Francesco Sanna, giovane storico dell’Università di Padova ha recentemente curato il volume “Magnifici salvadanai fruttiferi. La Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, due secoli di storia”, edito da Donzelli. Il libro ripercorre le vicende della Cariparo e la sua importanza per lo sviluppo delle due province (e non solo). L’abbiamo intervistato.
Perché scrivere questo libro oggi?
Il prossimo 12 febbraio (2022) ricorrerà il bicentenario della nascita delle prime casse di risparmio in Italia, fra cui vi furono quelle di Padova e di Rovigo, poi unitesi nel 1928. Esse nacquero nel regno Lombardo-Veneto su impulso del governo imperiale austriaco che a sua volta aveva seguito l’esempio di altre regioni tedesche. Le “sparkassen” ebbero origine in Germania nel 1777 ad Amburgo e si diffusero in tutta Europa durante il periodo della Restaurazione. Oltre a questo anniversario di portata nazionale per la modernizzazione del sistema bancario italiano, ritengo importante studiare l’evoluzione degli istituti di credito a livello locale e la loro influenza sulla politica locale e nazionale. Il libro, frutto di una ricerca finanziata dalla Fondazione Cariparo e dal Centro di ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea dell’Università di Padova, si inserisce in una consolidata tradizione di testi di storia bancaria. Ho cercato di evidenziare gli aspetti non solo economici che pure sono presenti, insieme ai dati quantitativi, spesso inediti, ma anche quelli più squisitamente politici che spesso restano in secondo piano in queste ricerche.
Il titolo da dove viene?
Il titolo è una citazione dal discorso che Luigi Luzzatti, economista e statista fra i più importanti dell’Italia liberale, tenne il 12 febbraio 1922 a Venezia in occasione del primo centenario delle casse di risparmio. Anche in quell’occasione furono presentati dei volumi che ricostruivano la storia della Cassa di Venezia e di quella di Padova, quest’ultimo scritto da un suo consigliere, Carlo Tivaroni. Luzzatti definì le casse dei “Magnifici salvadanai fruttiferi”, elogiandone i risultati raggiunti, nonostante fosse stato il fondatore e promotore dell’altro tipo di istituti di credito locale: le banche popolari o cooperative.
Come nascono e perché le Casse di Risparmio di Padova e di Rovigo?
Come detto le due Casse nacquero nel 1822, ma per molto tempo rimasero legate in una posizione direi ancillare ai rispettivi monti di pietà. Soltanto dopo l’annessione del Veneto all’Italia e soprattutto grazie a un primo timido miglioramento delle condizioni economiche, le Casse venete riuscirono a rendersi indipendenti dai loro monti di pietà, ad avere un consiglio di amministrazione autonomo e ad avviare un’attività bancaria vera e propria. Nel caso di Padova ciò avvenne dal 1870, Rovigo dovette attendere il 1886. I progressi di questi istituti di credito rimasero strettamente legati a quelli del loro territorio.
In cosa si differenzia l’esperienza di Padova e di Rovigo, rispetto a quella delle Casse di risparmio delle altre regioni d’Italia e in altri Paesi europei?
Questo è un tema cruciale e ricco di spunti che meriterebbe una trattazione ampia e articolata. Nella mia ricerca ho proposto un confronto sia fra le due province, sia fra queste e le altre province venete (dopo la Prima guerra mondiale le due Casse entrarono a far parte di alcuni istituti che federavano insieme le Casse delle Venezie), sia con le differenti realtà italiane (in particolare con la gigantesca Cariplo, la consorella che poteva vantare un primato mondiale, per l’ammontare dei suoi depositi). Inoltre ho abbozzato un confronto con le casse di risparmio francesi, anche grazie a un soggiorno di studio a Parigi presso lo Sciences Po. Sono emersi dati di notevole interesse che andrebbero approfonditi. Le Casse venete furono spesso all’avanguardia a livello nazionale, nell’avviare rapporti con i consorzi agrari, nel sostegno alle imprese sul territorio, nella gestione della beneficenza. Il confronto con altri Paesi europei, in particolare la Germania, dove ebbero origine, e la Francia, pare ancor più stimolante. In base a quanto emerso finora, le casse francesi ebbero per molto tempo, almeno fino a metà Novecento, una minore autonomia, rispetto a quelle italiane e tedesche, nell’erogazione del credito (investimento solo in titoli di stato o in qualche opera di pubblica utilità) e grossi limiti nella raccolta dei depositi (si potevano aprire libretti di importo non superiore ai duemila franchi, per di più nominativi). Questo ne penalizzò l’azione, ma non fu una scelta casuale o miope. In Francia esse rimasero le banche della piccola borghesia e dei ceti popolari, garantendo però a queste classi sociali una rappresentanza nel mondo del credito.
In Italia, invece, e in Veneto in particolare, dove non esistevano grandi banche di investimento, le casse assunsero da subito una connotazione fortemente interclassista. I ceti più agiati potevano versarvi i loro cospicui depositi, visto che i libretti erano al portatore e non nominativi (in questo modo si aggirava qualunque limite, la stessa persona poteva possedere vari libretti). Potevano così influenzarne le scelte e riuscirono ad assegnare alle casse di risparmio le funzioni più disparate nell’erogazione del credito e nella gestione della beneficenza, specialmente dopo la Prima guerra mondiale che costituì un forte acceleratore per le casse. Queste classi sociali più agiate presero subito il controllo degli istituti di credito locale in Germania e in Italia, lasciando le classi meno abbienti senza alcuna voce o rappresentanza, fino a ricorrere anche a metodi violenti (come avvenne al momento dell’avvento del fascismo) per mantenere o riprendere il controllo dei consigli di amministrazione. Tutto ciò pone anche a noi il problema della rappresentanza di tutte le componenti della società negli istituti di credito. Questo tema è molto promettente in termini di ricerca storica locale, nazionale e transnazionale e merita di essere approfondito.
In cosa si è tradotta la missione filantropica della Cassa nel corso dei secoli?
La parte filantropica, cioè la gestione della beneficenza e delle attività assistenziali, è una parte di grande rilievo nella storia delle casse di risparmio. Questi compiti, insieme a limitate operazioni di credito, erano stati per tutta l’età moderna (dal Quattro o Cinquecento fino a metà Ottocento) di pertinenza dei monti di pietà. L’autonomia delle casse da questi segnò l’avvio della fase di trasformazione e industrializzazione della società che in Italia si concentrò specialmente fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e l’inizio degli anni Settanta del Novecento. Le casse di risparmio furono gli istituti che gestirono il credito locale e la beneficenza in questa fase straordinaria. Fra i vari episodi significativi si possono ricordare i sostegni alla costruzione degli ospedali e di molti istituti universitari, gli aiuti in occasione di catastrofi naturali, la costruzione di tanti alloggi popolari. Ciò conferiva loro un notevole potere e una grande influenza. Con la legge Amato del 1990 si ha un cambiamento epocale: le casse di risparmio diventano banche private come le altre, nascono le fondazioni bancarie, holding pubbliche che gestiscono il pacchetto di controllo della banca partecipata, ma non possono esercitare l’attività bancaria. In compenso esse sono incaricate dei compiti filantropici e di utilità sociale sottratti alle casse. Le fondazioni dal 1992 si configurano così come i gestori della beneficenza e delle opere assistenziali sul territorio di loro competenza nella fase postindustriale dell’economia italiana.
Qual è stato il rapporto degli abitanti delle due città con la “loro” Cassa?
Il rapporto di queste casse fortemente legate al territorio con la popolazione è stato sempre molto stretto. La Cariparo venne gestita bene dai suoi amministratori, la clientela la vide come un punto di riferimento, specialmente in occasione di crisi economiche, quando proprio le casse di risparmio assumevano le caratteristiche di istituti rifugio per una clientela spaventata dal crollo o dalla crisi delle grandi banche di investimento. La stessa espressione: “vado in Cassa” è rimasta nell’uso comune ogni volta che ci si reca in banca, anche se ci si può recare in un’altra banca. Ancora una volta la composizione interclassista della clientela può aver influito, anche se l’attaccamento a questo tipo di istituti ha una molteplicità di ragioni storiche.
Studiando il vastissimo archivio della Cassa, ha trovato un aneddoto emblematico della vita della banca e della sua comunità, che ricorda con piacere?
L’archivio della Cariparo (depositato presso l’Archivio di Stato di Padova) che ho avuto la fortuna di studiare, è davvero ricco. In due anni di ricerca non ho potuto esplorarlo tutto. Auspico che altri studiosi lo utilizzino nelle loro ricerche, insieme a ulteriori archivi bancari ancora poco noti. Fra i vari documenti di rilievo ne ricordo uno che mi ha colpito perché non mi aspettavo di trovarlo fra le carte di una cassa di risparmio. Si tratta di una lettera scritta da una bambina polesana che frequentava la terza elementare nel 1976, indirizzata al direttore generale della Cariparo, per ringraziarlo degli aiuti dopo una piena del Po e per chiedergli di inviarle una carta geografica del delta dello stesso fiume, “non per temerlo, ma per conoscerlo meglio”. Vi sono documenti molto più interessanti che, a differenza di questo, ho già citato nel mio libro. Tuttavia questa lettera offre una dimensione umana e una nota di colore all’archivio di un istituto bancario come la Cariparo che ha fatto la storia delle due province di Padova e di Rovigo.