo ha innescato un inusuale mescolamento, che ha generato l’incontro tra adulti appartenenti a condizioni sociali diversissime: “quartierani”, operai, insegnanti, professionisti e dunque un confronto foriero di trasformazioni di comportamenti e stili di vita.

I luoghi delle città cambiano funzione nel tempo. Quasi vent’anni fa, immaginare di trasformare l’ex Istituto Montecalvario in uno spazio che crea occupazione, aggregazione e nuova vita era un azzardo. Come siete riusciti a vedere così lontano? Foqus è un modello esportabile?

Abbiamo proposto alla Columbia University di studiare il modello di Foqus, perché avvertivamo l’esigenza di un osservatore esterno e scevro da ogni coinvolgimento, per capire quali sono gli errori che abbiamo commesso e quali sono le potenzialità che potrebbero ancora essere sviluppate. In uno dei primi incontri ci hanno chiesto quale fosse la nostra “theory of change”, cioè il progetto iniziale che avevamo scritto e poi realizzato. Noi all’inizio non avevamo una teoria: avevamo avuto un’intuizione, una visione. Avevamo certamente un obiettivo, ma non avevamo un piano disegnato all’inizio. Abbiamo proceduto per adeguamenti progressivi, seguendo le possibilità che man mano si aprivano. Quello che abbiamo imparato, anche confrontandoci con diversi casi europei, è che si tratta sempre di soluzioni locali. Ogni esperienza è unica perché determinata dal contesto e dall’esperienza delle persone che la generano. Credo si debba parlare non tanto di modelli esportabili, ma di esperienze e pratiche trasferibili, per essere reinterpretate, tradotte, e quindi “tradite”, per altri modelli.

Come immagina i Quartieri Spagnoli tra dieci anni?

Animati da un progetto diverso dal nostro, perché dovremmo essere superati sostituiti da altri progetti che a partire dal nostro producano altri e nuovi cambiamenti. Il nostro lavoro ha come obiettivo l’emancipazione e l’autonomia dei cittadini dei Quartieri Spagnoli. Non lavoriamo per creare dipendenze sociali anche se positive, Foqus avrà svolto il suo ruolo fino e in fondo se determinerà le condizioni per la crescita di tante altre esperienze innovative come la nostra.

Da Fondazioni febbraio 2020