Intervista a Francesco Profumo, presidente di Acri e di Fondazione Compagnia San Paolo
Fondazioni ottobre 2021
È un profondo conoscitore del mondo dell’istruzione, avendolo vissuto da tutti i lati: come studente, docente, rettore e come ministro. E ora, lavorando nel mondo delle Fondazioni di origine bancaria, continua ad appassionarsi ai destini di quella che considera una “fabbrica di uguaglianza”, in grado di “innescare la filiera dell’innovazione” per far ripartire il Paese. E pensare che tutto è iniziato quando era bambino e nella sua classe entrò Sandro Pertini. Abbiamo intervistato Francesco Profumo, presidente di Acri e della Fondazione Compagnia di San Paolo.
Presidente, come sta la scuola italiana?
La scuola italiana è pronta per una grande trasformazione. Perché, quando parliamo di scuola, dobbiamo sempre tener presente un orizzonte temporale molto ampio. Chi inizia oggi il suo percorso scolastico, lo completerà alle soglie del 2040. È evidente che si troverà davanti un mondo completamente diverso. Per questo l’istituzione scolastica e l’offerta formativa devono essere “orientati al futuro”. La classe docente del nostro Paese è di alta qualità, ma non può essere abbandonata a sé stessa. Deve, al contrario, essere accompagnata in questa trasformazione, valorizzando l’entusiasmo e la voglia di innovare che abbiamo visto mettere in campo nei primi mesi della pandemia, quando la scuola ha fatto un balzo in avanti sul tema della digitalizzazione, recuperando un ritardo di decenni. C’è bisogno di nuove competenze e di un cambio di modello pedagogico.
Cosa intende?
Il modello educativo che ha caratterizzato la scuola in questi decenni è figlio della terza rivoluzione industriale. Nel corso della storia, la durata delle innovazioni prodotte dalle prime tre rivoluzioni industriali ha avuto vita lunga. Così che le conoscenze e le competenze acquisite nella prima fase della vita, dedicata all’educazione, risultavano acquisite una volta per sempre e non variavano lungo tutto il percorso dell’esistenza. Oggi, invece, stiamo vivendo la quarta rivoluzione industriale, le cui innovazioni hanno una durata molto più breve. Le competenze invecchiano molto rapidamente e abbiamo bisogno di un continuo aggiornamento, che deve avvenire almeno 5 o 6 volte nel corso della vita di una persona.
Che impatto produce questo sulla scuola?
È necessario rivoluzionare il modello pedagogico. Quello di oggi è basato sull’acquisizione di competenze prevalentemente nozionistiche. Domani, invece, i ragazzi avranno sempre più bisogno di competenze socio-emozionali, come empatia, problem solving, pensiero critico. Sono delle conquiste che li accompagneranno per tutta la vita. Per questo, la scuola non sarà più il luogo dove si apprendono alcune nozioni, che invecchiano presto, ma dovrà essere il luogo dove s’impara a imparare. Dove si torna per disimparare alcune cose e apprenderne di nuove. L’istruzione non si limiterà a una fase della vita, ma interesserà, con diverse modalità, l’intero ciclo dell’esistenza. Quindi, diventerà cruciale apprendere nei primi anni del percorso di formazione il “come” si impara.
La scuola non sarà più la stessa.
Esatto. Cambierà il modello educativo, perché gli insegnamenti si configureranno sempre di più come delle commodities, che prescindono dallo spazio e dal tempo. La scuola assumerà prevalentemente una forma ibrida, in presenza, ma anche da remoto. Inoltre, la didattica dovrà necessariamente aprirsi e farsi contaminare da saperi e competenze che vengono dall’esterno.
Cambierà anche il mestiere dell’insegnante?
Certo. Nella nuova scuola, il docente sarà sempre meno un solista e sempre di più un direttore d’orchestra, in grado di armonizzare le conoscenze che saranno altri a far risuonare. In questa logica la scuola sarà sempre più aperta a una vera comunità educante, composta da diversi soggetti della società in grado di apportare il loro contributo alla formazione dei ragazzi. Penso al ruolo delle organizzazioni del Terzo settore, agli operatori della cultura, al mondo delle imprese.
Quindi, a cosa servirà la scuola del futuro?
La scuola svolge e continuerà a svolgere due funzioni distinte, ma entrambe importantissime. La prima è essere il luogo da cui parte la filiera dell’innovazione. Se guardiamo alla trasformazione digitale o alla straordinaria rapidità con cui sono stati sviluppati i vaccini, ci rendiamo conto che l’innovazione e il progresso scientifico non nascono dal nulla, ma hanno dietro una filiera strutturata: scuola, università e ricerca. Non possiamo togliere nessuno di questi mattoncini, senza far vacillare l’intero edificio.
E la seconda?
La seconda importantissima funzione della scuola è essere una “fabbrica di uguaglianza”, che adempie ai dettami della Costituzione e garantisce a tutti, indipendentemente dalle proprie condizioni di reddito e provenienza, la possibilità di imparare e di mettere a frutto il proprio potenziale. La scuola è anche convivenza, incontro, aggregazione, socialità. Si tratta di beni preziosi, che sono stati tutti sacrificati in questi anni di didattica a distanza. Su questi temi, negli ultimi anni, le Fondazioni di origine bancaria stanno intervenendo convintamente, soprattutto tramite il Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. Si tratta di un vasto programma che ha raggiunto oltre mezzo milione di ragazzi e che sta sperimentando formule innovative di intervento a cui il Ministero dell’Istruzione inizia a guardare con interesse.
L’importanza di investire in formazione è universalmente condivisa. Ma, allora, perché il nostro Paese continua a investire in questo campo appena il 4% del Pil?
Lo so bene. Per invertire questa tendenza, c’è bisogno che si affermi una visione chiara di lungo periodo, accompagnata da una convinta volontà politica che guardi al futuro del Paese e non al consenso elettorale. Perché il processo di modernizzazione del Paese deve guardare al 2050, non alle prossime elezioni. In questo senso, sono convinto che il PNRR porterà risorse ed energie che potranno contribuire a creare le condizioni affinché questo processo finalmente si avvii. Ma da sole le risorse non bastano, ci vuole la volontà politica e dell’intera società per accompagnare questa transizione.
Un’ultima domanda. Di tanti anni impegnati a lavorare nella e per la scuola, c’è un ricordo che si porta dentro?
C’è un aneddoto che racconto raramente, ma che ha segnato la mia vita. Quando ero bambino abitavo a Savona e vicino alla scuola elementare che frequentavo c’era lo studio di un nostro illustre concittadino: Sandro Pertini. Quello che poi sarebbe diventato Presidente della Repubblica era un adulto impegnato, che, sempre in compagnia della sua pipa, veniva in classe a parlarci della Resistenza. Ho il ricordo nitido di quest’uomo che veniva a dedicare del tempo ai bambini e ai ragazzi della sua città per trasmettere la sua esperienza e i valori repubblicani. In particolare, ricordo che mi colpì moltissimo il racconto della sua esperienza al confino a Ventotene. L’essere tornato su quell’isola per iniziative di Acri è stata per me una grande emozione.