Intervista Ivan Novelli, presidente Greenpeace Italia
per Fondazioni ottobre 2022
Ivan Novelli è presidente di Greenpeace Italia, una delle 26 organizzazioni nazionali dell’Ong ambientalista attiva in oltre 55 paesi del mondo per proteggere l’ambiente, promuovere la pace e denunciare crimini ambientali.
Presidente Novelli, partiamo da un dato di fatto: la comunità scientifica è d’accordo da decenni sul tema dei cambiamenti climatici, eppure ancora oggi trovano spazio i negazionisti. Secondo lei ci sono stati degli errori di comunicazione da parte della comunità scientifica?
La comunità scientifica in realtà è stata molto chiara; noi come Greenpeace pubblicammo un rapporto importante che si chiamava “Global warming” già nel 1990, raccogliendo testi di scienziati autorevoli che facevano parte del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite “IPCC” che oggi tutti conoscono. La scienza, dunque, ha parlato chiaro da tempo; per questo non crediamo le si possa attribuire una responsabilità o un’incapacità di aver comunicato. Ovviamente, dobbiamo comprendere che il tema è molto complesso. Il cittadino fa fatica a comprenderlo pienamente ma soprattutto a trovare soluzioni utili sia a livello individuale che collettivo.
Qual è il ruolo dei media in questo racconto?
Anche le persone che lavorano nei media e nella comunicazione hanno una responsabilità importante, perché noi crediamo che il dibattito pubblico sia stato troppo inquinato da chi ha interessi particolari. Ci sono state aziende energetiche che hanno fatto sì che venissero censurati alcuni temi o che addirittura hanno prodotto campagne negazioniste, come si vede quando a seguito di eventi naturali estremi – sempre più frequenti – a volte non si cita nemmeno la crisi climatica. Se non si parla di crisi o di emergenza climatica, alle persone non arriva un’informazione corretta: questa è una responsabilità dei media.
E le imprese?
Un dato positivo che notiamo è quello di aziende nel mondo dell’industria che fanno passi più decisi verso la produzione sostenibile. Questo può essere dovuto a una visione più lungimirante, o al fatto che non sono alla ricerca di consenso ma banalmente di profitto o a volte anche solo alla convinzione che la strada da seguire sia necessariamente quella di una transizione ecologica. Queste aziende aprono varchi importanti che possono essere utili ad altri in Italia e nel mondo. Parlando di aziende e di produzione, non possiamo evitare di trattare la questione energetica, che oggi è al centro del dibatto.
Quanto bisogna intervenire sulle fonti alternative?
Prima di tutto vorremmo cominciare a far sì che le fonti rinnovabili non siano più chiamate “alternative”. Oggi sono un dato reale: a livello mondiale si produce più energia dal sole e dal vento rispetto al nucleare, ma ci sono ancora interessi forti, soprattutto nella politica energetica, dove gas e petrolio sono ancora molto tutelati e non c’è un impegno reale a implementare alternative. In Italia, le autorizzazioni per le rinnovabili hanno dei tempi biblici. Se si fosse lavorato meglio sui rinnovabili e risparmio energetico avremmo sostituito una quantità di energia vicina a quella che importiamo dalla Russia con il contratto Eni-Gazprom e, tra l’altro, avremmo attirato investimenti stranieri che, invece, sono andati altrove.
Cosa possiamo fare sul fronte dei consumi?
Per quanto riguarda i consumi, oggi è necessario parlare di risparmio energetico, ma in prospettiva bisognerà intervenire sull’efficienza energetica. Già oggi le auto elettriche possono essere quattro volte più efficienti delle auto convenzionali, le pompe di calore sono più efficienti delle caldaie a gas, dobbiamo spingere su questo fronte e vincere le resistenze di cui parlavo prima.
Ha accennato al tema del nucleare, una questione molto divisiva: qual è la vostra opinione sul tema?
Greenpeace si oppone da sempre al nucleare. Noi cominciamo sempre dal tema delle scorie che non è mai stato risolto. È un tema gravissimo: in questi mesi siamo in allarme costante per quello che succede presso le centrali ucraine; non possiamo investire su qualcosa che presenta così tanti rischi e incertezze. Al di là di questo, il settore nucleare è comunque in forte crisi: la Francia che fa un grande uso di energia nucleare è al collasso perché i reattori di terza generazione si sono rivelati un fallimento; ce n’è uno solo in costruzione a Flamanville che ha aperto i cantieri 15 anni fa, con costi che sono passati dai 3 miliardi di euro dell’epoca agli oltre 19 miliardi di adesso. In Italia, durante la campagna elettorale, abbiamo addirittura sentito parlare di reattori di quarta generazione (mi viene da ridere perché non esistono nemmeno). Per fortuna, in Italia, c’è stato un referendum nel 2011, che ci ha evitato di dover avere a che fare con una fonte di energia rischiosa e molto costosa. In momenti di difficoltà o emergenza le comunità si sono organizzate autonomamente sui loro territori.
Lei ha degli esempi virtuosi di alcune esperienze che potrebbero essere replicate?
Un esempio di una pratica che si sta realizzando sempre di più è quello delle comunità energetiche, dove si produce e si scambia energia rinnovabile. Sono attività da incoraggiare e agevolare perché producono risultati positivi.
Una sua area di interesse è quella dei parchi come rappresenta anche il suo impegno per RomaNatura. Che ruolo hanno i parchi nelle città, che ruolo potrebbero avere e come bisogna intervenire su quelli già esistenti?
Purtroppo abbiamo assistito a un rallentamento veramente grave negli investimenti nei nuovi parchi naturali, nei parchi nazionali e nella rete di parchi regionali. L’importanza di questi parchi è assoluta in termini di protezione e conservazione della biodiversità e degli ecosistemi di queste aree. Se non ci prendiamo cura dei parchi mettiamo a rischio una varietà di flora e di fauna unica. Anche se pensiamo ai parchi cittadini, che sono fondamentali nelle aree urbane, non possiamo che notare una miopia da parte della politica che in molti casi ha pensato che bastasse inaugurare nuovi parchi, mentre invece il valore fondamentale è quello della manutenzione. Un parco abbandonato può diventare un luogo di degrado e di delinquenza.
Chiudiamo con una domanda rivolta al futuro: lei è fiducioso nella riuscita di una transizione ecologica?
A livello globale la transizione energetica è già una sfida, probabilmente è la sfida del secolo. Nel mondo c’è una consapevolezza e anche un percorso già iniziato che dovrebbe portarci a uscire dall’economia fossile. Sicuramente c’è bisogno di una maggiore cooperazione politica ed economica a livello internazionale per espandere l’economia verde. Oggi non possiamo essere troppo ottimisti, però vediamo che, lentamente, aumentano gli investimenti nella transizione. Quindi, ripeto una cosa che ho detto all’inizio dell’intervista: vince chi è più lungimirante, perché la strada è questa, sia per l’industria che per i singoli paesi, chi prima comincia a percorrerla avrà sicuramente maggiori benefici.
Dalla rivista Fondazioni settembre-ottobre 2022