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Per Aspera ad Astra

Per Aspera ad Astra – Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza” è un progetto promosso da Acri e sostenuto da 10 Fondazioni associate, che da 3 anni coinvolge circa 250 detenuti, di 12 carceri italiane, in percorsi di formazione artisti-a e professionale nei mestieri del teatro: attori e drammaturghi, ma anche scenografi, costumi-sti, truccatori, fonici e addetti alle luci. L’iniziativa è nata dall’esperienza ultra trentennale della Compagnia della Fortezza di Volterra, guidata dal drammaturgo e regista Armando Punzo, che ha consolidato un patrimonio di buone pratiche, diffuse in altre carceri d’Italia. Ad alimentare e portare avanti Per Aspera ad Astra c’è un’inedita comunità, ognuno con un diverso ruolo: Fonda-zioni di origine bancaria, compagnie teatrali che curano la formazione, direttori e personale degli istituti di pena, detenuti. Abbiamo intervistato tre testimoni dell’iniziativa: due registi che, grazie al progetto, hanno iniziato a lavorare nelle carceri, e un attore detenuto.

Enrico Casale, regista della Compagnia degli Scarti – La Spezia

È come la piantina che cresce tra le crepe di un parcheggio cementificato: non può che stupirci. La Compagnia degli Scarti lavora da sempre con le categorie sociali a rischio di emarginazione, perché la nostra ricerca artistica si basa sulla “forza del vero” che queste persone riescono a sprigionare sul palcoscenico. Per questo, abbiamo aderito con entusiasmo a Per Aspera ad Astra, perché la finalità del progetto non è pedagogica o d’animazione teatrale, ma è la ricerca costante di forme espressive altre all’interno delle carceri. L’obiettivo è attivare una delle funzioni primarie dell’arte: lo stupore, il meravigliarsi di ciò che si crea, anche con i più fragili della società. Con il teatro è possibile farlo in un luogo convenzionalmente non adibito alla creazione di bellezza, perché è un’arte che si eleva e genera luoghi, mentali e interiori, dove poter lavorare ovunque ci si trovi. Per Aspera ad Astra continua a portare avanti percorsi di recitazione e di drammaturgia all’interno delle carceri perché è una comunità che crede nella forza del teatro, abbraccia tutta Italia e lavora in sinergia per generare risultati creativi concreti.

Ibrahima Kandji, detenuto attore della Compagnia della Fortezza – Volterra

Il teatro mi ha cambiato completamente a livello umano e mi ha permesso di imparare ad esprimermi, anche in una lingua che non conoscevo. In carcere si accumulano tante pesi interiori che, con il lavoro che portiamo avanti nella Compagnia della Fortezza, sono riuscito a tirare fuori trasformandoli in energia pura. Ricordo l’emozione che ho provato interpretando Otello. Ho scelto quell’opera per caso tra i tanti libri che Armando Punzo aveva portato per iniziare un’attività con la Compagnia. In una scena, il protagonista, dopo essere stato tratto in inganno da Iago, deve dimostrare di essere innocente e di aver sposato Desdemona non ricorrendo alla stregoneria, ma per amore. È l’unico personaggio nero, si trova tra la corte, il popolo veneziano, la sua amata e il traditore Iago. Armando mi ha chiesto di entrare in quel personaggio senza proferire parola, solo con il corpo, “con gesti che possiamo udire”. È stata un’esperienza potentissima, una delle prime che mi ha permesso di diventare una persona emotiva, facendomi sentire e comprendere le emozioni che provo.

Micaela Casalboni, regista di Teatro dell’Argine – Bologna

Per il Teatro dell’Argine, Per Aspera ad Astra è stata la possibilità di dare vita a un teatro che si fa relazione, chiave di volta e voce per persone, spazi e azioni che altrimenti non l’avrebbero. Significa restituire al teatro la sua funzione politica e poetica: fare da ponte tra la polis, la città, e la poesia di cui è portatore, che è capace di indagare l’uomo profondamente, e anche di cambiarlo. Fare teatro in carcere significa, quindi, avere il coraggio di generare la partecipazione di tutti alla cultura e all’arte, il cui accesso è un diritto, non solo degli artisti, ma anche dei cittadini delle periferie, degli ospedali, delle carceri. Il sottotitolo di Per Aspera ad Astra è, infatti, “come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza”, perché il teatro ha un’essenza in sé generatrice di processi trasformativi che toccano il singolo, il gruppo con il quale condivide il percorso artistico e il luogo in cui si trova. La rete di Per Aspera ad Astra è così solida negli obiettivi e nelle pratiche, che ha tenuto anche in questo periodo così difficile di pandemia, nel quale abbiamo colto l’opportunità di sperimentare altri percorsi teatrali, riuscendo a proseguire con le attività che, nonostante le difficoltà, non si sono mai arrestate.

 

Dal numero Marzo-Aprile della rivista Fondazioni