Il tema del lavoro è sempre stato divisivo. Per trattarlo, è bene partire dalla Costituzione, per provare a capire meglio il motivo per cui al lavoro sia stato affidato un ruolo così centrale. Come spesso accade, la Carta fornisce molte indicazioni, anche in poche parole. A partire dal secondo comma dell’articolo 4: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Se analizziamo le parole scelte, ci accorgiamo che il lavoratore, prima di tutto, non è un individuo singolo ma una parte integrante della Repubblica, è un cittadino. Il dovere di lavorare, inoltre, non è una minaccia a chi non ha voglia di far niente, ma un’indicazione data al cittadino perché concorra “al progresso materiale o spirituale della società”. Inoltre, viene specificato che questo dovere va svolto “secondo le proprie possibilità e la propria scelta”, aggiungendo una fortissima indicazione a garantire inclusione e preservare la diversità tra i lavoratori. Dal 1948, il mondo del lavoro è cambiato: le nuove tecnologie hanno creato nuovi impieghi e ne hanno resi obsoleti altri. Poco più di dieci anni fa, una crisi economica ha colpito duramente i lavoratori, con un conseguente aumento della disoccupazione. La pandemia da Covid-19 ha inferto un ulteriore duro colpo.
Ora si inizia a parlare di “ripartenza”. Se i prossimi anni saranno quelli da dedicare alla ricostruzione, non possiamo dimenticare alcuni principi fondamentali che devono guidarci in tema di lavoro. Prima di tutto, i lavoratori sono cittadini, per questo è urgente risolvere la drammatica questione dei lavoratori immigrati senza diritto alla cittadinanza e di conseguenza a contratti di lavoro regolari. Inoltre, il lavoro è uno strumento per garantirsi una vita dignitosa e avere la possibilità di potersi sviluppare, per questo bisogna portare a zero la percentuale di lavoratori a rischio povertà che secondo Eurostat era dell’11,8% nel 2019. Bisogna trovare delle soluzioni al sotto impiego di disabili che pur avendo limitazioni nelle funzioni motorie e/o sensoriali, intellettive o del comportamento, sono comunque abili al lavoro. In Italia, secondo l’Agenzia nazionale disabilità e lavoro (Andel), solo il 35,8% ha un impiego, contro una media europea superiore al 50%. Ognuno ha il dovere di contribuire allo sviluppo del proprio Paese, ognuno ha il diritto di poterlo fare in base alle proprie capacità e competenze.
Infine, oltre ai cittadini lavoratori c’è il Paese, che cresce e si sviluppa grazie al lavoro. Non essere in grado di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro significa rinunciare a idee, competenze, risorse, visioni. Per questo, le Fondazioni di origine bancaria collaborano con università e imprese, per favorire la nascita di nuove startup innovative, e mettendosi al fianco di chi vuole diventare impresa sostenibile, per includere ragazzi e ragazze diversamente abili, giovani detenuti, donne vittime di violenza. Lo fanno per rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Perché questo obiettivo è più grande del mero risultato economico, o meglio, non può esserne scollegato. Essere cittadino significa fare parte di qualcosa di più grande di sé stessi, essere lavoratore significa contribuire a far crescere la propria comunità e il Paese.
Se dobbiamo riattivare l’Italia, dobbiamo farlo tenendo a mente che il lavoro è alla base della nostra Repubblica, perché alimenta la partecipazione e dà vita alla cittadinanza. Questo è un compito che spetta a tutti noi: da chi scrive le leggi a chi racconta il mondo del lavoro, da chi offre impiego a chi lo svolge. È nostra responsabilità restituire al lavoro quel ruolo nobile e onorevole che era stato pensato dai Costituenti, per permettere a tutti di essere cittadini e lavoratori, elementi necessari per lo sviluppo del Paese.