Intervista a Maurizio Ferrera, docente di Scienze politiche all’Università Statale di Milano
per Fondazioni, giugno 2021
Dopo l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, la disoccupazione in Italia è aumentata: l’ultima fotografia scattata dall’Istat racconta di un milione di posti di lavoro persi solo nell’ultimo anno. «La disoccupazione in Italia ha da sempre dei numeri importanti», commenta Maurizio Ferrera, professore ordinario di Scienze politiche all’Università Statale di Milano, editorialista per il Corriere della Sera e tra i maggiori esperti europei di welfare. «La pandemia ha peggiorato la situazione, tuttavia la disoccupazione in Italia è un problema radicato che trova spiegazione D nella mancanza endemica di domanda di lavoro, che corrisponde a un’offerta insoddisfacente». Secondo l’Eurostat, in Italia il tasso di occupazione nel 2020 è al 58,1%, a fronte del 67,7% dell’Unione Europea. «Siamo molti punti dietro alla media della UE. Dovremmo imprimere al nostro mercato del lavoro un vero e proprio shock, non solo sotto il profilo del capitale umano, quindi in formazione e matching tra domanda e offerta, ma anche in termini di promozione della domanda. Bisogna aprire interamente a settori occupazionali che in Italia sono come atrofizzati». Mancano posti di lavoro nel pubblico impiego, nella cultura, nell’intrattenimento e «soprattutto, nei servizi alle imprese, alle famiglie e alle persone – prosegue il professor Ferrera -. Questi non devono essere necessariamente servizi pubblici ma, come negli altri paesi, dovrebbero essere affidati al Terzo settore o addirittura ai privati. Queste prestazioni non creano occupazione perché vengono svolte all’interno della famiglia e, nella maggior parte dei casi, da donne che vengono registrate nelle statistiche come “inattive”, ma in realtà lavorano dalla mattina alla sera senza fare PIL». La soluzione? «Io credo sia necessario aprire le porte delle case italiane e trovare un’occupazione a quelle donne che lavorano silenti. Per farlo occorre aiutarle a conciliare famiglia e lavoro con strumenti ausiliari come, per esempio, gli asili nido». Ma questa categoria femminile dove potrebbe trovare occupazione? «Proprio in quei settori: asili, strutture per anziani e in tutte quelle realtà di offerta di servizi utili alle famiglie» risponde Ferrera. Sempre riferendosi alle statistiche, l’Istat rende noto che il crollo del tasso di occupazione femminile tra dicembre 2019 e dicembre 2020 va dal 50% all’48,6%, a fronte di una modesta contrazione per gli uomini. Se prima del Covid-19, l’ottenimento dell’indipendenza economica era un obiettivo lontano per la metà delle donne in età lavorativa, adesso è ancora più un miraggio. «Il fatto che l’occupazione femminile non sia una delle sei priorità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del Governo è una certezza. Purtroppo, finché qualcuno non si occuperà specificatamente di queste categorie, la situazione non migliorerà. Per giunta, in Italia, non c’è più neanche un Ministero per le Pari Opportunità ed è palese che manchi una leadership politico-amministrativa che prenda le redini, per non parlare dell’assenza di progettualità». Un’altra categoria che si scontra con le insidie di un mercato lavorativo poco accogliente e decisamente precario è quella giovanile, che rientra a pieno titolo in quella “Società del Quinto Stato” descritta dal professor Ferrera nel suo libo omonimo. «Molti giovani italiani, fanno parte di quella classe al fondo della gerarchia occupazionale che “fa surf” tra vari lavoretti e che, spesso, si trova in situazioni di precariato e quindi di vulnerabilità. Per questa categoria ci sarebbero i centri per l’impiego che, tuttavia, in Italia non sono efficaci. Infatti, nel nostro Paese, non c’è un sistema di incontro tra domanda e offerta e, quando le imprese necessitano di personale qualificato, non sanno dove cercarlo. L’unica fonte di informazione è online e si tratta di siti privati spesso incompleti. Negli altri paesi della UE, l’incontro tra domanda e offerta è favorito dagli uffici pubblici che, in Italia, non sono sempre validi». In questo contesto le istituzioni europee ci sono? Qual è il sentimento del “Quinto Stato” e di quelle categorie simili, rispetto alla UE? «Sulle iniziative dell’Unione Europea non c’è informazione corretta. In particolare, i giovani non sempre conoscono le possibilità che l’Unione Europea offre loro. Un esempio lampante è la “Garanzia Giovani”, un insieme di provvedimenti legislativi promossi a livello europeo a partire dall’aprile del 2013 per favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, poco conosciuto dai ragazzi stessi. Poca informazione unita a difficoltà burocratiche di iscrizione: un binomio che già taglia fuori quelle categorie di giovani emarginati che necessitano di soluzioni di questo tipo».
Da Fondazioni, giugno 2021